Libertà di Stampa ma non in Iran, le verità negate sul Coronavirus Covid-19

4 maggio 2020 | 00:14
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Libertà di Stampa ma non in Iran, le verità negate sul Coronavirus Covid-19

Libertà di Stampa ma non in Iran, le verità negate sul Coronavirus Covid-19 e non solo, giornalisti frustati per frasi insolenti alle autorità, insomma non è facile scrivere in Iran, come riporta il Fatto Quotidiano . Arriva puntuale come ogni anno la Giornata mondiale per la libertà di stampa il prossimo 3 maggio dopo essere stata proclamata per la prima volta nel 1993 dall’Assemblea generale dell’Onu. Una giornata che rappresenta l’occasione per informare i cittadini, che ancora oggi ci sono paesi in cui la libertà di stampa non è garantita, in cui i giornalisti subiscono pressioni, accuse, condanne e frequenti arresti.

È il caso dell’Iran che nel rapporto annuale di Reporter Senza Frontiere del 2020, viene classificato nella posizione 173 in una lista di 180 paesi. Soprattutto negli ultimi mesi si sono riscontrati numerosi casi di soppressione dell’informazione, a volte di mera disinformazione.

Dall’inizio dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19, infatti, la gestione della veicolazione delle notizie è stata particolarmente complessa, se non del tutto manipolata. L’Iran è stato uno dei primi paesi ad essere contagiato dalla pandemia che si è diffusa a partire dal 19 febbraio 2020 nella città di Qom dove si è registrato il primo focolaio per poi diffondersi in tutto il Paese.

Sui dati relativi al numero esatto delle persone contagiate e decedute a causa del Coronavirus c’è ancora molta confusione. Secondo il Ministero della Salute iraniano sarebbero oltre 80mila i contagi e meno di seimila i decessi. Dati totalmente falsi, secondo altre fonti, che sospettano l’Iran stia nascondendo volutamente, il numero esatto delle vittime.

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Alla metà marzo il direttore delle operazioni di emergenza per il Mediterraneo orientale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, il dottor Rick Brennan aveva dichiarato a Reuters che i numeri forniti dal regime, già in quel periodo, avrebbero rappresentato solo un quinto del numero reale dei contagi.

Nel rapporto di RSF si legge che il governo iraniano una volta appreso della gravità del virus avrebbe fatto di tutto per limitare il flusso delle informazioni sulla crisi in atto nel paese. Diversi giornalisti che hanno pubblicato dettagli “non ufficiali” cioè non derivati dalle dichiarazioni delle autorità governative sono stati convocati, interrogati ed accusati di “diffondere voci non vere”.

Un ex presentatore televisivo e radiofonico nazionale Mahmoud Shahariari molto attivo sui social media è stato arrestato da funzionari del ministero dell’intelligence a Teheran il 14 aprile con l’accusa di “pubblicazione di fake news sul coronavirus” dopo aver pubblicato un video, visto da centinaia di migliaia di iraniani, in cui riferiva di un insabbiamento di informazioni sulla diffusione del virus dall’inizio di marzo.

Anche un attivista e invalido dalla guerra del 1980-88 con l’Iraq, Hadi Maharani che gestisce un canale di notizie di Telegram è stato arrestato nella sua casa l’11 aprile con l’accusa di “aver offeso funzionari e credenze religiose” dopo aver pubblicato informazioni sulla diffusione del coronavirus e criticato le informazioni fornite dalla radio e dalla televisione di stato.

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A questi due casi si aggiungono quelli dei tanti prigionieri politici che non hanno avuto la possibilità di lasciare il carcere nemmeno nel mezzo della pandemia. Benché l’Iran abbia liberato temporaneamente 85.000 detenuti, a seguito dei disordini che si sono riscontrati all’interno delle carceri, per paura di diffusione del virus, altri prigionieri politici non sono stati rilasciati. Molti di questi detenuti hanno gravi problemi di salute e qualora dovessero venire contagiati potrebbero mettere a rischio le loro vite.

Tra questi l’avvocatessa Nasrin Sotoudeh, Narges Mohammadi e Arash Sadeghi, nonché cittadini con doppia cittadinanza come Morad Tahbaz (cittadino iraniano-britannico-americano), Kamran Ghaderi e Massud Mossaheb (Cittadini iraniano-austriaci) e Ahmadreza Djalali (cittadino iraniano-svedese). Tutti e sette hanno richiesto di essere rilasciati temporaneamente, ma la loro richiesta è stata respinta o in taluni casi non ha ricevuto risposta.

Il portavoce della magistratura iraniana, Gholamhossein Esmaili, ha spiegato che sono stati liberati solo coloro che stavano scontando condanne a meno di cinque anni, mentre i prigionieri politici e quelli accusati di condanne più pesanti, legate alla partecipazione a proteste antigovernative, sono rimasti in prigione. Questi prigionieri afferma lo stesso Esmaili sono “terroristi”, “spie straniere” e per questo considerati “criminali contro la sicurezza dello Stato”.

Nonostante le libertà esposte nella Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran in particolare all’Articolo 23: “È vietato indagare sulle opinioni dei cittadini. Nessun cittadino può essere offeso o censurato a causa delle proprie opinioni” e all’ Articolo 24: “La stampa periodica e quella editoriale godono del diritto di espressione, salvo in caso di violazione delle norme essenziali dell’Islam o dei diritti pubblici”, la realtà ci appare ben diversa.