Alberto Sordi: 1920-2020, i cento anni dell’Albertone nazionale

14 giugno 2020 | 09:15
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Alberto Sordi: 1920-2020, i cento anni dell’Albertone nazionale

Cento anni fa, il 15 giugno del 1920, nasceva, nel Rione Trastevere a Roma, Alberto Sordi, una delle maschere più celebri della cinematografia e dell’arte italiana. Comica e tragica, unica e riconoscibile, inimitabile, con la quale sono stati raccontati i pregi e soprattutto i difetti dell’italiano medio. Alberto Sordi è stato il volto dell’Italia che ha faticosamente tentato di rialzarsi dal dramma della guerra, dell’Italia spocchiosa negli anni della dolce vita, dell’Italia malinconica della crisi economica: da Oreste Jacovacci, il personaggio interpretato ne “La Grande Guerra” di Mario Monicelli, a Otello Celletti, “Il vigile” borioso con la divisa tirata a lucido, da Onofrio Del Grillo il dandy scherzoso in fuga dalle responsabilità del titolo nobiliare a Nando Meniconi, il borgataro sognatore che si tuffa in un piatto di maccheroni. Uno dopo l’altro Sordi ha incarnato il volto dell’Italia più vera, film dopo film, quasi duecento da quando, ragazzino, si era proposto come comparsa a Cinecittà. La svolta arriva quando, grazie alla sua voce baritonale, viene scelto per doppiare Oliver Hardy, del duo comico Stanlio&Ollio. Proseguirà nell’attività di doppiatore fino alla metà degli anni Cinquanta: in un’occasione, (“Domenica d’agosto” del ’50) presta la voce anche a Marcello Mastroianni. Attraversa poi la fase del varietà accumulando un’esperienza che verrà sublimata in una delle sue pellicole più celebri e amate: “Polvere di Stelle” con Monica Vitti.  L’italiano medio In radio dà vita a personaggi memorabili come quelli de “I compagnucci della parrocchietta” e Mario Pio (“..con chi parlo con chi parlo io..”) che troverà anche nuova vita in “Gran Varietà” di fine anni 60. Negli anni Cinquanta la sua popolarità cinematografica esplode. Per l’amico Federico Fellini diventa una star dei fotoromanzi ne “Lo sceicco bianco” e poi l’immaturo Alberto de “I vitelloni”. In tutto il decennio dà vita al personaggio definito, forse con un po’ di leggerezza, “l’italiano medio”, incarnato da Nando Moriconi, che mescola romanesco e inglese, prima nel corale “Un giorno in pretura”, poi, protagonista, in “Un americano a Roma” (1954) e diventa passo dopo passo un pezzo della storia di questo Paese: borghese, nobile, arrivista, ingenuo, fanfarone, borgataro, industriale. La trilogia della Guerra Negli anni ’60 Sordi è protagonista tra gli altri, dei film che compongono la “Trilogia della guerra”, secondo molti (con l’interpretazione, vent’anni più tardi, in “Un borghese piccolo piccolo”), il punto più alto della sua carriera: “La grande guerra” (con Vittorio Gassmann, regia di Mario Monicelli), “Tutti a casa” (regia di Luigi Comencini) e “Una vita difficile” (di Dino Risi). Il racconto della storia del Novecento prosegue con altri due film entrati nell’immaginario popolare: “Il medico della mutua” (che, con il sequel che aveva ancora come protagonista il dottor Guido Tersilli provocò le ire della categoria dei medici e ancora oggi ha una carica di denuncia sociale altissima) e “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare il loro amico scomparso in Africa” del ’68 diretto da Ettore Scola. Sordi regista Ci sono poi i 19 film diretti dallo stesso Alberto Sordi, tra cui spicca, oltre a “Polvere di stelle” del 1973, “Fumo di Londra” del ’66 accompagnato dalla struggente colonna sonora. Nell’ultima parte della sua carriera Sordi ha regalato opere di larghissima diffusione come “Il marchese del Grillo” del 1981 di Mario Monicelli (“Perché io so io, e voi nun siete un c…”, la battuta più celebre e rappresentativa del personaggio) ad altre come “Il tassinaro” (nel suo taxi dove prendeva a bordo anche Giulio Andreotti), insieme a “In viaggio con papà” (con Carlo Verdone) e “Tutti dentro”, capace di prefigurare con quasi un decennio di anticipo il clima e le vicende di Tangentopoli. La vita privata Alberto Sordi ha girato e diretto decine di pellicole offrendo mille volti ma nascondendo il suo, asserragliato nella sua villa a un passo dalle Terme di Caracalla, dove viveva dal ’58, con la sorella Aurelia. Non si è mai saputo molto della sua vita privata. L’unica relazione ufficiale è stata quella iniziata nel 1942 e durata nove anni con la collega Andreina Pagnani, 14 anni più di lui (22 Sordi, 36 lei). “Non mi sposo – amava ripetere – perché non mi piace avere della gente estranea in casa”. Anche se, Pippo Baudo, suo grande amico, rivela nel libro “Alberto Sordi segreto” di Igor Righetti che negli ultimi anni era profondamente rammaricato di non essersi sposato e mi confessò che era stato il più grande errore della sua vita”.  “Questo rimpianto per non essersi sposato – racconta Righetti – lo confidò anche a mio padre Alessandro, suo cugino. Nel periodo della malattia si sentiva irrealizzato nella sua vita più intima. Impossibilitato a continuare a lavorare aveva preso consapevolezza di aver vissuto per inseguire la sua grande passione professionale ma che, terminata la vita artistica, non aveva costruito affetti veri”, “diceva che nella sua casa non c’era mai stato il sorriso di un bambino” e “dopo aver costituito la Fondazione per gli anziani e quella per i giovani artisti con poche possibilità economiche, l’apertura dell’orfanotrofio sarebbe stato il compimento della sua grande generosità umana”. Tra le sue passioni, scopriamo tra le pagine, c’erano la Nutella e il Campari Soda, tra i suoi rimpianti, oltre alla moglie mancata, l’Oscar mai ricevuto. Sordi era un generoso e tra le tante cose che non amava ostentare ci sono anche tanti gesti di solidarietà e sostegno ai più umili. Ai parenti diceva: “I vostri ricordi con me e con i nostri cari, raccontateli soltanto quando sarò in ‘orizzontale’. Allora mi farete felice perché sarà anche un modo per non farmi dimenticare dal mio pubblico che ho amato come fosse la mia famiglia e per farmi conoscere alle nuove generazioni”. L’addio La sua ultima apparizione pubblica ebbe luogo in video durante una serata organizzata in suo onore al Teatro Ambra Jovinelli di Roma il 17 dicembre 2002. La sua ultima commovente parola rivolta al pubblico fu semplice e malinconica: “Addio”. Morì per un tumore ai polmoni il 24 febbraio del 2003. Alle sue esequie, svoltesi il 27 febbraio nella Basilica di San Giovanni in Laterano, parteciparono oltre 250.000 persone. Altrettante erano andate a rendergli omaggio alla camera ardente allestita in Campidoglio, dove, per i suoi 80 anni, era stato “sindaco per un giorno” indossando la fascia tricolore.