Cosa ci insegna il Coronavirus? La riflessione di Secondo Amalfitano
Ravello, Costiera amalfitana. “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”?
È dall’età liceale che quando devo etichettare l’uomo, uso come incipit ai miei scritti la dantesca espressione; ma oggi ho aggiunto il punto interrogativo, perché qualche certezza vacilla.
Sul fronte della “conoscenza” di sicuro ha ragione Dante, ma ho forti dubbi per la “virtute”.
La smania di internet, dei social e della comunicazione in genere, che ha invaso il mondo come vera e propria pandemia, è chiaro segnale di bramosia di conoscenza, voglia di parlare, di sapere e far sapere; ma la domanda d’obbligo è: cosa vogliamo sapere? Intimamente vorremmo sapere la verità che ci piace e ci fa stare bene, ma nella realtà finiamo per sapere tutto e l’esatto contrario, in uno scenario dove verità e fake si rincorrono e si susseguono, confondendosi fra loro e annullandosi a vicenda.
In particolare in questo periodo, non storico ma unico, cosa stiamo imparando dal e del CORONAVIRUS?
Di tutto e di più, dalle fake news a nuovi termini, dal distanziamento sociale alla curva epidemica e all’indice di contagiosità. Tutto in un effluvio di dati e pareri che hanno scandito i nostri giorni come le previsioni meteorologiche degli anni 70. Interessi scientifici e sanitari si incrociano e si scontrano con interessi politici ed economici; gli ossimori si susseguono camuffati da pretesti nobili: Tutti dobbiamo adottare precauzioni e stili di vita particolari, perché l’economia deve partire e siamo tutti a rischio contagio, ma non dobbiamo aprire ad altre regioni perché il virus del vicino, che non è come l’erba, è più cattivo del nostro; votare a settembre metterebbe a rischio la scuola e le lezioni, per cui meglio anticipare mettendo a rischio tutto il resto ma non la scuola; le Municipalità si agitano contro i Comuni, i Comuni contro le Regioni, le Regioni contro il Governo, il Governo contro l’Europa, nel nuovo gioco di: ognuno per se, e il virus per tutti; Fioccano miliardi ma sono cambiali e fra non molto come succedeva un tempo dovremo firmare cambiali per comprare altre cambiali tutte da scontare, o faremo cambiali circolari fra soggetti che diventano contemporaneamente creditori e debitori di somme a saldo zero. Intanto NESSUNO si muove in una direzione precisa secondo obiettivi e rotte definite.
Scopriremo fra qualche lustro cosa abbiamo imparato e cosa avremmo POTUTO imparare, con qualche lustro in più scopriremo cosa avremmo DOVUTO imparare.
Con questi pensieri nella testa, mi sono chiesto: ma il mondo come è cambiato negli ultimi due secoli? E ancora: gli uomini cosa hanno imparato nel tempo da quanto succedeva intorno a loro? Forse poco in passato, ma direi nulla oggi.
Nell’ottocento la “conoscenza” era appannaggio di pochi che, in genere, ne facevano il miglior uso possibile per la collettività, questo periodo in sintesi è fotografabile con l’etichetta: “POCHI SANNO MOLTO E MOLTI NON SANNO NULLA”; i pochi erano letterati e scienziati che attraverso le Istituzioni, i libri e i primi giornali, arrivavano ad una sparuta minoranza di uomini.
Nel Novecento, dopo il periodo bellico, il mondo fu stravolto dall’avvento del telefono, della radio e da ultimo della televisione; tutti scoprirono la voglia di ricevere notizie e sapere, si passò dal dogma “l’ho letto sul giornale” a quello “l’ho sentito in TV”; la comunicazione cresce e il periodo è fotografabile con: MOLTI SANNO PARECCHIO E POCHI SANNO TUTTO.
Poi arrivò la “rete”, i social e la globalizzazione, e fu l’oggi, la nostra quotidianità: notizie su tutto e tutti, sempre a tutte le ore e dai luoghi più remoti; il dogma che dilaga è “l’ho visto su Internet”; la fotografia è TUTTI SANNO TUTTO E QUINDI NESSUNO SA NIENTE.
Ma attenzione, il significato di tutti, pochi, molti, pur nella loro relatività, è abbastanza chiaro; quello che invece non è più chiaro è il significato di SAPERE e CONOSCENZA. Un significato cambiato profondamente, in funzione di chi e di quanti diffondono il sapere e la conoscenza: quando erano in pochi e ben definiti a divulgare la conoscenza ed il sapere, tutto era più rigoroso e, se c’era un falso, era per scopi ben precisi e finalità puntuali; spesso la comunicazione e il sapere partivano già con tag ben precise, che servivano ad orientare e a discernere – il giornale di “destra” comunicava un sapere chiaramente orientato e opposto a quello del giornale di “sinistra” – ; il destinatario finale, per certi aspetti, era più protetto dalle fake news e il suo sapere subiva meno condizionamenti occulti.
La società attuale vive nel caos più totale, bersaglio di una comunicazione la cui sommatoria porta al disorientamento e alla sfiducia in tutto e tutti, compreso le fonti sacre e istituzionali: il Governante di turno parla per nasconderci la verità e farci credere quello che gli conviene; i media sono asserviti ai poteri forti e per accreditarsi devono screditare una parte di se stessi; finanche il Papa non parla più per dogmi, ma per sconfiggere una certa Curia ostile; è così via sulla strada della pura follia collettiva e pandemica.
Oramai siamo tutti convinti di sapere la verità, ma non ci rendiamo conto che la verità oggi è appannaggio di pochissimi; in un mare magnum di notizie che dicono tutto e il contrario di tutto, ci mancano gli strumenti necessari per il discernimento. Finanche le origini geografiche di una notizia non sono più sufficienti a far crescere la sua percentuale di attendibilità; che sia la Germania o la Cina, oramai è tutto global.
I rigurgiti di “antitrust” e di “maggiori controlli” che qualche anno fa si avvertivano, sembrano indebolirsi giorno dopo giorno, sopraffatti dai vantaggi solo apparenti del caos. È interessante notare come il colosso mondiale dell’e-commerce ha puntato per le sue fortune non sulla qualità del prodotto che vende, quindi non sulla sostanza dell’acquisto, ma sulla sua forma: tempi rapidi di consegna, reso garantito, affidabilità dei metodi di pagamento, etc. Di fatto ci si allontana sempre più dalla sostanza per puntare sulla forma, o si trasforma la forma in sostanza.
Quindi? Cosa e come fare? Quale futuro ci attende?
La risposta mondiale a questo caos, sembra andare nella direzione di voler aumentare ancor più la quantità di notizie e di comunicazione; gli stessi social che in origine erano profondamente diversificati, dalla quantità alla qualità delle notizie ( solo foto, solo cinguettii, solo business, etc.), oggi sono interconnessi e sovrapposti, perdendo molto della loro specificità di partenza.
Se tutto questo dovesse essere vero, sarei ancor più preoccupato, perché in quel caso sarà sempre più difficile districarsi nel marasma della comunicazione, la fidelizzazione verso i canali di diffusione scenderà sempre più a vantaggio dello zapping sfrenato in una offerta, che, in specie quella “on demand”, sarà sempre più diacronica e non geo referenziata.
Ma tutto ciò, a mio parere, è la componente meno pericolosa del futuro prossimo; il vero pericolo verrà da un’altra direzione, e vediamo perché.
La quantità abnorme di notizie o “bit” che circolerà quotidianamente e liberamente nel mondo, ci renderà veri e propri schiavi dei “Nuovi Padroni”. In origine i “padroni” della comunicazione e dei dati, erano le Istituzioni e gli uomini più colti, quindi i detentori erano nobili e affidabili; successivamente, il cambiamento del “molti sanno parecchio” , ha aggiunto ai vecchi padroni il gruppo dei detentori di banche dati e le lobby dei poteri forti.
Oggi sta per decollare definitivamente l’era dei “padroni del futuro” identificabili nei detentori delle migliori e più potenti “intelligenze artificiali”, e in quanti si assicureranno i servigi dei più bravi geni dell’informatica. Attraverso le intelligenze artificiali si potranno elaborare miliardi di miliardi di dati, realizzando schede per ciascun essere vivente, del quale si sapranno debolezze e desideri, gusti ed esigenze, in modo tale da poter organizzare con i più bravi informatici un’offerta globale che appagherà totalmente l’intero genere umano, fino ad introdurre una nuova forma di schiavitù.
Oramai abbiamo capito che il futuro non è né del petrolio né delle fabbriche di armi, i potenti della terra saranno i detentori delle informazioni sensibili su debolezze, desideri, esigenze e ambizioni dell’uomo, inteso come insieme di tutti gli abitanti della terra.
Ma nell’immediato, e partendo proprio dall’insegnamento del Coronavirus, potremmo già capire che il mondo tendenzialmente non è global, ma glocal; che la globalizzazione non è un viatico ineludibile, ma una libera scelta, comoda ma pericolosa; che non possedere un’industria pesante o giacimenti petroliferi, ma solo piccole e medie industrie di prodotti di nicchia, non è un limite ma un’opportunità; che quello che ci serve per la vita non lo dobbiamo cercare nella “rete”, ma dentro di noi; che la verità non si trova nell’infinita rete globale, ma nei piccoli dettagli della nostra quotidianità.
A osservare bene e a ben interpretare questo momento, possiamo dire che, come abbiamo scoperto qualche anno fa che la migliore dieta al mondo è la nostra dieta mediterranea, oggi il migliore modello sociale ed economico per il genere umano post Coronavirus è quello Italiano, che non è stato costruito sulla base di inesistenti scelte e progetti strategici realizzati da moderni Politici e Amministratori incapaci e improvvisati, bensì è quello costruito dal popolo italico, sì proprio quello della fantasia e creatività, quello che si è chiuso in casa per due mesi senza battere ciglio, quello che chiede di ripartire subito con regole chiare e aiuti reali, quello che dalla preistoria e fino al Coronavirus ha portato lo Stivale nel cuore e nella testa di tutti i cittadini del mondo.
Secondo Amalfitano