Ode alle alici e alla loro colatura, l’oro liquido di Cetara

21 giugno 2020 | 09:59
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Ode alle alici e alla loro colatura, l’oro liquido di Cetara

Ode alle alici e alla loro colatura, l’oro liquido di Cetara. Ecco una ricetta che può riconciliare col mondo. Per quattro persone, mettere a cuocere in abbondante acqua NON salata da 300 a 400 grammi di spaghetti (a seconda delle abitudini casalinghe, la dose prevede da 80 a 100 g a testa). Mentre la pasta cuoce, preparate una padella con 8 cucchiai di olio extravergine d’oliva, un trito fatto con pochissimo aglio, abbondante peperoncino e prezzemolo e quattro cucchiai di “colatura di alici”. Scolate gli spaghetti al dente e ripassateli nell’intingolo per amalgamare il tutto. Nell’acqua di cottura non serve il sale perché la colatura di alici ha già tutta la sapidità, insieme con l’aromaticità, che serve al piatto.
In una manciata di minuti e con pochi semplici ingredienti avrete portato a tavola un primo regale, profumato di mare, che a ogni forchettata vi farà benedire la sapienza popolare, per come ha saputo nei secoli sviluppare gioielli gastronomici a partire da prodotti umili, come le alici, appunto.

Ma partiamo dall’inizio. Quei piccoli pesci dal dorso verde-bluastro e dalla pancia argentata, che nel Nord Italia sono chiamati “acciughe” e nel Centro Sud “alici”, fanno parte della famiglia del cosiddetto pesce azzurro, che caratterizza, tra le altre cose, la famosa dieta Mediterranea.

Le acciughe sono ricche di proteine nobili, fosforo, ferro, calcio e il prezioso Omega3 essenziale al benessere dell’organismo. Popolano i nostri mari, avvicinandosi alle coste in particolare verso la primavera e da sempre arrivano sulle tavole del Belpaese, tanto che sono l’alimento ittico più presente nei Pat, cioè l’elenco dei prodotti agroalimentari tipici, stilato dal Ministero delle politiche agricole e forestali per censire il meglio delle tradizioni della penisola, dove figura ben 18 volte, a sottolineare la sua importanza nella storia gastronomica delle diverse regioni.

Si va dalle voci alici marinate, sotto sale, salate e pepate, sott’olio della Calabria, alle alici marinate del Lazio e alici sotto sale del Golfo di Gaeta, e poi ancora da quelle marinate pugliesi ai filetti di alici e le alici sott’olio di Sicilia e la masculina da magghia del Golfo di Catania. Non mancano specialità più a nord, come le acciughe sotto sale del Mar Ligure e l’acciuga di Monterosso, fino in Veneto con le alici marinate del delta del Po. E, quando si arriva alla Campania, accanto a acciughe sotto sale, alicette piccanti, alici marinate e le prelibate alici di Menaica, troviamo proprio la colatura di alici, che nel borgo marinaro di Cetara, sulla Costiera Amalfitana, si prepara da secoli a partire dalla lavorazione delle acciughe da porre sotto sale.

Si tratta di un condimento liquido, per verdure, pasta, piatti di pesce e anche alcune carni, che è un vero concentrato di mare, i cui segreti sono tramandati di padre in figlio fin dal XIII secolo, dietro insegnamento dei monaci cistercensi della canonica di San Pietro a Tuczolo, colle vicino Amalfi.
Certo agli storici dell’alimentazione non è sfuggita la somiglianza della colatura con l’antico garum, una salsa derivante dalla fermentazione del pesce azzurro che gli antichi greci e romani amavano cospargere su molte pietanze, e che Plinio descrive nei banchetti dei patrizi cucinati dal mitico cuoco Apicio.

Il garum è certamente l’antenato della colatura, che è tuttavia molto più raffinata e, fermo restando il suo gusto intenso, più delicata. Si pensi che la versione romana era più densa e prodotta facendo fermentare in grandi vasche esposte al sole pesciolini e pezzetti di pesce, comprese teste e interiora. La colatura è invece liquida e limpida, dal bel colore ambrato: ne è quindi l’evoluzione.

Per ottenerla, le alici fresche di rete, sono eviscerate e private delle teste, quindi sistemate in un barilotto di legno di rovere detto terzigno (perché ha la capacità di un terzo di botte), a strati alterni di alici e sale. Il contenitore viene poi coperto col tompagno (un disco in legno) fermato con grosse pietre di mare. Per azione della pressatura e della maturazione delle acciughe, in superficie comincia ad affiorare un liquido, che nel normale processo di conservazione delle alici verrebbe eliminato. Ma l’antica arte di non buttar via niente e utilizzare anche ciò che per altri sarebbero scarti, ha portato al suo uso, che in questo caso è l’obiettivo principale.

Questo liquido viene prelevato a poco a poco che affiora ed esposto alla luce diretta del sole estivo. Dopo circa 4-5 mesi, ossia tra ottobre e novembre – visto che la stagione di pesce è in primavera – tutto è pronto per l’ultima fase: il liquido viene versato nuovamente nel terzigno dove si trovano le acciughe sotto sale. Attraversando lentamente i vari strati, ne raccoglie il meglio delle caratteristiche organolettiche, fino a essere recuperato, attraverso un foro praticato al fondo della botticella, da cui appunto ‘cola’. Infine, è trasferito in altro recipiente e imbottigliato. Il risultato è una incredibile fonte di sapidità, come un distillato di acciuga.
Perfetto anche al posto del sale per insaporire le verdure fresche o lessate (patate, scarole, broccoli ecc.) e alcuni piatti di pesce.

Fonte La Repubblica