Sorrento . Pediatra Carlo Alfaro . Terapia del Covid-19: promossi e bocciati.

21 giugno 2020 | 10:37
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Sorrento . Pediatra Carlo Alfaro . Terapia del Covid-19: promossi e bocciati.

Diciamo la verità: finora sulla terapia del Covid-19, la più grave emergenza globale per la salute pubblica dell’era moderna, non abbiamo nessuna certezza. Cure date via via per miracolose dalla stampa nazionale o mondiale sono state completamente sconfessate dalla clinica, impostazioni iniziali sono state del tutto riviste, e ancora la letteratura scientifica, nonostante migliaia di pubblicazioni e diverse centinaia di studi, non fornisce al momento indicazioni definite sulle terapie da somministrare ai pazienti, né c’è alcuna molecola registrata specificamente per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2, che rimane una malattia orfana, per la quale si usano farmaci nati per altre malattie, resi disponibili al di fuori delle usuali indicazioni terapeutiche, per un uso empirico o compassionevole (cioè in pazienti in fin di vita), con schemi e protocolli terapeutici sperimentali suggeriti da società scientifiche ed enti regolatori, come il programma “Solidarity trial” dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
In tempi di esami per gli studenti, proviamo a “dare i voti” alle terapie proposte finora, vedendo quali sono promosse e quali bocciate o rimandate, alla luce delle evidenze cliniche.
CLOROCHINA e IDROSSI-CLOROCHINA: bocciate!
Le clorochine sono note da oltre 70 anni e utilizzate correntemente contro la malaria e come anti-reumatici in patologie come l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso (LES). Nel 2005 avevano dimostrato attività antivirale contro il Coronavirus responsabile della SARS, che però era già sparito nel 2004. Per questo sono state sperimentate contro il SARS-CoV-2. I meccanismi dell’azione contro il Coronavirus non sono chiari: potrebbero interferire con ACE2, recettore di superficie per il virus, impedirne l’inglobamento nelle cellule di cui aumentano il ph, inibire la replicazione dell’RNA virale aumentando lo zinco intracellulare, oltre a vantare proprietà immunomodulanti e antiinfiammatorie, cui si ascrive il loro impiego in campo reumatologico. C’è stato molto entusiasmo sulla idrossiclorochina (Plaquenil), più attivo e sicuro della clorochina, come possibile farmaco di prima linea contro il COVID-19, e infatti è stato usato intensivamente dai medici del territorio nei pazienti Covid-19 a domicilio, con apparenti buoni risultati. Purtroppo, a dispetto dei primi studi cinesi e coreani, che promuovevano l’impiego precoce del farmaco, alla conferma diagnostica o anche al solo ragionevole sospetto, o addirittura alla proposta di uso profilattico per gli individui a maggior rischio come operatori sanitari e contatti stretti di ammalati, come è stato sperimentato in India e come ha dichiarato di fare Donald Trump, e anche al grande uso che, pur in assenza di protocolli definiti, se ne è fatto nell’epidemia italiana, le evidenze attuali non sono incoraggianti. Effetti collaterali anche gravi, soprattutto cardiaci (prolungamento QT), sono stati segnalati in tutto il mondo, in particolare se in associazione con macrolide, come si usa fare nel Covid-19 (azitromicina), oltre al rischio di crisi emolitiche in soggetti affetti da Favismo (oltre 400 milioni di persone al mondo, di cui molte non sanno di esserlo) e una serie di altri disturbi. A fronte di ciò, non ci sono prove certe di effetti benefici contro il Covid-19, e c’è il rischio di immuno-soppressione (motivo per cui è usata nelle malattie auto-immuni), che inficia la risposta dell’organismo al virus. Un importante lavoro pubblicato sul New England Journal of Medicine conclude infatti che non c’è stata differenza di efficacia tra placebo e idrossiclorochina, anche se ciò poteva dipendere dal fatto che il farmaco era stato somministrato tardivamente, 10-12 giorni dai primi sintomi, mentre sarebbe utile se usato nei primi giorni. A seguito di uno studio uscito il 22 maggio su The Lancet- la più prestigiosa rivista medico-scientifica del mondo- che, analizzando retrospettivamente le cartelle di quasi 100mila pazienti in tutto il mondo, ha evidenziato gravi rischi per la sicurezza dei pazienti Covid in trattamento con clorochina e idrossiclorochina, con riscontro di un tasso di mortalità più elevato (ma erano utilizzate in fase avanzata della malattia), l’Oms è stata indotta a sospendere tutti i trial con questi due farmaci, a partire dal 25 maggio. Anche l’Agenzia nazionale del farmaco, Aifa, ha in seguito a ciò sospeso il 26 maggio in Italia l’autorizzazione all’utilizzo di idrossiclorochina per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2 al di fuori degli studi clinici. Poi, colpo di scena, la settimana successiva all’annuncio della sospensione, il 3 giugno, l’Oms ha deciso la ripresa del trial sull’idrossiclorochina contro il Covid-19, sulla base della revisione dei dati disponibili condotta nei giorni successivi e soprattutto della “ritrattazione” degli autori dello studio che, con una nota di scuse del 2 giugno su The Lancet, dichiaravano, in risposta a una lettera di chiarimenti di 150 esperti, che sottolineavano tra l’altro che il farmaco è usato da anni in campo reumatologico per periodi molto prolungati con ampia esperienza clinica riguardo alla sua tollerabilità, di non poter garantire veridicità e appropriatezza dei dati presentati, il che ha comportato il ritiro della pubblicazione dello studio. Ciononostante, l’Agenzia europea del farmaco (Ema) continua a sottolineare come diversi studi osservazionali sul Covid-19 abbiano riportato che la clorochina e l’idrossiclorochina siano associate ad aumentato rischio di problemi cardiaci, tra cui aritmie e arresto cardiaco, o disturbi neuropsichiatrici (agitazione, insonnia, confusione, psicosi, istinto suicida, convulsioni), onde se ne consiglia l’uso solo in programmi nazionali di emergenza su pazienti ospedalizzati sotto stretto controllo, mentre i loro effetti benefici non sono stati stabiliti. Anche la Fda americana boccia la idrossiclorochina, ma i Medici del territorio italiani continuano a ritenerla preziosa nei protocolli farmacologici di cura domiciliare.
AZITROMICINA: bocciata!
Antibiotico della classe dei macrolidi, proposto nei protocolli in combinazione con idrossiclorochina per supposto effetto sinergico contro il SARS-CoV-2, oltre che per possibili effetti immunomodulanti, in base alle ultime evidenze della letteratura non mostra al momento né un solido razionale di uso nè prove di efficacia e sicurezza tali da poterne raccomandare l’utilizzo, da sola o associata ad altri farmaci, con particolare riferimento all’idrossiclorochina.
LOPINAVIR/RITONAVIR (KALETRA): rimandato!
E’ un farmaco anti-HIV, composto dall’antivirale Lopinavir, che blocca le proteasi virali, combinato con il Ritonavir, che ne prolunga l’attività inibendone la degradazione dalle proteasi umane. In pazienti Covid-19 gravi, uno studio cinese pubblicato sul New England Journal of Medicine non ha dimostrato benefici, per cui si consiglia di ricorrervi in fasi più precoci e in pazienti non molto compromessi.
REMDESIVIR: rimandato!
Analogo nucleotidico che viene incorporato nella catena di RNA del virus al posto dell’adenosina inattivandone la replicazione, è stato usato contro Ebola, SARS e MERS. Sperimentato con risultati promettenti nel Covid-19 in Cina e USA, i trials attualmente in corso per valutarne efficacia e sicurezza in infezioni da CoVid-19 di grado moderato/severo mostrano risultati discordanti quanto ai benefici. Remdesivir ha finora dimostrato di ridurre l’ospedalizzazione dei pazienti, ma non ha avuto un effetto statisticamente significativo sul numero di decessi.
FAVIPIRAVIR (AVIGAN): bocciato!
Molecola in grado di inibire l’azione dell’RNA-polimerasi virale, è stato sperimentato in passato contro virus influenzali, febbre gialla, West Nile, Ebola, e in Cina e Giappone contro il Covid-19; in Italia è diventato popolare grazie a un video su youtube di un giovane italiano in Giappone che ne magnificava l’uso, e l’Aifa ha approvato una sperimentazione clinica che terminerà a luglio, ma intanto la rivista che lo aveva pubblicato ha ritirato il lavoro del trial sull’Avigan nel Covid-19.
UMIFENOVIR (ARBIDOL): bocciato!
Si era diffusa sui social la falsa notizia che in Russia lo usassero con successo contro il Covid-19, in realtà non ci sono evidenze scientifiche che ne supportino l’efficacia nel trattamento o nella prevenzione. Già nel 2007, l’Accademia Russa delle Scienze Mediche ne consigliava il ritiro dai prontuari, in quanto “farmaco obsoleto con efficacia non dimostrata”.
TOCILIZUMAB: rimandato!
Nella fase 2 dell’evoluzione del Covid-19, si rende necessaria, oltre alla terapia anti-virale, una cura che controlli l’enorme risposta infiammatoria, la cosiddetta “tempesta di citochine”, che può portare rapidamente il paziente all’insufficienza respiratoria e al danno multiorgano. Molte speranze sono state riposte sul Tocilizumab, anticorpo monoclonale diretto contro il recettore dell’IL-6, riscontrata ad alti livelli in pazienti con polmonite grave da Covid-19. Usato da diversi anni per l’artrite reumatoide, e anche in oncologia, per bloccare la sindrome da rilascio di citochine dopo una terapia con le cellule CAR-T, il farmaco è stato sperimentato prima in Cina e poi in Italia con risultati inizialmente incoraggianti, anche se nel primo studio controllato, effettuato al San Raffaele di Milano e pubblicato su European Journal of Internal Medicine, purtroppo Tocilizumab non ha mostrato una significativa riduzione della mortalità né un significativo miglioramento clinico. Per vederci più chiaro, Aifa ha avviato una sperimentazione multicentrica randomizzata su scala nazionale in pazienti con polmonite da Covid-19, i cui risultati hanno decretato inesorabilmente che il farmaco non produce alcun beneficio né in termini di prevenzione dell’aggravamento (ingresso in terapia intensiva) né per quanto riguarda la sopravvivenza, al punto da dover interrompere la ricerca prima del previsto. Comunque, l’Aifa rimanda per indicazioni definitive sulla validità del farmaco nel Covid-19 al completamento di altri studi in corso. Al momento, alcuni studi indipendenti già conclusi e appena pubblicati o in via di pubblicazione (come Tocivid-19, quelli condotti nei centri di Montichiari e Torino in Italia, Corimuno-19 in Francia e quello eseguito dall’Università del Michigan) mostrano risultati incoraggianti, altri trial (Toci-Raf, lo studio promosso dall’Ospedale Sacco di Milano e quello promosso dall’Ausl di Reggio Emilia) non hanno mostrato risultati. Uno studio della Yale University, pubblicato sulla rivista Chest, ha notato miglioramento dei tassi di sopravvivenza, specie tra i pazienti che avevano bisogno di una ventilazione meccanica. Sarà importante conoscere i risultati degli studi prospettici randomizzati e controllati come lo studio internazionale multicentrico Covacta, i cui risultati saranno disponibili nel corso dei prossimi mesi.
FARMACI ANTI-INFIAMMATORI: rimandati!
Nuove speranze si ripongono su altri anti-infiammatori per i quali sono in corso sperimentazioni: Sarilumab e Siltuximab, anticorpi monoclonali anti-interleuchina-6; Baricitinib, Ruxolitinib, Opaganib, antagonisti delle piccole proteine coinvolte nella sintesi delle citochine; Selinexor, antitumorale che bloccherebbe le cellule infiammatorie; Emapalumab, anticorpo monoclonale anti-Interleuchina-1; Eculizumab, anticorpo monoclonale che agisce contro il sistema del complemento; Cankinumab, anticorpo monoclonale anti-interleuchina 1 beta; Anakinra, antagonista del recettore per interleuchina 1; Mavrilimumab, anticorpo monoclonale contro la subunità alfa del recettore per il fattore stimolante le colonie granulocitarie-macrofagiche; Pamrevlumab, anticorpo monoclonale ricombinante, diretto contro il connective tissue growth factor; Colchicina, vecchio farmaco anti-gottoso con proprietà anti-infiammatorie, che, secondo uno studio italiano pubblicato su Clinical Immunology, somministrato precocemente a domicilio, è sicuro ed efficace nell’interrompere la risposta infiammatoria che determina l’aggravamento clinico. Anche l’infusione di cellule staminali mesenchimali rientra tra le potenzialità terapeutiche di modulazione della risposta immune.
PLASMA DEI PAZIENTI GUARITI: rimandato!
Linea di ricerca emergenziale e sperimentale sviluppata contro il Covid-19 in Cina e poi provata in diversi Paesi del mondo, Italia compresa, l’uso del plasma dei convalescenti o guariti è una tecnica di immunizzazione passiva già utilizzata in passato contro rabbia, epatite B, poliomielite, morbillo, Ebola, SARS, MERS e influenza A H1N1. Sul plasma ottenuto per plasmaferesi viene valutato il titolo anticorpale neutralizzante, perché è utilizzabile solo plasma iperimmune (non tutti i guariti hanno nel proprio plasma la quantità di anticorpi neutralizzanti necessaria: di solito c’è correlazione con la gravità clinica), poi il plasma viene sottoposto a trattamento di inattivazione prima della trasfusione. Benché promettente, non è ancora un trattamento consolidato, perché non sono disponibili evidenze scientifiche robuste a suo supporto, che potranno essere fornite dai risultati dei protocolli sperimentali in corso: al momento, dallo studio multicentrico nazionale, chiamato “Tsunami”, emergerebbe solo una riduzione moderata del 5-10% della letalità e un accorciamento della degenza, ma senza una potenza statistica tale da garantirne la sicura efficacia, per cui potrebbe essere solo un’arma in più per i pazienti più gravi. Potenziali rischi connessi alla procedura sono quelli associati alle trasfusioni: febbre, brividi, sudorazione, ma anche shock anafilattico, sovraccarico circolatorio associato a trasfusione (TACO) e danno polmonare acuto associato a trasfusione (TRALI). Strada parallela è quella di utilizzare il plasma dei guariti per ottenere i geni delle immunoglobuline contro SARS-CoV-2 e avviare una produzione su scala industriale degli anticorpi monoclonali umani, sviluppandone farmacologicamente in laboratorio una quantità illimitata. Al momento sono stati isolati da una linea di ricerca italiana che fa capo allo Spallanzani di Roma 17 anticorpi neutralizzanti contro Covid-19, che saranno clonati ed espressi in laboratorio. Da Napoli è partito anche lo studio clinico pilota “Ipercovid” per valutare l’efficacia terapeutica delle immunoglobuline iperimmuni altamente purificate contro SARS-CoV2. Altre linee di ricerca stanno puntando allo sviluppo di anticorpi monoclonali sintetici contro la proteina Spike, con cui il nuovo Coronavirus “arpiona” le cellule.
EPARINA: rimandata!
L’eparina a basso peso molecolare trova indicazione nel Covid-19, oltre che per la sua attività anti-SARS-CoV-2 dimostrata in vitro, per il ruolo che le trombosi diffuse hanno dimostrato nella fisiopatologia del danno d’organo, in quanto la potentissima risposta immunitaria/infiammatoria al virus in fase 2 della malattia scatena l’attivazione incontrollata della coagulazione (ipercoagulabilità). Secondo Aifa, ci sono ancora evidenze incomplete e importanti incertezze anche in merito alla sicurezza (piastrinopenia, danno renale) per poterla raccomandare routinariamente. Attesa anche per i risultati dello studio, condotto al San Raffaele di Milano, sul Defibrotide, una miscela polidispersa di polideossiribonucleotidi ad azione profibrinolitica e antitrombotica.
DESAMETASONE: promosso!
I risultati dello studio Recovery, lanciato a marzo nel Regno Unito – uno dei più grandi studi clinici randomizzati e controllati al mondo per i trattamenti del Covid-19- hanno mostrato che il cortisonico Desametasone riduce le morti di un terzo tra i pazienti gravemente malati in terapia ventilatoria e di un quinto in quelli in ossigenoterapia. Rappresenta il primo farmaco che ha dimostrato di ridurre in maniera significativa i decessi causati dal SARS-CoV-2. Lo studio non ha riscontrato eventi avversi. L’Oms è pronta ad aggiornare le sue linee-guida per il trattamento del Covid-19 inserendovi anche il desametasone, dopo aver valutato anche i dati di una meta-analisi coordinata proprio dall’Oms.
RALOXIFENE: non classificato!
Il Consorzio europeo pubblico-privato, con forte presenza italiana, composto da 18 partner a guida Dompé farmaceutici e supportato dal programma Horizon 2020 dell’’Ue per la ricerca e l’innovazione, ha identificato, grazie a tecniche di intelligenza artificiale, un farmaco usato contro l’osteoporosi, il Raloxifene, come utile opzione terapeutica nei casi lievi e moderati di Covid-19. Ora dovrà iniziare la sperimentazione clinica.
In conclusione, per mantenere la metafora scolastica…contro il Covid-19 dobbiamo studiare ancora molto!
Carlo Alfaro, pediatra aslnapoli3sud