Incontro con il poeta Gianni Manichetti |
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Cantami o Gianni le tue serenate/Raccontami della valle il lockdown.

23 luglio 2020 | 11:59
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Cantami o Gianni le tue serenate/Raccontami della valle il lockdown.
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Incontro con il poeta Gianni Manichetti riflessioni e facezie sul mondo in quarantena.

L’endecasillabo, com’ è scritto nella Treccani, è un verso di 11 sillabe metriche, con accento principale obbligato in decima posizione. È, secondo molti, il verso principe della tradizione metrica italiana: il più versatile, anche perché ritmicamente più duttile e maestoso. Finito il liceo raramente mi è capitato d’incontrare persone che amavano cimentarsi con questo verso, ricordo però con piacere Marco Cavicchioli che, fortunatamente, da alcuni anni le sue lezioni ha messo in rete, e grazie a lui tanti studenti possono ancora imparare a poetare in questa maniera che vede in Dante il più grande di tutti, e mi perdoni il nostro Torquato Tasso. Gianni Menichetti artista, poeta e custode-eremita del Vallone Porto di Positano è uno dei rari esempi di cultori dell’endecasillabo, e se è vero come è vero che le sue poesie sono prevalentemente in lingua inglese, tutte le volte che ho il piacere di incontrarlo non disdegna di cimentarsi in play literary fatti di citazioni poetiche in italiano. Del resto lui, toscano di nascita, oltre che della lingua di Shakespeare non poteva non essere anche padrone di quella del Guelfo bianco. Una persona molto interessante Menichetti lontano anni luce dallo stereotipo dell’eremita, sia di quello religioso votato all’ascesi che di quello laico, che ha deciso di tenersi lontano dal mondo dell’homo oeconomicus, rinunciando ad ogni forma di socializzazione. Gianni Menichetti anche se ha rinunciato da tempo alle comodità dell’homo faber: energia elettrica, acqua corrente, Tv, Pc e soprattutto il cellulare, non disdegna ogni tanto l’incontro con gli altri, e come gli accadeva fin dai tempi della convivenza con la pittrice australiana Vali Myers, elegge la danza, che lui interpreta con la religiosità di un derviscio, a mezzo preferito di incontro con gli altri. Per gioco mi diverto da qualche tempo a definirlo homo oecologicus “dal pensiero non convenzionale” aggiungerebbe Kozo Mayumi, nel senso di persona ben integrata con l’ambiente naturale con il quale con-vive al contrario dell’homo oeconomicus che nell’ambiente vive alla perenne ricerca di risorse da sfruttare per il proprio tornaconto personale . Quando lo vedi aprire il cancello del suo “regno” (tra un paio d’anni, se non ricordo male, saranno 50 quelli trascorsi dalla prima volta che mise piede nel Vallone Porto), ti viene spontaneo salutarlo con “M’apparisti così come in un cantico” (Gozzano), e lui di rimando è facile possa risponderti “Solo e pensoso i più deserti campi/vo mesurando a passi tardi et lenti”(Petrarca). Al che io accetto il gioco e aggiungo “E come potevamo noi cantare // con il – virus – straniero sopra il cuore // fra i morti abbandonati nelle piazze”(Quasimodo). Eh già, l’eco della pandemia è giunta fin quassù, il silenzio degli uomini costretti nelle loro case, come vento di mare si è arrampicato lungo il sentiero che un tempo i pescatori chiamavano la “Cavalcata di Murat” e attraverso le selve di mirto e rosmarino, asfodeli, garofanini, rose selvatiche e grandi cespugli di cappero ha raggiunto la sommità della forra, decretando per un paio di mesi la tregua tra volpi, rettili, anfibi, rapaci e abitanti umani delle zone limitrofe. Durante il lockdown, il canyon sembrava l’Eden che Dante pone sulla sommità del monte del purgatorio, e se di notte lasciavi il caldo tepore della pagoda, seguito dalla muta di cani fulvi come volpi, dal dirupo ti potevi sporgere e tra le chiome del castagneto ceduo osservare le “Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea // tornare ancor per uso a contemplarvi” (Leopardi) . Poi il lockdown è finito, ed è cessata anche la tregua tra gli umani e gli animali, e s’io pur conforto/ l’anima trista (Boccaccio) che fa li miei spiriti / gir parlando (Dante) purtroppo aggiungo che le fiere “si fuggon pur su per la costa/e tu soletto riman nella valle” (Boccaccio). Il gioco di endecasillabi e citazioni illustri a me e Menichetti serve anche a raccontare di una pandemia che nel Vallone Porto ha registrato momenti diametralmente opposti, e se la cattività degli uomini ha regalato agli animali una vacanza insperata da smog e inquinamento, allo scoccare della fine della reclusione in casa propria, gli uomini e le donne son tornati a inquinare, incattiviti nell’animo, azzardo a scrivere, perché il virus ha tolto loro certezze economiche, soprattutto aumentato la forchetta tra ricchi e poveri, questi ultimi sono aumentati, mentre il ceto medio boccheggia come le rane di Menichetti nell’acqua stagnante durante la siccità estiva. Eppure quando osservo Gianni vedo un uomo di sessantasette anni sano e robusto, che vive della sua arte e di quello che madre natura gli offre, dorme sonni tranquilli anche se in tasca non ha una carta di credito oro, e non si è mai sognato di mangiare uno dei pipistrelli che vivono nella forra né tantomeno uno dei suoi bellissimi cani rossi, e quando a fine giornata il suo sguardo si ritira dal paesaggio e la notte dilata l’anima afferra quell’attimo di eterna felicità che noi del mondo di fuori ci affanniamo a voler comprare con gli euro senza riuscirci.
di Luigi De Rosa