Torquato Tasso, precursore del nichilismo?

25 luglio 2020 | 13:53
Share0
Torquato Tasso, precursore del nichilismo?

Nella splendida cornice di Villa Pompeiana, perla del complesso Hotel de la Syrene a Sorrento, grazie alla munifica accoglienza e ospitalità della N. D. Elsa Russo, si è tenuta una conferenza che aveva per tema «Da Galeato a Torrismondo. La ricerca tassiana di una tragedia per la modernità», brillantemente esposta dalla prof.ssa Elisabetta Selmi, alla quale mi accomuna l’amore per la letteratura e l’indagine psicologica degli autori e dei loro personaggi. La familiarità con la Poetica di Aristotele spingeva Tasso a rivolgere un’attenzione particolare alla tragedia. Oltre a impiegare schemi “tragici” per la composizione della Gerusalemme liberata (cf. 5.2.8), il poeta mise mano, fra il 1573 e il ’74, a una tragedia dal titolo Galealto re di Norvegia. Rimasta interrotta alla scena IV dell’atto II, essa fu poi ripresa dopo la liberazione da Sant’Anna. Tasso ne cambiò i nomi dei protagonisti, vi apportò altre variazioni e la concluse dandole il nuovo titolo Il re Torrismondo. Lo sfondo geografico dell’azione è una regione nordica, compresa tra il Regno dei Goti e quelli di Norvegia e di Svezia. Tra lampi di barbarica violenza, tra passioni incontenibili, sullo sfondo di una natura tempestosa, con mari eternamente agitati e sferzati dal vento, Tasso mostra tutta la sua curiosità per le storie del Nord dell’Europa (evidente anche in un episodio della Gerusalemme liberata, quello della morte di Sveno, re dei Dani). Questa curiosità era alimentata dalla lettura anche de l’Historia de gentibus septentrionalibus del vescovo di Uppsala Olof Mänsson, detto Olao Magno. In questo paesaggio cupo e desolato i personaggi si muovono smarriti, l’azione è dominata in gran parte dal conflitto tra amore e amicizia vissuto da Torrismondo, che ama, riamato, la principessa di Norvegia Alvida, ma ha promesso di offrirla in sposa all’amico Germondo, re di Svezia. Nell’atto IV la situazione si complica con l’emergere del tema dell’incesto, attraverso il quale la tragedia pare ricollegarsi all’Edipo re di Sofocle. Torrismondo scopre che l’amata Alvida è sua sorella, e l’azione precipita col suicidio di Alvida e Torrismondo e con il lamento funebre dei sopravvissuti (riecheggiato dal coro finale Ahi lacrime, ahi dolore). A mio modesto parere, il Tasso è il precursore dell’imperante nichilismo che deriva dal latino nihil (che significa “nulla”). Il termine fu usato per la prima volta dal filosofo F. H. Jacobi nel 1799 e ha caratterizzato il pensiero di intellettuali illustri. Lo ritroviamo nello scrittore russo F. M. Dostoevskij, nella speculazione di A. Schopenhauer, sino ai filosofi esistenzialisti del ‘900 come M. Heidegger e J.-P. Sartre. Tuttavia, un significato ampio, complesso e celebre della dottrina è stato offerto dal filosofo F. W. Nietzsche. Tento un ardito parallelismo tra Tasso e Foscolo per rendere meglio ciò che intendo dire. Ne Il re Torrismondo, non ha importanza tanto il ritmo scenico: lento e meccanico, quanto la rappresentazione della vanità di ogni progetto; di fronte alla forza nullificante della morte, tutto appare irrimediabilmente privo di senso. Nonostante gli ornamenti e le amplificazioni retoriche, ogni momento della tragedia sembra compresso da un nudo desiderio di morte e dalla negazione di ogni valore dell’esistenza. La vita si caratterizza come priva di senso, scopo, non c’è nessuna verità forte da ricercare, non ci sono obiettivi, certezze e valori oggettivi da raggiungere e su cui misurarsi. Ma il Tasso sembra “ripen-sarci” col tentativo ambizioso di poesia religiosa degli ultimi anni, il poema in endecasillabi sciolti Le sette giornate del mondo creato, dove il lettore viene “invitato” a tenere in giusto conto la potenza divina per suscitarne devozione. Uno dei più celebri romanzi scritti da Foscolo è Ultime lettere di Jacopo Ortis. La trama è incentrata su Jacopo che, attraverso delle lettere inviate all’amico Lorenzo, ci narra le sue tragiche e drammatiche vicissitudini. Il protagonista per sfuggire alle persecuzioni politiche si rifugia sui colli Euganei (vicino Padova). Qui incontra Teresa, già promessa ad un altro uomo, e se ne innamora. Trafitto dal dolore Jacopo inizia un lungo pellegrinaggio sino a che, alla notizia del matrimonio dell’amata, decide di tornare in Veneto e di suicidarsi. La morte di Jacopo è il simbolo del suo sentirsi senza vie d’uscite, è la vittoria del “nulla eterno”. Tuttavia, l’illusione della sopravvivenza del protagonista dopo la morte lascia aperta la possibilità di superare la disperazione nichilista. Nell’opera Dei Sepolcri, Ugo Foscolo porta definitivamente a compimento quella riflessione che lo conduce a superare il nichilismo. L’illusione della sopravvivenza dopo la morte è garantita dall’esistenza della tomba. All’inutilità e ineluttabilità di qualsiasi azione materiale che sfocia nel suicidio, si contrappone nei Sepolcri la possibilità di un riscatto. Difatti la sopravvivenza dei valori positivi anche dopo la morte ridà all’uomo la fiducia nel suo agire e nel suo plasmare la storia. La tomba diventa la garanzia di un’illusione di sopravvivenza dopo la morte (attraverso la memoria dei vivi) che salva la possibilità di poter mantenere in piedi dei valori positivi da realizzare. Speriamo che la lettura dei “grandi” e il ricordo dello sfilare delle bare sui camion militari, ci faccia riflettere sulla nostra finitudine e ci renda migliori.
Aniello Clemente