C’era una volta in Positano
Lasciato quello che da queste parti chiamano il Palazzo del Generale, ci si incammina lungo una mulattiera, che la leggenda vuole nei tempi andati fosse percorsa a cavallo da Re Gioacchino per raggiungere un bel padiglione moresco a qualche miglio di distanza, in quello che oggi nominano Vallone Porto. Il padiglione non sappiamo se venisse usato come una garçonnière o un semplice posto di ristoro, ma poco importa, non siamo storici né aspiriamo a esserlo. Quello che ci preme raccontarvi è che il padiglione sorge in fondo ad uno spiazzo coltivato a giardino, con una fontana e alcune vasche che, anni dopo Murat, il naturalista Octo Bauer userà per i suoi esperimenti sul sangue degli anfibi. Un giardino che si sviluppa a ferro di cavallo, che sorge su un promontorio di pochi metri quadri a picco su di un canyon selvaggio. Prima di raggiungere il padiglione c’è una grotta. Seduti sull’ingresso di quest’ultima, e guardando in direzione di Positano, in certe mattine di primavera, terse e senza nuvole, i tre isolotti de Li Galli assomigliano a una bella donna distesa sulla schiena tra le acque quiete del golfo. La Sirena ha i capelli arrossati nelle prime luci dell’alba, e due mammelle grosse e puntute accarezzate dal tremulo scotio delle onde. Vali, mi racconta chi l’ha conosciuta, era così: una dea sensuale e selvaggia. Una donna forte. A quattordici anni, dopo essersi pagata le prime lezioni lavorando come operaia, debutta come ballerina nella Melbourne Modern Ballet Company e di lì a poco ne diventerà la Prima ballerina. Ma il palcoscenico australiano le andò subito stretto, lei che discendeva dai primi galeotti inglesi sbarcati in Australia nel 1792, aussies purosangue, non era fatta per una vita semplice e ordinaria. Fu così che a 19 anni acquistò un biglietto di sola andata per l’Europa. Il transatlantico sul quale s’imbarcò, fece tappa prima in India, poi nei Paesi Arabi, quindi gettò l’ancora a Marsiglia da dove la ragazza raggiunse Parigi. Nella Ville Lumiére la bella australiana non divenne l’étoile che tutti ci saremmo aspettati ma una pittrice visionaria e raminga, l’australiana della rive gauche, Saint-Germain-des-Prés il suo regno e di “Ed” van der Elsken, il suo primo grande mentore. Una pittrice dall’animo gitano, forse per questo legò con Django Reinhardt, genio della musica jazz, che assecondò costantemente nella sua di vita passioni e istinti, il denaro gli serviva solo per dilapidarlo. Era il 1950, e Vali tra i boulevard conobbe un altro genio che portava inchiodato addosso il nome del fratello maggiore morto di meningite: Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí i Domènech; all’età di cinque anni, Salvador Dalí fu condotto sulla tomba del fratello dai genitori, i quali gli fecero credere di esserne la reincarnazione, delirio del quale si convinse e che lo fece impazzire. Genialità, pazzia e dolore siedono alla stessa tavola della vita, se non li tieni a bada, ti cannibalizzeranno. Dopo Dalì fu la volta di Jean Cocteau: “L’istinto di quasi tutte le società è di rinchiudere chiunque sia davvero libero!“, avrà condiviso anche con la rossa di Melbourne queste riflessioni, il grande poeta di Maisons-Laffitte?, per poi aggiungere: “Per prima cosa, la società inizia col cercare di picchiarti. Se questo fallisce, cercano di avvelenarti. Se anche questo fallisce, finiscono col caricarti di onori“. Qualche tempo dopo, l’incontro con Jean Genet: “Mi sono fatto un’anima a misura della mia dimora.” Ecco, questa forse fu la frase magica per l’anima inquieta della ragazza venuta da lontano: una dimora per la propria anima.Vali Myers avrà riflettuto a lungo sulle parole di Genet, mentre vergava i suoi primi quadri, in modo minuzioso, attento, perentorio, cercando l’essenzialità e rifuggendo l’artificiosità, proprio come l’altro suo grande amico di allora, Grabriel Pommerand, fece con la poesia, dando vita al lettrismo, arte che accetta la materia delle lettere ridotte e diventate semplicemente se stesse. Una donna vulcanica come Vali Myers avrebbe potuto avvicinare Simone de Beauvoir ma non Jean-Paul Sartre, si tenne invece lontana da entrambi, non amava l’esistenzialismo. Nel 1952 Vali si convince a seguire in un viaggio in Italia l’amico Mati Klarwein che di lì a qualche anno firmerà le copertine degli album di Miles Davis e Santana. Giungono insieme in un villaggio di pescatori dell’Italia meridionale: Positano. La ragazza australiana ci tornerà l’anno dopo nel 1953 con l’architetto Rudi Rappold che sposerà nel 1955. Ma fu l’anno prima, nel 1954, durante un pomeriggio assolato nel mese d’agosto che Vali trovò quella dimora per la sua anima di cui aveva parlato Jean Genet. La giovane coppia di stranieri si era arrampicata lungo un irto sentiero tra selve di mirto e rosmarino, rose selvatiche, cespugli di capperi abbarbicati sulle rocce, piante di sambuco nero, sanguinella, viburni, e poi un bosco immenso, quasi soffocante come quelli descritti da Tolkien, fatto di castagni, roverelle, carpini neri, lecci, e alla fine di questo paradiso incontaminato, popolato da anfibi, rettili, uccelli e roditori, su in vetta, ecco il padiglione moresco, nascosto da un muro di cinta, alla fine di un giardino abbandonato. “Nessuno mi stava aspettando. Ma mi aspettava ogni cosa” questa è una frase che rubo a un’altra grande amica di Vali, Patti Smith, che più di altre parole rende quello che la giovane pittrice australiana provò, entrando per la prima volta nel Giardino del Principe. Vali s’innamorò del Vallone Porto, e il Vallone Porto s’innamorò di lei. Ebbe la fortuna di trovare nell’allora Sindaco di Positano, il Marchese Paolo Sersale, un uomo illuminato che le concesse l’affitto del padiglione, che sarà restaurato e reso abitabile da Rudi. Quando la Myers comincia a vivere nella valle, oltre a dedicarsi anima e corpo alle sue opere, si circonderà di animali verso i quali conserverà sempre un profondo amore e rispetto, Foxy, la volpe, fra tutte quelle creature, la sua preferita. Ma la vita nel Vallone Porto non fu mai completamente idilliaca, spesso, negli anni, con il cambio di amministrazione al Comune di Positano si presentarono puntualmente anche i tentativi di sfrattarla, perché era la “strega” come veniva chiamata con ostilità da una parte della popolazione. “Certe cose non si perdonano. La crudeltà premeditata non è perdonabile! È la sola cosa imperdonabile, secondo me, la sola di cui non sono stata mai colpevole“, questo è quanto scrive Tennessee Williams nella sceneggiatura del suo capolavoro “Un Tram chiamato desiderio”, credo che Vali avrebbe preso in prestito quest’espressione dell’amico per poter esprimere tutto il dolore provato ogni volta che, inginocchiata, raccoglieva il corpo straziato dal veleno, di uno dei suoi cani. “Certa gente è ottusa e crudele“, ancora Tennessee Willliams. Nel 1971 arriva nel Vallone Porto un ragazzo toscano, che era venuto a Napoli a seguire delle lezioni presso l’Istituto Orientale: Gianni Menichetti. Da allora le esistenze di Vali e Gianni diventeranno una e, salvo alcuni momenti, il loro amore rimarrà saldo fino alla fine. Vali Myers visse nella Valle per molti anni divenendone difatti il nume tutelare, Gianni Menichetti ne è invece il custode. Negli anni la “nuage rouge” de “la rive gauche” alternerà lunghi soggiorni a Positano con brevi periodi a New York nel famoso Chelsea Hotel, il rifugio dei grandi artisti, da Bob Dylan a Charles Bukowski, per citarne solo alcuni, con puntate sempre più frequenti nella sua Melbourne dove si spegnerà il 12 febbraio del 2003. Probabilmente se ha un fondamento di verità la reincarnazione, oggi Vali è una volpe che raminga se ne va per il canyon o un dingo solitario del bush australiano. Che cosa rimane di lei? Mi sono chiesto in questi anni di domande rivolte a chi l’ha veramente conosciuta, e la risposta che mi sono dato è: la Valle. Se non fosse esistita Vali Myers, forse il Vallone Porto di Positano oggi sarebbe l’ennesimo scempio ambientale di cui indignarsi senza però aver mosso un dito prima. Certo ci restano le sue opere, non ho conoscenza di un incontro tra i Rolling Stones e Vali quando questi ultimi vennero a Positano, ma so per certo che alcuni dei suoi capolavori sono oggi di Mick Jagger, beato lui. Ci sarebbero molte altre cose da aggiungere su Vali, ma volutamente le terrò per me. Non sono segreti indicibili, sono quelli che Francesco Piccolo definisce “momenti di trascurabile felicità”, che Patti Smith nella sua biografia che arriva in questi giorni nelle librerie italiane, “L’Anno della Scimmia“, definisce “la vera forza che fa stare in piedi“, che è giusto che rimangano celati. E’ mia convinzione che di un uomo e di una donna non vada raccontato tutto, alcune cose devono rimanere patrimonio di Dio, soprattutto in quest’epoca di condivisioni superficiali. “C’era una volta” è la prima riga di ogni fiaba, “e vissero felici e contenti nel Vallone Porto di Positano”, è l’ultima riga della fiaba di questa indimenticabile donna venuta dall’altra parte del Mondo.
Buon Compleanno Vali
di Luigi De Rosa
P.S: Quest’articolo vuole essere solo un modesto omaggio ai 90 anni che avrebbe compiuto oggi, 2 agosto 2020, Vali Myers, che non ho avuto il piacere di conoscere personalmente. Tutto quello che ho scritto è frutto di letture e soprattutto chiacchiere con chi l’ha conosciuta veramente, se ci sono errori chiedo scusa, ma è il mio personalissimo modo di dire ancora una volta “Grazie” a chi, pur essendo straniera, ha amato e rispettato profondamente la nostra terra.