Covid-19 in Italia, ci dobbiamo preoccupare?
In Italia (in cui lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 15 ottobre, al momento), l’ultimo monitoraggio settimanale sull’epidemia di Covid-19, relativo al periodo 10-16 agosto 2020- che, come al solito, per i tempi che intercorrono tra l’esposizione al virus e la diagnosi e successiva notifica, si riferiscono a contagi verificatisi almeno 2-3 settimane prima- conferma il trend di progressivo aumento dei casi, in costante crescita, purtroppo, a partire dall’uscita dal lockdown. Un altro dato è che continua il forte abbassamento dell’età mediana della popolazione che contrae l’infezione, attualmente arrivata a 30 anni (nel monitoraggio precedente era 40 anni). Questo abbassamento è in rapporto al fatto che la circolazione del virus avviene prevalentemente tra adolescenti e giovani adulti, nei contesti dei luoghi di aggregazione e dei viaggi. Si riscontra anche una generalmente scarsa gravità clinica dei casi diagnosticati che, nella maggior parte dei casi, sono asintomatici, anche perché la maggior parte sono individuati attraverso attività di screening o contact-tracing (test su contatti stretti di casi confermati). L’indice di trasmissione nazionale (Rt) resta inferiore a 1 (limite di sicurezza nei confronti del rischio di crescita dell’epidemia), ma, essendo questo indice calcolato sui casi sintomatici, potrebbe sottostimare la reale trasmissione del virus. Sebbene in alcune aree del territorio nazionale la circolazione di SARS-CoV-2 appaia rilevante, in nessuna delle Regioni sono stati identificati segnali di sovraccarico dei servizi sanitari e i focolai sono prontamente identificati e isolati. Nella settimana di monitoraggio sono stati riportati complessivamente 1077 focolai attivi (per focolaio si intende 2 o più casi tra loro collegati), in aumento rispetto ai rilievi precedenti. Alcuni focolai risultano associati all’importazione di casi da Stati esteri (rientro dopo periodi di vacanza in Paesi a più elevata circolazione virale), ma non mancano catene locali di origine non nota. Tale quadro epidemiologico in progressivo peggioramento, sebbene non delinei ancora una situazione critica, mostra sempre più dei segnali che richiedono una particolare allerta e comportano la necessità di: rafforzare la consapevolezza della popolazione su importanza di distanziamento, igiene e mascherine; potenziare la ricerca attiva e l’accertamento diagnostico dei casi; isolare rigorosamente i casi confermati; ricercare attivamente i loro contatti stretti. Tutto ciò, ai fini di controllare la trasmissione del virus e identificare rapidamente e fronteggiare eventuali recrudescenze epidemiche. Un dato incoraggiante è che, nonostante l’aumento dei contagi, non aumentano i ricoveri ospedalieri né ci sono segnali di sovraccarico dei sistemi sanitari. Ciò è da attribuire a diversi fattori di protezione: le capacità del sistema di intercettare precocemente i nuovi casi e isolarli, l’età media bassa dei contagiati e dunque con mancanza di fattori di rischio e comorbidità, l’uso di distanziamento e mascherine, la carica virale più bassa (i positivi con una carica virale molto bassa non riescono a essere contagiosi), dell’ordine attualmente di migliaia di virus per ml, mentre a marzo si riscontrava una concentrazione virale dell’ordine di milioni di virus per ml (anche se le ultime rilevazioni hanno mostrato un incremento notevole della carica virale, fino a oltre 1 milione anche nel 50% dei tamponi effettuati, espressione di una aumentata circolazione del virus e di un aumento di infezioni recenti, poiché la carica virale tende a esaurirsi col tempo), l’ipotetica nuova mutazione del virus che lo rende meno virulento. Tuttavia, non è da escludere che questi giovani possano trasmettere l’infezione a genitori e nonni, che potrebbero sviluppare forme più complicate del Covid-19: è probabile che anche nei mesi prima di marzo-aprile in Italia il numero di giovani asintomatici o pauci-sintomatici fosse elevato come ora (già a partire da dicembre 2019 o addirittura prima), fino a che la circolazione è diventata così massiva da coinvolgere gli anziani e i malati cronici e sono aumentati ricoveri e necessità di cure intensive. Potremmo, dunque, aspettarci una seconda ondata tra settimane o mesi, quando, se continuerà l’aumento dei contagi, ci sarà un interessamento delle fasce a maggior rischio. Modelli matematici hanno infatti documentato che un positivo può contagiare fino a 20 persone, per cui il Sars-CoV-2 ha la capacità di crescita esponenziale che lo rende un virus pandemico. E più aumenta il numero dei contagiati, più c’è la possibilità di coinvolgimento dei pazienti fragili e vulnerabili e salgono ricoveri e morti. Gli asintomatici dovrebbero essere meno contagiosi, in linea teorica, perché per essere asintomatici dovrebbero avere minor carica virale (anche se ci sono eccezioni) e perché non avendo starnuti e tosse espellono di meno il virus nell’ambiente, ma possono comunque contagiare, soprattutto in casi di esposizione continuativa e a distanza ravvicinata senza mascherine, ed essere addirittura più pericolosi ai fini della diffusione perché non vengono facilmente identificati e dunque isolati. Esistono poi i misteriosi “super-diffusori”, che sono solo il 10% dei positivi e, non si sa perché, hanno una carica virale più elevata (1 o più miliardi di particelle per ml) per cui contagiano un numero eccessivo di persone (come Mattia di Codogno, il “paziente 1” dell’epidemia italiana). La speranza sarebbe che, diffondendosi tra i giovani senza provocare danni, l’epidemia evolvesse verso l’immunità di gregge, ma in realtà non si sa se il nuovo Coronavirus dia immunità permanente, requisito per l’immunità di gregge, e in generale solo l’1% dei tamponi che vengono effettuati (su base mirata) è positivo (per l’immunità di gregge deve essere coinvolto il 70% della popolazione). Oltretutto, secondo i risultati dell’indagine di siero-prevalenza del Ministero della Salute e Istat effettuata su un campione di 64.660 soggetti nel Paese statisticamente rappresentativo di tutta la popolazione dal 15 maggio al 15 luglio, sono solo meno di 1 milione e mezzo gli Italiani (senza differenze di genere) che risultano IgG positivi, ovvero che hanno incontrato il nuovo Coronavirus sviluppando gli anticorpi (il 2,5%). Forti le differenze regionali, con la Lombardia che raggiunge il valore massimo di sieroprevalenza pari al 7,5% e le Regioni del Mezzogiorno che si attestano sotto l’1% (valori minimi in Sicilia e Sardegna), ma anche intraregionali (con picchi del 24% di Bergamo e del 19% di Cremona). Tra i lavoratori della sanità si registra la sieroprevalenza più alta (5,3%), seguono gli addetti ai servizi di ristorazione (4,2%). La trasmissione intrafamiliare è molto elevata (41% dei casi) e il 27,3% sono completamente asintomatici. In conclusione, mentre a livello mondiale la pandemia è in fase florida, con molte Nazioni in piena diffusione interna, altre in cui il picco è passato ma è in atto una pericolosa recrudescenza, l’Italia si trova ora in un momento estremamente delicato: deve raccogliere la sfida di aprirsi al futuro senza vanificare gli sforzi e i sacrifici fatti finora per il contenimento dei contagi (che hanno fatto dell’Italia un modello virtuoso per la lotta all’epidemia, elogiato da altri Paesi) e senza dimenticare i suoi 35mila morti per Covid-19, che potrebbero essere stati in realtà molti di più: perché non vogliamo ce ne sia neanche uno oltre questi.
Carlo Alfaro