“Positano Teatro Festival”, la ripartenza è con Raffaele Viviani ed è un successo! foto segui la diretta

Positano – Ieri sera davanti a un pubblico numeroso ma ben distanziato perché l’anfiteatro positanese di Piazza dei Racconti si presta a simili manifestazioni è andato in scena il primo dei tre spettacoli che quest’anno caratterizzeranno la XVII edizione del Positano Teatro Festival – Premio Annibale Ruccello. La presentatrice Martina Carpi ha sottolineato come nonostante le problematiche legate alla pandemia, non si è voluto rinunciare a quest’importante appuntamento culturale, anche se quest’anno gli appuntamenti saranno solo tre, sempre però all’insegna del “ridere, riflettere e commuoversi“. Martina Carpi ha aggiunto che  si è dovuto rinunciare anche al teatro itinerante che con orgoglio permetteva di dire agli organizzatori che il teatro a Positano è “l’unico ad alto tasso panoramico“. Le tre serate, infatti, avranno come unica location Piazza dei Racconti, e c’è da sottolineare con rammarico che questa versione, come dire,  “light” della kermesse ha impedito che fossero presenti molte compagnie teatrali e attori amici di Positano ai quali con profondo rammarico si da appuntamento al prossimo anno. Gli onori di casa sono stati fatti dal Sindaco Michele De Lucia, che agli appuntamenti culturali anche in questa situazione drammatica, nei limiti del possibile, non ha voluto rinunciare, e seguendo i protocolli sanitari dettati dal Comitato scientifico nazionale, è riuscito con l’ausilio prezioso del vice sindaco con delega alla cultura Francesco Fusco a proporre spettacoli musicali e teatrali di alto profilo. Il direttore artistico Gerardo D’Andrea ha introdotto l’autore principe della prima serata Raffaele Viviani, attore e commediografo di Castellammare di Stabia, autore di più di venti opere teatrali, film e musiche; opere che hanno raccontato il popolo, che col tempo hanno dimostrato di avere respiro internazionale e meritato le ribalte anche dei teatri europei, perché Viviani non è autore “provinciale” come, ahinoi, alcuni credono sbagliando. Gerardo D’Andrea ha citato “Tuledo ‘e notte” e “A musica d’ ‘e cecate” di cui ha raccontato alla platea, deliziandola, una messinscena alla quale ebbe la fortuna di assistere anni fa per la regia di Patroni Griffi, con scene e costumi curati da Ferdinando Scarfiotti (Premio Oscar 1988), con le musiche di Viviani rielaborate da Fiorenzo Carpi  che vide come protagonista un giovanissimo Mariano Rigillo, attore superbo che proprio durante questa prima serata ha ricevuto il Premio Annibale Ruccello 2020, esaltando il pubblico presente con una prova attoriale magnifica, dedicata sempre al drammaturgo stabiese; commuovendoci poi con un personale ricordo del compianto Annibale Ruccello. Ma il teatro di Viviani è anche un inno alla donna, che il poeta stabiese ha rappresentato sempre con personaggi dal carattere forte, passionale, dal piglio cinico e sarcastico, pronte a vendere cara la pelle quando la società le condannava al degrado estremo. A queste donne ha reso omaggio una bravissima Antonella Morea che per più di un’ora ha recitato e cantato strappando più di un applauso. “Don Rafele, ‘a Zucconas e Bammenella. Il mondo della poesia e della musica di Raffaele Viviani”, questo il titolo del percorso drammaturgico scritto da Delia Morea, che ha permesso al pubblico presente nella cavea di ascoltare belle canzoni, monologhi e poesie di don Raffaele. Meritano citazione i componenti dell’ensemble musicale che ha accompagnato la prova dell’attrice napoletana: Mariano Bellopede (pianoforte), Franco Ponzo (chitarra) e Gianluca Mirra (batteria e percussioni). La serata si è conclusa con la consegna del Premio Annibale Ruccello, che quest’anno consisteva in una preziosa opera di Chiara Dynis, l’artista degli ossimori, a Mariano Rigillo. Vi diamo appuntamento a stasera alle ore 20.45 con un altro grandissimo autore Enzo Moscato e i suoi Ritornanti, un titolo preso a prestito da Anna Maria Ortese, che con questo nome descrive i folletti, gli spiritilli, che abitano la città di Napoli; ma sta anche a significare il ritorno ossessivo degli stessi temi. È, secondo le parole dell’autore, un modo di portarsi dietro “le proprie masserizie ideologiche e grammaticali”, perché “nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro. Nessun movimento, nessun gesto, nessun respiro, già vissuti, dovrebbero essere considerati finiti, de-finiti, esautorati. Morti.
di Luigi De Rosa
(le foto presenti nell’articolo sono courtesy dell’autore Vito Fusco)

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