“Ritornanti” di Enzo Moscato, interpretazione superba nonostante il vento
Ieri sera nell’ambito della manifestazione “Positano Teatro Festival XVII edizione” in Piazza dei Racconti è stata rappresentata l’opera “Ritornanti” di Enzo Moscato, lo scrittore più prolifico e polimorfico del panorama artistico contemporaneo. Il direttore artistico, Gerardo D’Andrea, presentando la penultima delle tre serate dell’annuale appuntamento teatrale positanese, ha ricordato al pubblico che esattamente vent’anni fa nei giardini di San Vito, piccolo spazio dietro gli stabilimenti della Spiaggia Grande, nasceva il Positano Teatro Festival, a tenerlo a battesimo c’era anche allora Enzo Moscato con la stessa opera “Ritornanti”, e un giovanissimo Giuseppe Affinito, che ieri sera si è alternato ottimamente con il Maestro, e che allora invece sgambettava sul palco come… spiritillo munaciello, fatte vedè fatti acchiappà spiritillo munaciello, fatte vedè fatti acchiappà blà blà blà… blà blà blà La versione di “Ritornanti” che Enzo Moscato ha presentato ieri sera però è quella rielaborata dal Maestro che ha raccolto consensi e applausi qualche tempo fa e prima della pandemia a Bruxelles e Parigi. Un fraseggio straniante, fatto di filastrocche, aneddoti, motti, entità ambigue miste di sacro e profano. L’effetto è quello di un cursus poetico che ha incantato un pubblico attento e numeroso. Il titolo dell’opera è preso in prestito da Anna Maria Ortese che “ritornanti” definiva gli spiriti che abitano gli antichi palazzi di Napoli. Nel primo episodio infatti Moscato ci racconta, come solo lui sa fare la storia, o meglio, la disavventura di una giovane coppia, Nannina e Totore, e della loro bambina, ai quali una sensale offre a prezzo bassissimo il fitto di una casa immensa ma nella notte i due ragazzi scopriranno amaramente il perché del fitto fuori mercato. La loro sarà sorpresa agrodolce. Quando, infatti, disperati, crederanno di aver perduto per sempre il loro bene più prezioso la loro unica figlia, avranno una ricompensa inaspettata: il munaciello è dispettoso ma non demoniaco fino in fondo. “Coglie e fissa , sia pure il tempo di un istante, il meraviglioso momento del vivere e sentire”, così avrebbe definito Anna Maria Ortese la splendida interpretazione di Enzo Moscato. Nel secondo episodio, come vi ho anticipato, entra in scena Giuseppe Affinito che con la sua interpretazione esalta la potenza della parola, gli uomini più astuti e più eclettici sono in grado di utilizzarla come arma, mettendo ai loro piedi tutti gli altri. Così, il viceré spagnolo convinse tre prostitute napoletane a far ubriacare e stancare i soldati francesi e, allo stesso modo, i francesi convinsero altre tre prostitute napoletane a fare lo stesso con gli spagnoli. La ricompensa sarebbe stato un “trianon”. Il trianon le ha persuase e convinte, c’è chi credeva fosse un diamante tra i più rari, chi un’enorme somma di denaro. Ma no, era una prigione, di quelle buie e desolanti. La struttura dei testi moscatiani segue una stratificazioni di immagini e itinerari narrativi multiformi, sovrapposti, simile alla struttura architettonica e urbanistica della stessa Napoli, che è costruita a strati, ben sovrapposti gli uni agli altri. Attraverso il suo multiforme idioma, che si rinnova e si impasta nuovamente con altri lemmi, nuovi e dissonanti, ma incalzanti, incisivi, che hanno la potenza di insinuarsi nella logica del pensiero o nella potenza creatrice dell’esistere, spesso illogica e fuorviante il drammaturgo fotografa la condizione umana. Il terzo racconto si apre con il monologo shakespeariano dell’Amleto, «To be or not to be» essere o non essere, che nella società moderna ha assunto molte sfumature differenti. Enzo Moscato parla di una re-visione del mondo d’oggi, delle operazioni del cambio di sesso, di come sentirsi in pace con se stessi, trovare il coraggio di percorre una determinata strada e di come tutto questo trovi continui ostacoli per colpa di una società che rimane indietro e non vuole comprendere i bisogni del proprio prossimo. Il tutto è narrato come se fosse un’odissea, viene ripreso il tema del viaggio degli antichi poemi epici ma riscritto in chiave comica. Si tratta di “Cartesiana”, lo strampalato viaggio di tre transessuali, Cartesiana, Miss ‘Nciucio e Cha Cha Cha, che si recano via terra e mare sino al cuore della Spagna per trovare la propria identità. La loro parabola vive di salti geografici e retromarce, di episodi bizzarri e carichi di acume, che le induce talvolta a fermare il tempo in riflessioni lunghe, intrecciate, pregnanti nella loro complessità semantica e musicale. Mi piace concludere con un insegnamento che mi ha impartito il Maestro. In camerino dove mi sono recato per esprimere i miei meritati elogi agli attori, chiedo a Enzo Moscato, visto che durante il reading era stato tormentato da un vento incessante che a tratti ha minacciato di portarsi via lui, il leggio e i fogli, se non fosse stato il caso di interrompere la performance. Il Maestro mi guarda, e mi risponde che Eduardo De Filippo amava dire ai suoi attori che tutto quello che capita in scena non è mai inutile, mai superfluo, anche un leggio che cade all’improvviso è benvenuto arricchisce la rappresentazione e la rende unica. Signori, chi è di scena? Chi è di scena, Signori? Signori, chi è di scena? Uno, due e tre.
di Luigi De Rosa
(le foto presenti nell’articolo sono courtesy dell’autore Vito Fusco)