Covid, si pensa al piano per la seconda ondata. ​Stop a palestre e convegni, l’incognita scuola

9 ottobre 2020 | 09:13
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Covid, si pensa al piano per la seconda ondata. ​Stop a palestre e convegni, l’incognita scuola

Le strade deserte e le città vuote forse non le rivedremo, ma una stretta è dietro l’angolo. La previsione è nella lettura dei grafici, grazie a quella sorta di scienza che in finanza è chiamata «analisi tecnica» e che si sta rivelando utile anche al ministero della Sanità, dove è ormai pronto il piano per fronteggiare la seconda ondata. I dati dell’epidemia in Italia seguono infatti curve abbastanza regolari e i valori dell’8 ottobre ci riportano al 18 marzo 2020. Stesso numero di casi di Covid accertati – oltre i 4.000 – e soprattutto simile accelerazione rispetto al medesimo giorno della settimana precedente, con un incremento dell’82% il 18 marzo rispetto al giorno 11 e del 75% l’8 ottobre rispetto al giorno 1. Lo riporta un articolo a cura di Marco Esposito per Il Mattino. Il numero di casi di ieri (4.458) è purtroppo vicino a quel valore soglia di 5.000 contagi, considerato il massimo gestibile con il sistema dei tracciamenti. Un valore articolato su base territoriale e che in Campania porta al limite di 900, tetto al quale siamo ormai prossimi con i 757 casi diagnosticati ieri.

L’esperienza consente di fare previsioni piuttosto attendibili. Il 18 marzo le scuole erano già chiuse da due settimane e l’Italia tutta aveva abbassato le saracinesche e congelato le attività non indispensabili da ben nove giorni. Ma, come abbiamo imparato, l’effetto di un provvedimento sui contagi non è immediato perché c’è un ritardo di un paio di settimane tra il momento in cui ci si infetta, il giorno in cui la malattia si manifesta e quello in cui viene diagnosticata. E quindi dopo il 18 marzo la diffusione dell’epidemia si aggravò fino a toccare il picco di 6.557 casi diagnosticati il 21 marzo. Un valore che potrebbe ripetersi l’11 o il 12 ottobre, al netto delle rilevazioni meno accurate che si verificano durante il fine settimana, quindi andando ben oltre il numero soglia di 5.000 e obbligando il governo a prendere provvedimenti restrittivi.

Dopo il 21 marzo la situazione iniziò a migliorare, ma era l’effetto di un severo lockdown rispettato dalla Lombardia alla Sicilia come certificò all’epoca un report di Google, lasciando spiazzato qualche inviato televisivo che arrivò a Napoli per documentare l’insofferenza alle regole e trovò la città disciplinata deserta («Non siamo fortunati», fu l’infelice battuta della cronista).

Stavolta però il lockdown non c’è e le misure di distanziamento, più l’obbligo della mascherina, non sembrano sortire il medesimo effetto protettivo. Del resto già in molti paesi europei – Gran Bretagna, Francia, Spagna, Olanda, Belgio, Polonia, Grecia – la seconda ondata ha superato nei casi quotidiani i giorni peggiori della scorsa primavera. L’Italia sembra avvicinarsi a quel momento anche perché è l’intera penisola a essere coinvolta mentre a marzo il rapido lockdown aveva tenuto al riparo dai contagi il Mezzogiorno. Sono già sei le regioni che attualmente contano più ammalati rispetto alla scorsa primavera: a Campania, Lazio, Sicilia, Sardegna e Basilicata ieri si è aggiunta la Puglia.

Ma chiudere l’intero paese è al momento impensabile, sia per il rischio del collasso economico, sia perché oggettivamente la situazione non è identica: le strutture sanitarie sono state rafforzate e le terapie appaiono più efficaci, inoltre i dispositivi di protezione come le mascherine che a marzo erano introvabili adesso sono ampiamente disponibili. Tuttavia il coronavirus continua a correre sulle nostre gambe e quindi andranno rafforzate le misure di distanziamento. Come? Il piano messo a punto dal governo seguirà una sorta di percorso del gambero fermando prima le attività che erano state liberalizzate per ultime, un po’ come già accaduto per le discoteche che hanno aperto a luglio e chiuso dopo ferragosto. Intanto chiudendo le attività non indispensabili come le palestre e limitando negli orari quelle ricreative come la ristorazione e lo sport. Anche convegni, conferenze, cerimonie e manifestazioni sono destinate a un maggiore rigore perché si sono rivelate occasioni di incontri sociali non sempre all’insegna della prudenza sanitaria.

Resta l’incognita delle scuole. A marzo furono le prime a chiudere, su tutto il territorio nazionale già il giorno 5. La firma del premier Giuseppe Conte fu quasi una reazione istintiva: di fronte a un pericolo si tengono a casa bambini e ragazzi. Ma quel provvedimento, che nella prima versione durava dieci giorni, si è poi prolungato come sappiamo fino alla fine dell’anno scolastico, portando una clamorosa promozione di massa come neppure ai tempi del «6 politico». Una svalutazione del bagaglio di conoscenze degli studenti che come sistema paese non possiamo assolutamente ripetere. Per questo stavolta le scuole sono considerate alla stregua di un servizio produttivo indispensabile, al pari delle fabbriche e della rete commerciale. Chiuderanno, come stanno già chiudendo, le scuole ogni qualvolta sarà necessaria la sanificazione ma con l’obiettivo di riaprire quanto prima. Tuttavia, se i numeri dei contagi seguiranno l’andamento attuale, anche per la scuola ci saranno provvedimenti restrittivi come l’obbligo della mascherina al banco per tutta la durata delle lezioni.