Gugerotti, arcivescovo titolare di Ravello, a Londra per proseguire il dialogo tra cattolici e anglicani
Gugerotti, arcivescovo titolare di Ravello, a Londra per proseguire il dialogo tra cattolici e anglicani. Il colloquio con il Papa di uno dei suoi rappresentanti diplomatici che, dopo vent’anni nell’est dell’Europa, lascia l’Ucraina per un nuovo incarico a Londra. Da un Paese in guerra verso un popolo che sta vivendo una delicata transizione. Da Francesco l’incarico di curare i rapporti fraterni con gli anglicani per parlare ad una sola voce.
“Un incontro molto intenso” che ha segnato un passaggio “spiritualmente importante”. Così monsignor Claudio Gugerotti racconta a Vatican News l’udienza avuta con Francesco giovedì scorso, a pochi giorni dalla sua partenza per Londra. Dopo 16 anni in Vaticano e 20 circa trascorsi nelle nunziature dell’est Europa, ora il presule va nel cuore della Gran Bretagna a ricoprire l’ incarico di rappresentante diplomatico, facendosi “voce del Papa”.
L’affetto del Papa per le Chiese cattoliche d’Ucraina
Il presule ci rende partecipi dunque degli interessi e dell’affetto di Francesco per tutto il mondo ucraino e per le Chiese cattoliche dell’area con le loro difficoltà ma anche con i loro entusiasmi, Chiese dalla “fede limpida e forte”. ” Pregare con loro, specie con i giovani alla ricerca profonda di Dio, è stato – ci confessa – un esercizio spirituale continuo”. L’Ucraina, “tanto cara al Papa”, resta un Paese in guerra e oggi “dissanguato” dal Covid, bisognoso del coinvolgimento e dell’impegno dei Paesi circostanti e dell’Unione europea, ma le “speranze non mancano”.
Una missione evangelizzatrice, “dono di Dio”
Il bilancio che emerge dalle parole del presule su questi 20 anni trascorsi nell’Europa orientale, è quello di un “dono di Dio”, occasione per sperimentare la bellezza della missione evangelizzatrice all'”apertura delle catacombe”. L’essere stato il rappresentante del Papa – aggiunge – è stato un “privilegio enorme” in un periodo in cui il Vaticano e il pontefice hanno smesso di essere considerati “il grande nemico” e sono diventati fonte di “alto insegnamento morale” e a volte di “mediazione per risolvere i problemi interni delle società che tentano di ricostruirsi e creare un futuro di progresso”.
La voce cristiana con i fratelli anglicani risuoni nelle scelte etiche
Poi lo sguardo al futuro e al nuovo incarico. Papa Francesco – rivela il nunzio – guarda con attenzione a queste tematiche, all’Europa, tra privazioni legate al Covid e spaccature politiche e sociali conseguenza della Brexit. La raccomandazione particolare da parte del Pontefice a questo proposito è stata di “mantenere e favorire il più possibile” il “suo” rapporto fraterno con l’arcivescovo di Canterbury e di favorire il rapporto tra cattolici e anglicani mettendo in luce i punti comuni della fede in Gesù Cristo, in modo che la voce cristiana possa “risuonare forte anche nelle scelte etiche del Paese”. Nel cuore del Papa, la consapevolezza – dice il presule – del rischio di “conflitti ideologici con conseguenze peggiori” delle guerre e della sofferenza e dell’emarginazione dei più fragili.
R. – L’incontro con il Santo Padre è stato molto intenso, non soltanto perché c’erano tante cose da dire, ma perché per me segnava la fine di un epoca, nel senso che io sono stato inizialmente in Vaticano per 16 anni ad occuparmi degli orientali, poi nell’est europeo, diciamo per 20 anni come nunzio, e adesso vado verso una terra completamente diversa, con una cultura diversa. Dunque questo è stato per me un passaggio spiritualmente molto importante e l’aver incontrato il Santo Padre, l’aver ascoltato i suoi consigli e le sue indicazioni è stato fondamentale anche perché come nunzio, rappresentante del Papa, devo sintonizzare bene la mia radio interiore sui suoi pensieri. Dunque un momento bello e importante e un po’ di bilancio dell’esperienza fatta, soprattutto del mondo ucraino, ma anche in vista delle nuove prospettive che si aprono col lavoro in Gran Bretagna.
C’è qualche sottolineatura, qualche raccomandazione che il Papa le ha fatto sul tempo trascorso nei Paesi dell’est dell’Europa?
R. – Per quanto riguarda il mondo ucraino e i rapporti con l’est, c’ è sempre un grande interesse del Papa per la pace, la concordia, il dialogo, come condizioni minime e indispensabili perché le guerre – purtroppo non poche ad insanguinare quelle zone – possano essere risolte. Poi, c’è il grande affetto del Papa verso le Chiese cattoliche di quelle aree, le comunità sorte dopo le persecuzioni dell’epoca ateistica, i loro problemi ma anche i loro entusiasmi, le loro gioie, il loro espandersi. Ecco, tutti questi temi sono molto cari al Santo Padre e sono stati toccati nel nostro colloquio. Pensi che, addirittura, il Papa mi ha chiesto come sta una signora che faceva la catechista in epoca comunista rischiando la vita e di cui gli avevo portato una fotografia e una lettera 7 anni fa. Io mi sono informato e purtroppo la signora è morta due anni fa, dopo aver mandato a me un piccolo messaggio video da inoltrare al Santo Padre, per ringraziarlo per il ricordo e la benedizione che aveva avuto per lei che, clandestinamente, si era dedicata per trent’anni ai bambini perché crescessero nella fede.
Ora Lei si prepara ad andare nel cuore dell’Europa, che vive un momento di difficoltà sociale e sanitaria, in particolare la Gran Bretagna con la Brexit e il Covid. Anche questo è nel cuore del Papa? E ci sono state particolari indicazioni dal Papa in tal senso?
R. – Sotto questo punto di vista il Papa, che è persona molto concreta, è andato ad un tema preciso che lo interessa molto, cioè mantenere i contatti con il capo della Chiesa anglicana – non solo con la regina naturalmente, ma anche con l’arcivescovo di Canterbury che lui considera un suo amico personale – soprattutto per la collaborazione che loro hanno in vista della pace in Sud Sudan. Il Santo Padre mi ha raccomandato proprio di favorire in generale il più possibile questa collaborazione, in modo che la voce cristiana possa risuonare forte anche nelle scelte etiche del Paese, tanto più quanto più siamo uniti sui punti comuni, derivanti dalla fede in Gesù Cristo e dalla tradizione della Chiesa. Ecco dunque la raccomandazione particolare del Papa: tenere vivo il “suo” rapporto fraterno con l’arcivescovo e il rapporto dei cattolici con la chiesa anglicana.
Lei che proviene da un’esperienza lunga anche in Paesi in guerra, va ora in un luogo in cui la guerra non c’è ma ci sono altre difficoltà. Quanto la sua esperienza passata la sosterrà e quanto conta di svolgere come rappresentante pontificio nella nuova realtà britannica?
R. – C’è una differenza profonda tra il passato e il futuro. Nel senso che le società dell’est sono tutte società che tentano di affrontare le sfide, ma hanno mezzi modesti. Mentre la Gran Bretagna è realtà dotata e abituata ad affrontare difficoltà. Però questo non implica che non ci sia un interesse profondo del Papa perché, anche in quella terra, sia i conflitti ideologici non portino a conseguenze peggiori o non sveglino mostri antichi, e sia la sofferenza dei più poveri – dovuta a questo Covid – non debba essere così profonda e dolorosa da rendere precario un equilibrio generale di lavoro e di presenza, presenza che può essere messa in difficoltà ed eventualmente anche dal tema Brexit, a seconda di come sarà gestito. Non bisogna dimenticare che molte comunità cattoliche sono costituite per una buona parte da cittadini stranieri e la loro partenza, eventualmente, sarebbe una grande ferita per la Chiesa Cattolica e non solo. Ecco, questi sono temi che certamente stanno molto a cuore al Papa e dovrò cercare di fare il possibile per adoperarmi affinché le conseguenze di tutto ciò non possano degenerare in ulteriori difficoltà per la gente, per l’Europa e per il mondo.
Eccellenza, torniamo un momento con lo sguardo indietro e parliamo di Ucraina. Che Paese ha lasciato e che Chiesa ha lasciato dietro di sé?
R. – Ho lasciato un Paese che continua a vivere la difficoltà della guerra, anche se ci sono delle tregue che lasciano ben sperare, e anche un Paese molto dissanguato dal Covid. E poi, lascio una Chiesa cattolica di cui sono molto orgoglioso per l’attività sociale che svolge e per la fede della gente che è limpida, cristallina ed estremamente forte. Questa esperienza per me è stata una grande scuola: è stato un lungo corso di esercizi spirituali poter pregare con gli ucraini delle varie Chiese e dei vari riti, tutti con questa profonda sensibilità e questa profonda ricerca di Dio anche nei giovani che mi ha molto impressionato. Le gerarchie delle Chiese sono ben strutturate e sono state anche arricchite in questi anni da nuovi membri, da nuove realtà e l’aver potuto partecipare a questa ulteriore organizzazione per il bene dei fedeli mi riempie di gioia e di orgoglio. Naturalmente ci sono ancora tante difficoltà: la guerra continua ad essere un evento drammatico, i rapporti ecumenici sono differenziati e molto alterni. Però, devo dire che, nell’insieme, ci sono grandi speranze. Speriamo che in questo processo ci sia l’attenzione anche del mondo circostante, perché sappiamo benissimo che in quelle aree ogni Stato è in qualche modo interconnesso con la realtà vicine. In questo caso sia la realtà della Federazione Russa, adesso anche la realtà della Bielorussia e poi la realtà europea. Sento il desiderio di poter continuare a pregare perché ci sia un coinvolgimento maggiore e più efficace intorno all’Ucraina, certo che, chi verrà dopo di me continuerà su questa strada per aiutare il Paese tanto caro al Papa come ha dimostrato con i fondi messi a disposizione per più di ottocentomila persone.
Dopo tanti Paesi e tante realtà conosciuti, quale il bilancio che traccia di circa 20 anni al servizio della Santa Sede e l’ultima enciclica del Papa, Fratelli tutti, la incoraggia e l’accompagna in modo particolare ?
R. – “Fratelli tutti”, è un’indicazione così globale che credo non esista posto al mondo dove non si senta attuale e questo è un dato molto importante. Non è un testo fatto per una zona o per un tipo di antropologia, è una espressione di come l’umanità possa sopravvivere o mettere in difficoltà la propria sopravvivenza. Quindi, da questo punto di vista, l’ispirazione è molto forte. Lo sarebbe stata se fossi rimasto nel mondo orientale e lo è, con altre caratteristiche, nel mondo occidentale in particolare nella Gran Bretagna che a sua volta è una presenza cosmopolita molto importante. Invece, per quel che riguarda questi vent’anni quasi di nunziatura nell’est, credo sia stato un dono di Dio profondissimo. Da Roma avevo visto crollare un mondo, piuttosto precario e molto difficile, che era stato il mondo del comunismo sovietico; poi il periodo che l’ha seguito è stato un periodo estremamente drammatico per la popolazione locale; e ancora, l’essere stato mandato sul posto per poter offrire anche le mie braccia e il mio cuore per la ricostruzione della fede dei credenti, del loro diritto alla libertà religiosa; e infine questa straordinaria esperienza di vedere le catacombe aprirsi e pregare per i morti e sentire la missione evangelizzatrice nei confronti di coloro che non hanno sentito mai parlare di Cristo, o ne hanno sentito parlare male, e che invece sono estremamente curiosi di conoscere il Vangelo. Ecco, poter parlare con loro per ore, vedendo occhi attenti e commossi, è stata per me un’esperienza spirituale di profondissimo arricchimento. Questo dunque è il bilancio degli anni passati. E l’essere stato rappresentante del Papa in tutto questo tempo è stato per me un privilegio enorme perché questi Paesi che nel passato sovietico hanno guardato al Papa come a un pericolo per l’appoggio ideologico al capitalismo – come sostenevano gli aguzzini che ammazzavano e imprigionarono i nostri, considerati spie del Vaticano – oggi guardano al Vaticano come una possibilità di alto insegnamento morale e qualche volta anche di mediazione per riuscire a risolvere i problemi interni delle singole società che tentano di ricostruirsi e di creare un futuro di progresso e di sviluppo per i propri cittadini.