Dalla fanciulla che calpestò il pane al ragazzo che calpesta l’acqua.

10 novembre 2020 | 11:04
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Dalla fanciulla che calpestò il pane al ragazzo che calpesta l’acqua.

Napoli – “La fanciulla che calpestò il pane“, così s’intitola una delle fiabe di Hans Christian Andersen meno celebri ma più spietate; critica feroce all’arroganza della società occidentale. Scritta nel 1858 dal famoso scrittore danese, vi si narra la vicenda di Inger, bambina poverissima, che dalla madre sarà affidata a una famiglia ricca. Inger, una volta calatasi completamente nel suo nuovo ruolo di “figlia” di genitori benestanti, proverà vergogna e disprezzo per la madre naturale.  Un giorno però la bambina, incaricata dai genitori adottivi di portare un pezzo di pane bianco alla madre vera, davanti alla strada piena di fango che conduce nella sua vecchia casa, con stizza vi getterà lo stesso pane destinato alla povera madre, per poterlo usare a mo di ponticello e, calpestandolo, evitare di sporcarsi l’orlo della gonna. Inger messo un piede sul pane sarà però inghiottita dal fango. La bambina superba si ritroverà all’Inferno, dove il diavolo la trasformerà in una statua lasciandole  sotto i piedi il pezzo di pane bianco gettato con tanto disprezzo, di modo che anche patendo i morsi della fame, essendo una statua, non se ne possa cibare per l’eternità. Alla fine le salverà l’anima un’altra bambina mossa a pietà: una fiaba non può che avere un lieto fine. Questa, in sintesi, la fiaba che ha ispirato la realizzazione di una statua di due scultori italiani, Marisa Argentato e Pasquale Pennacchio, che si firmano semplicemente “Pennacchio – Argentato“. La loro opera, esposta presso la Galleria “Acappella” a Napoli, s’intitola “I’m feeling lucky” e raffigura un ragazzo che calpesta un piedistallo composto di bottiglie d’acqua, metafora della società di oggi che spreca l’acqua bene comune, infischiandosene di tutto e tutti. Speriamo però che le nostre coscienze si risveglino prima di finire male come la sconsiderata Inger. Sono molte altre le opere del duo “Pennacchio -Argentato” che potrete ammirare nella galleria; statue e installazioni, che fanno da eco anche ai concetti del famoso saggio di Shoshana ZuboffIl Capitalismo della sorveglianza” che guarda allo sviluppo di aziende digitali, che pongono al centro dei loro interessi non più l’uomo ma la sua “attenzione”. In una società capitalista, le informazioni che gli utenti producono accedendo a piattaforme come Facebook possono essere utilizzate liberamente dalle piattaforme stesse per migliorare la user experience e offrire loro contenuti maggiormente in linea con gli interessi evidenziati dai dati ottenuti. Ciò può essere fatto attraverso l’uso di un algoritmo che filtra le informazioni. Il pericolo del capitalismo della sorveglianza risiede nel fatto che le piattaforme e le società tecnologiche possono accedere a tali informazioni gratuitamente. In secondo luogo c’è pochissima supervisione da parte dei governi e degli utenti stessi. Secondo Zuboff, Google ha avuto un ruolo pionieristico nel capitalismo della sorveglianza sia in senso teorico che pratico, inventando e perfezionando questo nuovo modello di capitalismo. Tuttavia oggi Google non è più l’unico attore, perché altri capitalisti della sorveglianza (come Facebook, Microsoft e Amazon) sono apparsi sullo scenario. Contrariamente al detto secondo cui “se è gratis, il prodotto sei tu“, gli utenti non sono i “clienti” del capitalismo della sorveglianza, ma le fonti del surplus comportamentale, l’oggetto di un’operazione di estrazione della materia prima. I veri clienti dei capitalisti della sorveglianza sono le aziende che operano nel mercato dei comportamenti futuri. Difatti tutto questo sta determinando un’asimmetria senza precedenti della conoscenza e del suo potere, poiché i capitalisti della sorveglianza sanno tutto di noi, mentre per noi è impossibile sapere quello che fanno. Il trionfo del capitalismo della sorveglianza secondo Zuboff è stato possibile perché rappresenta un cambiamento senza precedenti (proprio come l’invenzione dell’auto che inizialmente fu definita una “carrozza senza cavalli”), risultando pertanto irriconoscibile. Il saggio si prefigge, dunque, l’obiettivo di dare finalmente un volto a questa nuova forma di capitalismo e renderla visibile ai nostri occhi. L’arte è immensa quando risveglia le coscienze.
di Luigi De Rosa