WhatsApp: le 8 domande da farsi quando si manda un messaggio

30 novembre 2020 | 09:19
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WhatsApp: le 8 domande da farsi quando si manda un messaggio

WhatsApp: uno strumento con tanti modi di (ab)usarlo. Quando mandavamo una lettera per via postale avevamo un numero limitato di scelte a disposizione: dimensione, tipologia, peso, scritta a mano o stampata, cartolina, e poc’altro. Passando dai media tradizionali a quelli digitali, si moltiplicano i canali, le piattaforme, gli strumenti e soprattutto cresce esponenzialmente il set di opzioni a nostra disposizione. Questo richiede una nuova meta-sintassi della comunicazione da parte di tutti per evitare la confusione, il caos, lo stress.

Secondo Jeffrey Hall, autore del recentissimo Relating Through Technology: Everyday Social Interactions (Advances in Personal Relationships), le dimensioni rilevanti per costruire questa nuova alfabetizzazione sono:

1. Sincronia o asincronia: questo è un continuum che comprende l’aspettativa implicita sui tempi di risposta (ad esempio l’email è asincrona con un’aspettativa di risposta normalmente in 24 ore; whatsapp è anch’esso asincrono ma ci si aspetta che la risposta arrivi in alcune ore al massimo)

2. Social clues (indizi): la capacità di includere efficacemente elementi non verbali varia molto da media a media; se facciamo una videocall con la telecamera spenta, tanto valeva forse fare una semplice telefonata tradizionale, a meno che magari non sia un incontro di lavoro oltre orario e stiamo implicitamente segnalando al nostro interlocutore che sarebbe meglio non invadere la nostra privacy a quell’ora per argomenti non urgenti.

3. Reach: è il numero di persone cui il messaggio è mandato e comprende anche la possibilità più o meno immediata di essere inoltrato potenzialmente a molte altre persone. Oggi, ogni comunicazione, attraverso un’app di registrazione audio-video (anche accesa in background senza comunicarlo agli interlocutori) o una fotografia istantanea dello schermo di ogni device, può generare un contenuto diffondibile a tutto il mondo immediatamente.

4. Permanenza: la longevità della traccia digitale è un argomento molto complesso. La nostra identità fisica ha limiti “naturali”, mentre quella digitale è potenzialmente eterna, multipla, modificabile, hackerabile. A volte, come nel caso dell’episodio recente del like dall’account Instagram di Papa Francesco sulla foto di una modella brasiliana, anche rimuovere il like è troppo tardi.

5. Searchability: mio padre quando ero piccolo telefonava tutte le sere a suo fratello per un saluto e aggiornamento famigliare. L’unica traccia di quelle comunicazioni è forse nei vecchi tabulati della SIP degli anni ’60 e nelle nostre memorie di famiglia a lungo, ma finito, termine. Dopo, l’11 settembre, invece, quasi ogni comunicazione, transazione, spostamento, è tracciato automaticamente da sistemi molto avanzati che possono alla bisogna determinare chi, dove, quando, quanto, cosa, come si è comunicato. A volte i dati sono accessibili solo alle forze dell’ordine e di sicurezza, e ai loro avversari, in altri casi basta una semplice ricerca google.

6. Mobility: a parte le conversazioni e le comunicazioni in presenza fisica, ormai la portabilità degli smart phone è tale per cui, ammessa e non concessa l’affidabilità e velocità della banda di connessione, possiamo accedere e essere “accessi” in ogni parte del mondo, in ogni momento. La portabilità della comunicazione è di fatto ubiqua e va gestita attivamente.

7. Interattività: la comunicazione è sempre un canale a due vie quindi interattiva, non fosse altro che con un applauso o la scelta di voto oppure di acquisto (asincrone). Ma i nuovi media offrono possibilità di interazione immediata e molteplice che amplifica l’arena comunicativa, rendendola multi-dimensionale e soprattutto partecipata. Mettendo un like, commento o inoltro, fecendo domande durante un webinar o una lezione multi-mediale, l’audience diventa attore e co-creatore dell’esperienza originata dall’autore.

8. Quantificabilità: la facilità di accesso e di visualizzazione della fruizione del messaggio sono il motore del valore delle grandi piattaforme che vendono dati di utilizzo (a volte illegalmente) per migliorare la precisione degli investimenti di comunicazione e renderli sempre più personali. Il fenomeno influencers nutre il proprio pubblico con la diffusione stessa dei dati, alimentando un circuito di ulteriore attrazione. Davanti a questa complessità, spesso le scelte sono guidate dalle abitudini e corriamo rischi di incomprensione o molto peggio. È meglio che le nostre scelte diventino intenzionali per distinguere canali e opzioni per ogni situazione.

La costruzione di questa competenza linguistica digitale è un processo lungo e non scontato, anche a causa della continua evoluzione delle tecnologie. Quindi è tanto più importante e urgente intraprenderlo a livello personale, del sistema educativo e sociale. Possiamo iniziare anche subito abituandoci a praticare le regole di ecologia dei mediapersonali con alcune domande da porci ogni volta che abbiamo un pensiero e scegliamo come comunicarlo:
– Devo comunicarlo?
– A chi? Pubblico privato o pubblico?
– Qual è il livello di urgenza?
– Dove si trova la mia audience fisicamente?
– È necessaria una forma scritta?
– Quali sono i requisiti di confidenzialità?
– Qual è la quantità di contenuto-informazione rilevante?
– Quanto sono importanti gli elementi non verbali?

Conoscere vantaggi e svantaggi, aspettative implicite e uso appropriato di ogni media è sempre più fondamentale per il nostro e altrui benessere. «Col tono giusto si può dire tutto, col tono sbagliato nulla: l’unica difficoltà consiste nel trovare il tono». Parola di George Bernard Shaw.