Le riflessioni del dott. Carlo Alfaro sul covid. Intervista esclusiva

LE RIFLESSIONI DEL DR.CARLO ALFARO

Continuano le risposte del dottor Carlo Alfaro alle domande dei nostri lettori.

A che punto è l’epidemia in Italia?

L’ultimo monitoraggio dell’Istituto superiore delle sanità, relativo alla settimana 16-22 novembre, mostra che, per la prima volta da molte settimane, l’incidenza di casi è in diminuzione a livello nazionale, con l’indice Rt sceso a 1,08, il che significa che la velocità di trasmissione di questa seconda ondata dell’epidemia italiana sta rallentando. Merito dei sacrifici dei cittadini, che ancora una volta hanno accettato con senso di responsabilità le misure proposte.

L’obiettivo è raggiungere livelli di trasmissibilità ovunque inferiori a 1, per garantire la riduzione della pressione sui servizi sanitari territoriali e ospedalieri.

Perché l’Italia è uno dei Paesi più colpiti del mondo dal Covid?

Bè non proprio. Siamo stati solo il primo Paese occidentale ad affrontare l’emergenza, quindi non eravamo “attrezzati” all’inizio a fronteggiarla e in Lombardia, epicentro iniziale, l’impatto è stato troppo violento. Il Paese con il maggior numero di casi al mondo sono gli USA, seguiti da India e Brasile. In Europa è la Francia il Paese con più contagi, seguita da Spagna, Regno Unito e Italia. Se si valuta invece il numero di casi per abitanti, l’Italia è al 37° posto nel mondo. Purtroppo, per numero di morti in rapporto alla popolazione siamo “in alta classifica”, al sesto posto nel mondo. Questo dipende anche dal fatto che nel nostro Paese abbiamo l’età media tra le più alte, e l’età è un fattore di rischio per mortalità da Covid-19. Inoltre, il numero reale di casi è probabilmente maggiore di quelli diagnosticati, per cui il numero dei morti è proporzionato all’elevato numero di contagi.

I 21 parametri di rischio per classificare il colore delle le Regioni vanno rivisti?

Si sta lavorando per ottenere procedure più snelle. Non sono criteri chiari, trasparenti e facili da raccogliere ed elaborare, per cui la classificazione delle Regioni in colori è oggetto di dubbi. Ma la cosa più importante è la consapevolezza individuale di mantenersi in “auto-lockdown”, al di là delle regole del governo.

Le mascherine servono davvero?

Secondo l’ultimo studio dell’Università nazionale di Singapore, che ha analizzato tutte le ricerche epidemiologiche disponibili, se utilizzate correttamente e costantemente da almeno il 70% della popolazione, le mascherine possono fermare l’epidemia, anche quelle di comunità (in tessuto) o le semplici chirurgiche.

Quale test fare se si vuole scoprire se si è contratto il Covid?

Il test rapido, antigenico, che dà risposta in 15-30 minuti, può servire come screening, ma può risultare falsamente negativo se fatto in fase molto iniziale o molto tardiva dell’infezione; più raramente è falsamente positivo. Richiede sempre la conferma mediante test molecolare. Il sierologico non serve per la diagnosi perché non ci dice se l’infezione è in atto. Dunque, solo il tampone molecolare che valuta la presenza degli acidi nucleici virali è valido.

Ma il tampone ora si può fare anche dal medico o pediatra di base?

Si tratta del test antigenico rapido. Può essere fatto in studio solo se il medico aderisce volontariamente all’accordo regionale. Molti medici non si sentono di effettuarli nel proprio studio se non possono garantire piena sicurezza per gli altri assistiti o i condomini del palazzo. Devono essere possibili pianificazione dei test solo su appuntamento, sanificazione delle superfici tra un prelievo e l’altro, evitamento di ogni forma di assembramento dei pazienti e di contatto tra soggetti con possibile infezione da SARS-CoV-2 e pazienti che accedono allo studio per altri motivi.
E’ vero che non serve più il tracciamento?
Quando i casi sono troppi, il tracciamento dei contatti per ricostruire le catene di trasmissione salta. Ma nell’ultimo monitoraggio si osserva una diminuzione nel numero di casi che non riescono ad essere ricondotti a catene di trasmissione note, il che suggerisce un miglioramento nelle attività di tracciamento. E’ sempre importante cercare di farlo.

Le Usca funzionano?

Le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) sono state introdotte dal decreto legge del 9 marzo scorso per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero (attualmente il 95% dei casi). Sono attivate su richiesta del medico di famiglia, che continua ad avere la “regia” del caso. Il loro è un lavoro utilissimo, ma il sistema è reso difficile dal numero esiguo rispetto all’enorme numero di pazienti in isolamento domiciliare i tutte le Regioni in questa seconda ondata.

Com’è la situazione negli ospedali?

Si respira un’atmosfera di sovraccarico di tutto il sistema ospedaliero, infatti in tutte le Regioni gli indici di occupazione delle aree Covid e delle Terapie Intensive sono molto elevati. Questo è un fattore di rischio anche per l’assistenza dei pazienti con altre patologie. Peraltro, i nuovi casi diagnosticati hanno un impatto sull’aumento dei ricoveri dopo alcune settimane, e dopo altre ancora sul numero di decessi, quindi, anche se i nuovi casi stanno diminuendo, le conseguenze dell’ondata di ottobre, quando la curva dei contagi cresceva in modo esponenziale, si sentono e si sentiranno ancora su ricoveri e decessi. Purtroppo paghiamo lo scotto di un sistematico sotto-finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale negli ultimi decenni, che lo tsunami del Covid ha svelato in tutta la sua drammaticità, con carenza di posti letto e di personale. Situazione aggravata anche dal crescere dei contagi tra il personale sanitario. Fa venire in brividi la chiamata sul campo di medici in pensione o studenti di Medicina perché ci fa capire come sia grave la carenza di sanitari!

La pandemia ci sta facendo ingrassare?

Sì, stress, preoccupazione, ansia, depressione, noia e lo stare in molto tempo in casa favoriscono comportamenti di alimentazione incontrollata, in molti casi anche notturna! Aggiungiamoci pure il non praticare attività fisica e le tante ore passate al telefono o pc, i disturbi del sonno, tutte cose che alterano il metabolismo. L’obesità a sua volta poi è un fattore di rischio per avere una forma più grave di Covid-19!

A Natale col coprifuoco?

Credo proprio di sì. Abbassare la guardia a Natale significherebbe annullare i sacrifici fatti finora, come è accaduto questa estate. Secondo le proiezioni dell’ECDC (il Centro Europeo di Prevenzione e Controllo delle Malattie), se i Paesi europei revocassero le misure di restrizione dei contatti il 21 dicembre, verrebbe registrato un successivo aumento dei ricoveri ospedalieri per Covid-19 già a partire dalla prima settimana di gennaio 2021; se invece le misure venissero revocate il 7 dicembre, l’aumento dei ricoveri potrebbe iniziare prima del 24 dicembre.

Quando torneremo alla nostra vita?

Eh, non ancora. La situazione migliora, ma le autorità sanitarie raccomandano che questo andamento non debba portare a un rilassamento prematuro delle misure o a un abbassamento dell’attenzione nei comportamenti, quali la drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone, l’evitamento di tutte le occasioni di contatto con persone al di fuori del proprio nucleo abitativo che non siano strettamente necessarie, il rimanere a casa il più possibile e restringere le movimentazioni sociali. Attendiamo i vaccini, le terapie con anticorpi monoclonali, l’adattamento del virus all’organismo umano.

Le scuole devono riaprire?

Le Regioni chiedono di rimandare al 7 gennaio.

Per il controllo della pandemia è sicuramente meglio che siano chiuse, ma per i bambini e ragazzi è una grande perdita di opportunità che non tornano più indietro.