“Perché salvare gli animali è anche salvare sé stessi”. Martina Pluda (HSI)
Potrà apparire fuori contesto, in piena pandemia da covid, un appello contro una delle pratiche che genera più sofferenza la sperimentazione farmacologica, quando quest’ultima ha contribuito al raggiungimento di un vaccino in tempi brevi. Ma la pandemia ci ha anche mostrato come considerare gli animali una merce e non accordare a ogni forma di vita il rispetto che gli equilibri ecologici, oltre che l’etica, impongono, ci si possa ritorcere contro.Martina Pluda è la Direttrice dell’ HSI (Humane Society International) per il nostro Paese, organizzazione che dal 1991, attraverso studi scientifici, campagne di sensibilizzazione sociale e programmi di educazione e progetti sul campo, lavora per rendere centrale il rapporto uomo-animale, salvare e proteggere cani e gatti, migliorare il benessere degli animali considerati da allevamento, salvaguardare la fauna selvatica, promuovere una ricerca senza animali ed una moda senza pellicce, incentivare la dieta a base vegetale, intervenire in caso di disastri naturali e combattere la crudeltà nei confronti degli animali in tutte le sue forme. La direttrice fa suo un celebre slogan: “Perché salvare gli animali è anche salvare sé stessi”, e ci ricorda che gli animali sottoposti a test ogni anno sono 115 milioni nei laboratori di tutto il mondo. Dalle fragranze agli antidolorifici, fino alle tinture per tessuti, ogni nuova sostanza chimica viene somministrata forzatamente agli animali, in molti casi per legge. Martina Pluda nel suo appello contro l’uso di essi nella sperimentazione sottolinea come non esiste un modo umano per avvelenare gli animali con sostanze chimiche o infettarli con malattie mortali per testare l’efficacia di un vaccino o di un trattamento; tuttavia, ci sono metodi moderni, più efficaci, che non richiedono l’uso di animali. L‘HSI sta lavorando in tutto il mondo, in collaborazione con aziende, autorità governative e organi intergovernativi come l’Ocse per sostituire i test sugli animali con alternative più avanzate. La scienza moderna è stata in grado di mappare il genoma umano, sviluppare mini-cervelli umani in laboratorio e ingegnerizzare biochip multiorgano che simulano la fisiologia umana, completi delle funzioni normali come la respirazione ed il flusso sanguigno. Di fronte a queste nuove tecnologie, sempre più scienziati stanno abbandonando l’uso di test sugli animali, per affidarsi ad approcci più promettenti e rilevanti per l’uomo. Il Covid-19 è un’occasione per rivalutare il nostro rapporto con la natura e gli animali e di conseguenza per affrontare diverse problematiche, legate al rischio di zoonosi. Il 73% delle malattie infettive emergenti nell’uomo è di tipo zoonotico, ovvero ha origine negli animali. La loro diffusione ha collegamenti diretti con il modo in cui l’essere umano usa e abusa degli animali. Allevati, rinchiusi e mercificati come oggetti, sono moltissimi gli animali che vengono trasformati in vere e proprie bombe ad orologeria, che si tratti degli animali rinchiusi negli allevamenti intensivi, in quelli dell’industria della pellicceria, o infine le specie selvatiche trafficate per le loro zanne, scaglie, ossa, pelli, ecc. Se la diffusione del Covid-19 è legata al mercato di fauna selvatica di Wuhan ed il virus Sars-CoV-2 sta colpendo migliaia di allevamenti di visoni europei, la prossima pandemia potrebbe avere origine proprio in un allevamento intensivo, guardate l’influenza aviaria che sta già dilagando in Europa.
(fonte L’Extraterrestre 17 dicembre 2020; foto d’archivio; info www.hsi-europe.org/it)
Contro ogni forma di maltrattamento, sfruttamento e crudeltà nei confronti degli esseri viventi.
a cura di Luigi De Rosa