Amalfi-Cava, il messaggio di monsignor Beniamino Depalma: “Sono venuto a portarvi la gioia!”

26 gennaio 2021 | 18:21
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Amalfi-Cava, il messaggio di monsignor Beniamino Depalma: “Sono venuto a portarvi la gioia!”

Amalfi-Cava de’ Tirreni. “Sono venuto a portarvi la gioia!”. Inizia così il messaggio di monsignor Beniamino Depalma, arcivescovo delle diocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni e poi arcivescovo di di Nola, che in occasione del trentesimo anniversario della sua ordinazione episcopale, ha scritto una lunga lettera alla sua comunità.

“L’anima mia magnifica il Signore, il mio spirito esulta nell’intimo in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva!” (Lc 1,46-48a).

Nella speranza di saperne riprodurre gli atteggiamenti profondi, non trovo di meglio che appropriarmi delle parole della vergine-madre di Nazareth per esprimere la meravigliata gratitudine, che in quest’ora riempie e colora il mio cuore celebrando il 30° anniversario di episcopato, dono con cui il Dio del tempo e della storia ha voluto allietare e impreziosire la mia esistenza.

È un momento denso di emozioni. Desidero condividerle con voi, carissimi, in nome del cammino in cui abbiamo gustato la gioia di percorrere, consegnati per anni gli uni agli altri, in una relazione di reciprocità, di responsabilità, di collaborazione, come cercatori di verità, di senso e di bellezza, “mendicanti di cielo” orientati dalla domanda cruciale per i credenti, esposti ad ogni imponderabile sorpresa della Provvidenza: Rabbi, dove dimori? (Gv 1, 37-39)  Ringrazio Dio per aver rinvenuto in voi entusiasmo e disponibilità a raccogliere il suo invito: Venite e vedrete!

Anche questo è motivo per lodare la santa Trinità. Lodo il PADRE per il dono della vita, della vocazione al presbiterato nella famiglia vincenziana, della configurazione a CRISTO Buon Pastore; lodo il Figlio suo Gesù, che passando sulle sponde della mia esistenza ha pronunciato il mio nome chiamandomi alla sequela; lodo lo SPIRITO di Pentecoste, quotidianamente effuso su di me e anche trasmesso dalle mie mani attraverso la grazia dei sacramenti. Ricordo che Sua Eminenza il cardinale Michele GIORDANO, di venerata memoria, nel giorno indimenticabile della consacrazione mi consegnò come traccia da seguire ed esigente programma di vita tre indicazioni:

  • Chinati su ogni persona che incontrerai, a imitazione del tu Signore e del tuo Fondatore;

  • dona a ciascuno il Vangelo e la speranza;

  • sappi risvegliare in lui la sua dignità umana e di figlio di Dio.

La diocesi: oggi sarò a casa tua

Ho bussato alla vostra porta di casa come un pellegrino in cerca di dimora. Sulle spalle il mio bagaglio di povertà e di sogni, di inadeguatezze e di buoni propositi, consapevole che il futuro era nelle mani di Dio e che tutto avrebbe avuto senso, anche quando non si fosse subito o facilmente rivelato. Ritorno ancora con piacere al clima di festa in cui avveniva il nostro primo incontro. Spente, poi, le luminarie, tornate silenziose le cattedrali e vuote le piazze, consumati i cerimoniali religiosi e laici previsti per l’accoglienza del “nuovo vescovo”, ho desiderato subito incontrare le persone, conoscere la ricchezza umana delle comunità a me affidate, ascoltare le storie di vita quotidiana nascoste oltre ogni soglia domestica e non sempre scritte con inchiostri di letizia e di speranza. A cominciare dai diletti presbiteri, con i quali avrei condiviso l’esaltante compito di accompagnare il “nostro popolo”. Le Chiese locali di Amalfi-Cava dei Tirreni (dal 23 febbraio 1991) e di Nola (dal 16 ottobre 1999) sono state per me espressioni dell’unica Sposa mistica a cui viene sempre coniugata la vita di un vescovo.

Le vostre diocesi hanno rappresentato i contesti nei quali sono stato chiamato a realizzare la vocazione profetica, che il nostro Dio imprevedibile e destabilizzante mi ha rivolto attraverso il discernimento e la voce di coloro ai quali Egli affida il compito di governare il suo popolo, custodirne l’unità e la fede, guidarlo nelle complesse vicende umane sulle sue vie alla luce della sua Parola e con la forza del suo Spirito.

Consegnandomi a Chi aveva prevalso sulle mie resistenze chiedendomi di fidarmi di Lui, confesso di essermi presentato a voi con timore e tremore, munito non di parole forbite o discorsi sapienti, ma sostenuto dall’unica certezza di non avere da offrirvi che il Signore Gesù e Lui crocifisso e risorto (1 Cor 2, 1-5); invocando incessantemente nel mio deserto lo splendore del roveto ardente della divina Parola e dell’Eucaristia, che ha rischiarato i miei passi anche in momenti di stanchezza e di esitazione e ha diradato le ombre di notti dense di interrogativi e di incertezze. Quante volte la vostra solidarietà, significata in tante occasioni e le attese decifrate nei vostri sguardi, hanno rigenerato il mio coraggio e rinvigorito i miei passi, richiamandomi alla pratica di virtù come la resistenza e la perseveranza! Mi siete stati madri e padri, sorelle e fratelli, figlie e figli, compagne e compagni di strada. Grazie! Grazie a ciascuno di voi! Soprattutto per i momenti in cui avete intuito il mio bisogno di comprensione e di accoglienza e mi avete permesso di percepire la vostra prossimità attraverso gesti semplici, parole affettuose e discreti silenzi non meno eloquenti. Come l’apostolo Paolo alle sue comunità, desidero dichiararvi il mio compiacimento per la vostra fede genuina, per la docilità alle indicazioni di percorso ricevute, per l’impegno ad essere stati propositivi e collaborativi accanto ai vostri pastori. Sono tante le motivazioni per cui avete saputo allietare e confortare il mio cuore, sono tanti i traguardi grazie a Dio raggiunti, pur non mancando fatica e dialettica costruttiva, che hanno permesso alle nostre comunità di crescere e di maturare.

Anche il cammino più lungo è un passo dopo passo

Ancora mi chiedo cosa avrà scorto il Signore nella mia vita quando, molto giovane, lasciavo la famiglia e la mia terra per intraprendere il cammino, che mi avrebbe portato ad entrare nella Congregazione della Missione alla quale tutt’oggi appartengo… Il carisma, che quattro secoli or sono il santo fondatore ha consegnato ai suoi figli e figlie, conserva intatta freschezza e attualità: impegnarsi nella santificazione personale, aver a cuore e lavorare a servizio della Chiesa preferendo i luoghi abitati dai più poveri socialmente e spiritualmente, accompagnare con affetto e rispetto il clero e i candidati presbiteri in una adeguata formazione. Fulcro dell’azione vincenziana sono proprio gli ultimi, da amare e soccorrere affettivamente e effettivamente.

Nei miei ultimi anni di preparazione all’ordine sacro ho respirato e vissuto la straordinaria e sovversiva primavera del CONCILIO VATICANO II. Ho potuto attingere alla fonte viva di una Chiesa comunionale, ecumenica, compromessa nelle vicende umane, in ascolto e in dialogo con la storia. Il magistero illuminato e osteggiato di papa Paolo VI, che oggi onoriamo santo sugli altari, mi ha affascinato alle prospettive di una comunità plasmata dalla fede gioiosa nel Risorto, sollecita verso gli ultimi e accogliente per i lontani, con lo sguardo commosso nei confronti di tutti coloro nei quali, con un termine scomodo ma efficace, papa Francesco ci invita a riconoscere gli “scarti” e gli “inutili” secondo i gelidi parametri di efficienza e di produttività codificati e promossi dalla cultura egemone nella quale siamo immersi: è il “mondo” interiormente pervaso di tenebra, anestetizzato dalla indifferenza e impaurito dalla diffidenza nelle viscere del quale le donne e gli uomini rigenerati dall’acqua e dallo Spirito, nutriti della Parola e del Pane di vita, raccolgono la non facile sfida di declinare dovunque e comunque un “esserci evangelicamente critico”, uno stile di vita non di rado “trasgressivo” e alternativo semplicemente perché modulato sui criteri di una cultura dell’empatia e del prendersi cura dell’altro, talvolta anche a costo di “sporcarsi le mani”. Non dimentichiamo che quanto offende, impoverisce, calpesta e oltraggia la connaturale dignità di una creatura umana chiamata all’esistenza con il diritto di essere felice in questo frammento di spazio e di tempo terreno, a tutti dato in custodia, si configura essenzialmente come premeditata rivolta contro il suo Creatore!

Dagli insegnamenti ed esempio di papa MONTINI ho raccolto, quindi, l’invito ad amare la Chiesa, per quanto non sempre e dovunque risplendente di bellezza, affascinante come una sposa pronta per le nozze (Ap 21, 2-3); ho accolto la raccomandazione alla Chiesa istituzionale a deporre zavorre e orpelli, a purificarsi da formalismi ritualizzati e da logiche di intrighi, a non bramare titoli e seggi da nomenclatura e a rinunciare ai minacciosi “segni di potere” sociale, politico, economico. Ho condiviso la sua paterna predilezione per i preti, continuamente sollecitati a ricordare la grazia del ministero ricevuto e a viverlo decorosamente e gioiosamente a servizio delle proprie comunità. Del papa di Humanae vitae (1968) e di Evangelii nuntiandi (1975) ho apprezzato, inoltre, la passione per l’uomo, che è la stessa passione di Dio, la premurosa attenzione alla realtà familiare, grembo della vita nascente e icona di armonia, l’invocazione insistente a favore dei giovani, la misericordia per tutte le fragilità umane, il fermo proposito di abbattere ogni steccato ideologico e colmare ogni fossato di preconcetti affinché la Parola risanatrice delle profonde e sanguinanti ferite esistenziali dell’umanità possa radicarsi, germogliare e produrre abbondanti frutti di novità in ogni cultura, per quanto differente e orgogliosa delle proprie radici. PAOLO VI è stato il primo pontefice della storia contemporanea a varcare i confini del Vaticano, dell’Italia, dell’Europa incontro ai popoli fino alle più lontane periferie geografiche ed esistenziali della terra.

Punti di partenza e riferimenti

Nel mio ministero in mezzo a voi ho innanzitutto tentato di raggiungervi nei vostri percorsi di Chiesa, di inserirmi, quando e come ho ritenuto opportuno, nei virtuosi dinamismi ereditati dai miei autorevoli predecessori. A essi vi invito a rivolgere con me un grato pensiero: sono stati Pastori, che hanno speso senza risparmio per il loro gregge le proprie energie fisiche, intellettuali e spirituali, interpretando fedelmente e creativamente la missione del vescovo ad essere custode attento, padre amorevole, guida illuminata, maestro sapiente. Il Dio della vita li tenga accanto a sé nel gaudio eterno e conceda loro la ricompensa dei giusti! Portateli quotidianamente nella vostra preghiera personale, familiare e comunitaria e ringraziate la Provvidenza per averli posti sulle vostre strade. Benedite la loro memoria e invocate la loro intercessione.

Nello stesso tempo amate coloro sulle cui spalle attualmente è stata posta la medesima responsabilità: circondateli di rispetto, donategli docilità, riconoscete in essi la presenza del Maestro. E quando necessario siate anche indulgenti per le loro lentezze, mai dubitando dello sforzo che compiono per essere fedeli alla missione per cui vi sono stati inviati.

Ai santi patroni e protettori ANDREA, ADIUTORE, FELICE e PAOLINO ho di continuo affidato la mia esistenza, le mie fragilità, i miei progetti, le mie attese, il mio servizio pastorale. E se di qualcosa di buono comunque sono stato capace è accaduto senza dubbio per grazia di Dio ma anche per la loro vicinanza.

Tra gli orientamenti del mio ministero episcopale non voglio dimenticare il confratello Giustino DE JACOBIS (1800-1860). Straordinario testimone del carisma di Vincenzo de’ Paoli e figura di spicco nell’opera evangelizzatrice della Chiesa del XIX secolo con il solo torto di “essere poco conosciuto”, come ebbe a sottolineare Paolo VI il 26 ottobre 1975, giorno della canonizzazione. Lo straordinario percorso di vita di Giustino inizia dalle verdi pendici dei monti lucani per concludersi tra le sabbie infuocate del bassopiano etiopico, circondato dal tenero affetto e dalla tristezza incolmabile dei discepoli, ai quali quel giorno della sua Pasqua veniva rapito in lui il padre premuroso, l’amico fedele, la guida sicura e il maestro insuperabile grazie al quale avevano ritrovato le vie del Vangelo, che portano alla verità e alla vita eterna.

Inflessibile e resistente come roccia dinanzi alle innumerevoli persecuzioni, boicottaggi, ritorsioni, calunnie contro il credo cattolico, che hanno segnato la sua ventennale permanenza in quella terra lontana e ostile, morì il 31 luglio, arso dalle febbri malariche e letteralmente consumato dalle fatiche apostoliche. “Martire della carità”, si spense con il bruciante desiderio dell’Oltre nel cuore, con il volto disteso e il capo serenamente poggiato su un sasso. Una delle prime espressioni pronunciate nella loro lingua a pochi interlocutori: Dio mi ha data questa vita per voi!

Emerso da tormentosi scrupoli di coscienza e da notti insonni, il cappuccino mons. Guglielmo Massaja, riuscendo finalmente a fare breccia nello spesso muro della sua eroica umiltà, nel gennaio 1849 lo ordinò vescovo nottetempo, in condizioni precarie e drammatiche, tra urla sguaiate e tamburi di guerra intorno, anziché solenni melodie festose e compiaciuti sorrisi di folla, non in una basilica scintillante di ori e odorosa di incensi ma in una baracca di pochi metri quadrati sul litorale di Massaua, lambita dalle onde del mar Rosso, improvvisata come cappella, due casse da imballaggio sovrapposte come altare, appena mezza dozzina di partecipanti al suggestivo rito. I “segni” della sua nuova dignità e ruolo? Giustino ha sempre continuato a camminare scalzo, avvolto non in broccati luccicanti, ma di semplici e poveri indumenti all’uso comune locale, al dito una dozzinale fascetta d’argento con incastonata una scheggia di pietra, il solito bastone di legno di ulivo, compagno inseparabile di innumerevoli viaggi apostolici per il vastissimo territorio abissino, e una semplice e nuda croce di legno sul petto, che distingueva i cristiani dai maomettani. Tutti, però, proprio tutti conoscevano bene il suo enorme cuore traboccante di ansia e di amore per le popolazioni affidate alla sua paternità e cura di pastore. “Abissino con, per e come gli abissini”: fino alle conseguenze estreme egli si è ispirato al principio teologico, spirituale e pastorale della Chiesa incarnata, presente e infaticabile, sempre alla ricerca di un luogo dove piantare la tenda di Dio e un solco dentro cui gettare il seme del suo Regno. Questo fulgido esempio ha e continua ad illuminare la mia esistenza di “arreso” nelle mani di Dio disponibile a che Egli faccia ancora di me icona credibile di Cristo buon Pastore.

Scintille di luce…

Molte energie del mio ministero sono state dedicate ai giovani. Li ho incontrato sempre entusiasti, coraggiosi, effervescenti, pieni di iniziative, a volte ingiustamente stigmatizzati per comportamenti non compresi o non condivisi negli ambienti in cui operavano. Le vostre diocesi hanno la fortuna di una loro significativa presenza: una formidabile risorsa da meglio valorizzare in un effettivo scambio tra l’esperienza consolidata degli adulti e la loro forza visionaria e dirompente. Un “patto generazionale” indispensabile. È stato di recente coniato un termine (neofobia) per identificare la “paura del nuovo”, lo sgomento dinanzi a quanto può scardinare sistemi ordinati e schemi irrigiditi, che esige di aggiornare e talvolta superare contenuti obsoleti ormai da archiviare per creare spazio e dare cittadinanza a quanto ci viene incontro come novità e sollecitazione a ringiovanire. Non possiamo aver paura del nuovo, in nessun campo della vita, perché potrebbe creare inciampi o impedire l’innesco di processi di miglioramento, di scoperta, di ampliamento di orizzonti, di ripartenze per nuovi traguardi. Una patologia, quindi, che rimpicciolisce i perimetri della mente e sclerotizza il cuore, abbassando i livelli di efficacia del nostro essere e del nostro agire. Insomma, è la testimonianza che rischia di offuscarsi. Vi auguro di neutralizzare una simile sventura.

In maniera speciale ho avuto a cuore il “sacramento della famiglia”, santuario dell’amore e della vita, cellula fondamentale della società e della Chiesa (come spesso sottolineato da s. GIOVANNI PAOLO II), eppure uno degli spazi mai sufficientemente sostenuti dalla politica, dalla società e dall’economia. Ho desiderato tanto riuscire ad investire la “piccola Chiesa domestica” del protagonismo, che senza dubbio e senza discussioni merita all’interno degli spazi pastorali per il suo essere “cantiere aperto” per la costruzione di onesti cittadini e di cristiani autentici, un laboratorio artigianale in cui un insignificante grumo di creta scopre la vocazione di diventare un capolavoro inedito nelle abili mani, sotto il febbricitante sguardo e la consumata perizia dell’artista. E senza meno artisti sono i genitori: mamme e papà chiamati a svolgere il mestiere più arduo e difficile del mondo: educare, che s. Giovanni BOSCO riteneva fosse un esercizio del cuore, radicato e ispirato cioè dall’amore.

Perché plasmato nella tradizione vincenziana, credo di non aver mai rifuggito intenzionalmente le provocazioni della strada: battaglie su temi etici e ambientali; sostegno alle invocazioni di maggiore dignità e di riconoscimento dei diritti in particolare a favore delle categorie più disagiate e meno protette come le persone anziane o diversamente abili, i senza lavoro e i senza dimora, i tanti non-comunitari ormai di fatto inseriti nelle nostre società.

Nel rispetto del sensus fidei così radicato nelle culture meridionali, ho provato a suggerire criteri semplici e concreti per “purificare” la cosiddetta “religiosità popolare” da eccessi, anacronismi, appropriazioni indebite di eventi, che non rigenerandosi nel tempo sembrano aver perso il genuino sapore sacrale per ritrovarsi sequestrati dal folklore e dalle tradizioni. Penso alla preparazione e celebrazione della memoria dei santi patroni o della SS. Vergine, alle processioni e ad altre manifestazioni supportate dal “pretesto religioso” e trasformate in occasioni di incontro ed in adunanze sociali.

Ho molto amato i presbiteri secolari e regolari, i diaconi permanenti e tutti gli atri chierici. A loro rivolgo semplicemente un pensiero del vescovo AGOSTINO, che dichiarava di considerare i preti e i catechisti sue pupille:

“Dopo questi miei chiarimenti la gente parlerà. Ma qualunque cosa dicano, quali che siano le voci che corrono, qualcosa mi giungerà all’orecchio; se sarà materia tale da richiedere ancora una rettifica, risponderò ai detrattori, ai maldicenti, agli increduli, a coloro che non credono a noi benché siamo i loro superiori. Risponderò come potrò, così come il Signore m’ispirerà. Intanto, al momento, non è necessario perché forse ora non hanno nulla da dire. Chi ci ama può godere liberamente, chi ci odia si roderà in silenzio. Tuttavia se ci saranno critiche si udranno anche le mie risposte, non polemiche, con l’aiuto di Dio. Certo io mi guarderò dal far nomi. Non dirò: “Il tale mi ha detto così; il tal altro ha fatto queste critiche”. Possono anche riferirmi il falso. E` cosa che avviene. Tuttavia qualunque cosa mi venga riferita, se mi parrà opportuno, ve ne parlerò: voglio che la nostra vita sia sotto i vostri occhi. So bene che chi cerca giustificazione al suo cattivo comportamento si industria di trovare esempi di chi vive male e ne infama molti per apparire in buona compagnia. Per non dare pretesti a costoro ho fatto le precisazioni che mi competevano. Più di questo non posso fare: eccoci sotto i vostri occhi. Da nessuno di voi desideriamo altro che le vostre opere buone”. (Discorso 356. Sul comportamento dei chierici nella sua comunità, 12)

… e passaggi in ombra

“Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore. E non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso; perché il Signore corregge quelli che egli ama e punisce tutti coloro che riconosce come figli” (Eb 12, 5b-6).

Certamente non sono mancati momenti difficili, contrasti e incomprensioni, confronti vivaci, situazioni in cui per il mio ruolo ho dovuto in coscienza… rivestirmi di autorità. Se, non volendo, mi è accaduto di ledere la sensibilità di qualcuno (presbitero, consacrato, laico), mostrare intolleranza o poca attenzione all’ascolto, esagerare in provvedimenti ritenuti opportuni da adottare; se devo riconoscere di aver causato turbamenti, stati d’ansia, ferite nascoste, delusioni, sofferenze di ogni altro genere approfitto qui e ora per domandare umilmente perdono. Capita a tutti senza eccezione di incorrere in linguaggi, usare toni, assumere comportamenti, che sembrano mettere da parte le “ragioni del cuore”. Confesso, però, che mai ho permesso al tramonto di cadere su una mia giornata senza recuperare la serenità d’animo e la pacificazione interiore nella preghiera e nel proposito di muovere appena possibile il primo passo verso la riconciliazione. Contestualmente affermo di aver superato le conseguenze di analoghi atteggiamenti assunti nei miei confronti, considerandoli occasioni per la verifica della mia coerenza e per una migliore crescita umana e spirituale.

“Carboni da tenere sempre accesi”

Carissimi, consentitemi cinque parole a conclusione di questa mia comunicazione. Utilizzatele liberamente come meglio vi sembrerà opportuno. Sono “cinque carboni accesi”: oso sperare che siano raccolti, ravvivati e messi in condizione di effondere calore e luce dentro e intorno a voi.

  • Siate lieti! Ve lo ripeto: siate sempre lieti (Fil 4,4), perché amati dal Signore in ogni fibra, preziosi ai suoi occhi. Nonostante limiti personali, smarrimenti interiori, fragilità di ogni genere, noi siamo indispensabili (nessuno escluso!) perché abbiano compimento i suoi misericordiosi progetti di salvezza. Sulla barca della nostra vita talvolta sballottata da minacciose ondate c’è Lui a placare ogni tempesta: “Non temete!” (Mt 8, 23-26). Il Dio in cui crediamo crede molto in ciascuno di noi, non ritrae la sua mano paterna, non ci nega il suo abbraccio benedicente, non si pente di averci scelti, non ci impoverisce dei suoi doni.

  • Non abbiate timore. Non esitate quando è il momento di decidere e di scegliere in sintonia con gli insegnamenti di Gesù Cristo. Ricordando ancora il Santo Padre Paolo VI, la realtà in cui viviamo ha bisogno e diritto di incontrare in noi testimoni coerenti, credibili, perseveranti e non supponenti maestri inchiodati a un ideologia, moralisti intolleranti, fondamentalisti detentori di verità immobilizzate in un formalismo, che le soffoca e le insterilisce nella presunzione di… “far cosa gradita a Dio”.

  • Abbiate a cuore l’Eterno! Orientate la vita al di là dei modelli mediocri e banali, che ogni giorno assediano i credenti e che non raramente riescono a sopraffarne la fede, a renderne opaca la speranza e poco generosa la carità di chiamati alla sequela per gli esigenti e scomodi sentieri dell’amore. Alla provocazione di “approdare all’altra sponda” (Mc 4, 35), di “prendere il largo” (Lc 5,4) lì dove mai avremmo previsto di gettare le nostre reti vi trovi sempre disposti a osare perfino l’impossibile e l’assurdo.

  • Lasciatevi pervadere dalla bellezza. Intorno a noi ce n’è tanta. Saprete riconoscerla in uno sguardo innocente, in una delicata carezza, nelle sfumature di un tramonto dorato, in un attimo di tenerezza, in un incontro inatteso, in un timido abbraccio, nei colori di questo “giardino fiorito”, che è il mondo, la nostra “casa comune”. Educate i figli e le giovani generazioni a desiderare quanto davvero può dare senso alla vita, piuttosto che lasciarsi ingannare dai falsi valori di una cultura consumistica, esibizionistica, edonistica abile a vendere il superfluo come essenziale e la rincorsa dei propri interessi come formula di felicità.

  • Lasciatevi sedurre dal fascino di Maria. La veneriamo icona bellissima della Chiesa: in lei, Donna stupenda, il mondo femminile riconosca il modello desiderabile per la propria autentica originalità; nella Vergine del Magnificat i consacrati ritrovino la sorgente del dono totale di sé, della vocazione di consegnati a Dio come “testimoni dell’Invisibile”; i genitori la imitino nella dolcezza, nella gioiosa disponibilità ai voleri di Dio, nel coraggio di camminare sulle vie, che conducono all’incontro con l’umanità affamata di voglia di vivere. Fissiamo lo sguardo su di Lei, scrigno di ogni virtù. Consentirle di entrare nelle nostre dimore e sederci accanto sarà trovare ristoro sul suo petto, pace sulle sue ginocchia ogni volta che al termine del giorno rincaseremo tristi, sconfitti, malmenati dalla vita.

  • Resistete fiduciosi. Nello spaventato periodo in cui il mondo è precipitato, combattiamo, carissimi, la facile tentazione di ripiegarci malinconicamente e senza speranza su noi stessi. Magari schermandoci con le prudenti disposizioni anti-COVID raccomandate per contrastarne il contagio. Viviamo sino in fondo questo difficile presente e non lasciamo che ci porti via il coraggio dell’attesa. Qualcuno ha scritto che è dalle lacrime di pioggia che nascono gli arcobaleni. Ne siamo certi! per questo la preghiera incessante si accompagni realisticamente all’impegno civile da cui nessuno può e deve ritenersi esentato.

Vi porto tutti nel cuore perché appartenete alla mia storia e abitate la mia vita. Lieto di poter ancora significare la mia disponibilità verso chiunque di voi se, come e quando riterrete opportuno. Accompagno i vostri cammini di Chiesa sempre orgoglioso dei vostri progressi. Paternamente traccio la mia benedizione sui presbiteri e i consacrati, sulle famiglie, sugli anziani, sui giovani e i bambini, sui lavoratori e su quanti purtroppo ancora ricercano condizioni di vita più dignitose, su quanti restano ai margini delle vostre comunità, su ognuno.

Permettetemi un ricordo affettuoso e fraterno ai Vescovi che mi hanno succeduto e continuano a guidarvi sui sentieri del Vangelo per annunziare con audacia la buona notizia all’uomo di oggi. Per il loro lavoro pastorale la mia preghiera e la mia amicizia fraterna.