Istituto di Cultura Tasso. Pasquale Giustiniani presenta Tommaso D’Aquino

23 gennaio 2021 | 17:46
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Istituto di Cultura Tasso. Pasquale Giustiniani presenta Tommaso D’Aquino

Giovedi 4 febbraio 2021 alle ore 16.00 presso il Museo Civico di Sorrento , il prof Pasquale Giustiniani presenta Tommaso D’Aquini. Positanonews curerà la trasmissione in diretta dell’evento sul canale dedicato.

Pasquale Giustiniani è professore ordinario di Filosofia teoretica nella sezione “San Tommaso d’Aquino” della Pontificia Facoltà di Teologia per l’Italia Meridionale di Napoli, dove dirige il Seminario Permanente di Studi storico–filosofici “Pasquale Orlando”. Inoltre, è titolare della cattedra di Filosofia della religione nella Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Suor Orsola Benincasa – Napoli. Tra le sue pubblicazioni: “La produzione di Pietro Paolo Parzanese in ottica filosofico-teologica”, in Risorgimento e mezzogiorno romantico. La scrittura cristiana e civile di Pietro Paolo Parzanese (Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, pp. 217-251); Cuore e volto dell’ortodossia. Due volumi di Vladimir Zelinskij (in «Communio», 2011, pp. 76-80); Eadmero di Canterbury, Osberto di Clare, Nicola di St. Albans e la controversia tra i monaci-teologi sulla festa della Concezione di santa Maria (in «Theotokos», 17, 2009, pp. 243–307).

Pagine di un saggio del prof Giustiniani tratte dal sito :

https://www.academia.edu/9093399/La_critica_di_Tommaso_dAquino_allantropologia_averroistica

L’esercizio puntuale e sistematico della polemica antiaverroista da parte di Tommaso d’Aquino, si dimostra come un compito improrogabile nel corso della sua intera opera e, al contempo,si rende così contiguo all’itinerario di Sigieri di Brabante, trai maggiori rappresentanti dell’averroismo stesso, quasi da intersecarsicon esso in un’unica traiettoria: disegnando, fin dalle pagine dantesche,uno degli incontri più singolari e imprevedibili nella storia delle idee e oggetto di interminabili ipotesi ermeneutiche. Vorremmo, dunque, arti-colare il nostro intervento in due punti fondamentali: la definizione del quadro teorico nell’ambito del quale trova la sua genesi storica l’averroi-smo latino, e partire, allora, dalla storia personale, peraltro drammatica,che è quella del suo maggiore rappresentante, Sigieri di Brabante;in se-condo luogo cercheremo di definire, in modo assolutamente sintetico, inuclei teorici che Tommaso oppone all’averroismo.Ancora in via introduttiva vorremmo far riferimento al suggerimen-to teorico che ci è derivato da alcune osservazioni di Giulio D’Onofrioche è riuscito a incunearsi abilmente nel sapiente ordito dantesco sotto-lineando il tema dell’inversa simmetria tra il quarto cielo del paradiso eil primo cerchio dell’inferno, dove com’è noto, sono collocati accanto aifilosofi, agli scienziati e ai poeti dell’antichità, anche quei sapienti e fi-losofi non cristiani più vicini nel tempo, tra i quali Averroè, «che ‘l gran comento feo». Tra gli otto “lumi” che si offrono allo sguardo dello stes-so Dante nei canti X-XIV del Paradiso , di cui si fa portavoce appuntoTommaso d’Aquino, trova una collocazione particolare, infatti, l’anima sapiente di Sigieri di Brabante, il più famoso seguace latino degli inse-gnamenti di Averroè. L’Aquinate lo presenta con parole che hanno a lungo meritato l’attenzione degli storici:

«Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,è ‘l lume d’uno spirto che ‘n pensieri gravi a morir li parve venir tardo:essa è la luce etterna di Sigieri,che, leggendo nel Vico de li Strami,sillogizzò invidïosi veri»
L’importanza della pagina dantesca
L’attenzione è stata posta non solo sul fatto che Dante abbia colloca-to Sigieri nell’ambito dei sapienti beati, ma anche sulle difficoltà teoreti-che intrinseche al rapporto tra il Brabantino e Tommaso e, dopo gli studidi Bruno Nardi e di Étienne Gilson
, la più recente storiografia conviene

oggi per lo più nell’individuare le motivazioni della scelta del Poeta nel-la sua intenzione di riabilitare Sigieri di Brabante agli occhi dei contem-poranei; si tratta anche, per riprendere la tesi di Gilson, di individuarenella collocazione di Sigieri in Paradiso, l’adesione dantesca a quell’im-pegno teoretico e veritativo che spetta a ogni filosofo, indipendente siadall’audacia della metodologia filosofica fondata sull’autonomia della ri-cerca razionale con l’adesione alla tesi averroista dell’unità dell’intellettopossibile, sia per essere stato implicato nel conflitto accademico per lanomina del rettore della Facoltà delle Arti di Parigi, quale rappresentan-te degli artisti opposto alla candidatura di Alberico di Reims .Sarebbe un errore lasciarsi sfuggire allora l’importanza della pagina dantesca, capace di restituire alla polemica che oppose Tommaso agli averroisti latini, lo spessore concettuale che le è proprio. Non si tratta dunque di misconoscere la generosa ostinazione con cui Tommaso ha perseguito questo stesso progetto confutatorio, né di interpretare la posi-zione dell’ultimo Sigieri, le cui posizioni sono certamente più vicine a quelle di Tommaso, nei termini di un brusco e repentino cambiamento,come pure è stato fatto
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. Si tratta di un’ipotesi assolutamente improbabile 

se disponiamo – e tale è il caso – di puntuali indicazioni per individua-re le singole tappe che scandiscono i vari passaggi dell’itinerario intel-lettuale dello stesso Sigieri. La questione è lunga e complessa ed è, dun-que, impossibile seguirne la trama nel dettaglio. Potremmo, però, facil-menteosservare che le considerazioni dantesche, paradossalmente, coin-cidonocon quelle della letteratura critica più recente sull’averroismolatino.È convinzione largamente diffusa, infatti, che la scissione ormai deltutto consumata tra Scrittura e natura, il rifiuto di quell’orizzonte totaliz-zante rappresentato dalla sapientia perennis
, avrebbero prodotto a fine Duecento una nuova figura istituzionale il cui profilo ideologico e la cui attività nella pratica quotidiana della didattica contrastavano profonda-mente con l’immagine tradizionale dei magistri 
: l’intellettuale filosofo la cui caratteristica peculiare viene progressivamente a delinearsi nella marcata
Valeria Sorge10
il fatto che, se in filosofia il maestro brabantino fu certamente un fedele aristotelico, in religione simostrò al contrario un sincero cristiano; analogamente, anche la piatta immagine di un Sigieri ini-zialmente agnostico, e nella maturità radicalmente convertito al cattolicesimo, è stata del tuttomessa in crisi dalle ricerche degli ultimi anni che hanno giustificato, al contrario, l’apparente ete-rodossia di alcune sue posizioni alla luce della sua scelta di professare sempre la rigorosità del fi-losofare e di esprimersi innanzitutto
secundum intentionem philosophorum
. Per una interessante ricostruzione del dibattito storiografico, cf. A. P ETAGINE , Aristotelismo difficile. L’intelletto umano nella prospettiva di Alberto Magno Tommaso d’Aquino e Sigieri di Brabante
, Milano 2004, in part.211-241. Ma già Bernardo Bazan, negli anni ’80, aveva dato una svolta decisiva a tale problemati-ca, proponendo una considerazione della personalità del brabantino alla luce di un progetto di riforma che l’avrebbe condotto a non allinearsi su quelle posizioni ufficiali della chiesa che costi-tuirono un notevole impedimento per quegli spiriti critici impegnati nell’affrontare problematichee metodologie di carattere “scientifico” indiscutibilmente connesse all’indagine antropologica ecosmologica: nella prospettiva di Sigieri la filosofia si pone, dunque, rispetto alle verità di fede, su un piano di assoluta neutralità metodologica. Gli studi più recenti, di conseguenza, sono tutti im-pegnati a valutare, nel significato che le è peculiare, questa nuova dimensione epistemologica del-l’affermazione sigeriana della diversa natura e consistenza dei linguaggi propri, rispettivamente, al-la scienza e alla religione, posizione, com’è noto, singolarmente convergente con le tesi avanzate daBoezio di Dacia anch’egli oggetto della condanna pronunciata nel 1277 contro tutto l’aristotelismoradicale. Cf. B. BÁZAN  La réconciliation de la foi et de la raison était-elle possible pour les aristoté-liciens radicaux? , in  Dialogue 19/1980, 235-254.
accentuazione della propria autocoscienza professionale. Da questopunto di vista, Sigieri di Brabante, Boezio di Dacia e gli altri aristoteliciradicali, attivi alla Facoltà delle Arti, operano nel senso di far coincidereper la prima volta il progetto ideale del filosofo con la loro professionequotidiana.Teorizzata, infatti, l’impossibilità dell’ideale stesso di un sapere uni-tario, e respinta la presunta ancillarità della
 philosophia naturalis
, rispet-to alla teologia, i
magistri artium
si impegnano nella rifondazione delquadro teorico offerto dalla rivoluzione intellettuale prodotta nella lati-nità cristiana dalle traduzioni dei
libri naturales
di Aristotele e restitui-scono alla realtà mondana una piena autonomia ontologica: concezione,questa, che non poteva essere accettata da chi condivideva con la tradi-zione l’idea della cultura cristiana come unità globale.I percorsi speculativi del Duecento possono essere raggruppati, in-fatti, in tre fondamentali correnti di pensiero, tra loro distinte proprio inrelazione all’atteggiamento mostrato nei riguardi della
universa doctrina
di Aristotele: una “destra” conservatrice, vale a dire l’agostinismo tradi-zionale, radicalmente ostile nei confronti del riscoperto aristotelismo; alcentro, l’“aristotelismo cristiano” emblematicamente rappresentato daAlberto Magno (1200 ca-1280) e da Tommaso d’Aquino (morto sui cin-quant’anni nel 1274), sostanzialmente convergente nell’assimilazione cri-ticadel pensiero di Aristotele; una “sinistra”, infine, l’“averroismo latino”appunto, corifea di quel razionalismo paganeggiante che dogmaticamenteripropone le tesi dello Stagirita e del suo empio commentatore Averroè;i rappresentanti di quest’ultima corrente avrebbero espresso le quattroprincipali dottrine “eterodosse” relative alla negazione della Provvi-denza,al determinismo astrologico, al monopsichismo e all’eternità delmondo.
La critica di Tommaso d’Aquino all’antropologia averroistica
Tommaso d’Aquino
Un unico intelletto?Perché siamo contro gli averroisti
Versione italianadel
De unitate intellectus contra averroistas
a cura di Pasquale Giustiniani
Capitolo I
Così come tutti gli esseri umani per natura desiderano conoscere la verità, allostesso modo negli esseri umani è insito il desiderio di evitare gli errori e questi daquando si è fatta presente la competenza di confutarli. Tra gli altri errori, poi, il piùindecoroso sembra essere quello che commette uno sbaglio circa l’intelletto, grazieal quale noi siamo appunto nati per evitare gli errori e conoscere la verità. Ora, daun po’ di tempo a questa parte in molti va prendendo piede circa l’intelletto un er-rore, che prende origine da parole di Averroè, il quale si sforza di asserire che l’in-telletto, da Aristotile denominato possibile, e che egli invece con nome inadeguatochiama materiale, sia una sostanza separata dal corpo secondo l’essere, e che in nes-sun modo gli si unirebbe come forma; e in aggiunta, che siffatto intelletto possibilesia uno solo per tutti gli esseri umani. Contro questa tesi, già da tempo abbiamoscritto abbastanza; ma poiché l’impudenza di coloro che sbagliano non desiste dal-l’opporre resistenza alla verità, nella nostra intenzione è maturato il proposito dimettere nuovamente in scritto contro il medesimo errore alcune riflessioni median-te le quali senz’ambiguità l’errore predetto sia confutato.In questa sede, l’obiettivo non è dimostrare che la posizione descritta sia in er-rore per il fatto che è in contrasto con la verità della fede cristiana; ciò, infatti, puòimmediatamente apparir chiaro a chiunque. Una volta, infatti, che si sottraesse agliesseri umani la differenza d’intelletto, il quale, tra le parti dell’anima, appare il soloincorruttibile ed immortale, ne deriverebbe che dopo la morte nulla delle anime

umane persisterebbe se non quest’unica sostanza dell’intelletto; ma in tal modo ver-rebbe meno la retribuzione dei premi e dei castighi e la diversità tra essi. Noi inten-diamo, piuttosto, rendere evidente che la posizione descritta non è meno contro iprincipi della filosofia di quanto lo sia contro le attestazioni della fede. E dal mo-mento che alcuni, come dicono, in questa materia non conoscono le parole dei La-tini, ma dichiarano di seguire le parole dei Peripatetici, dei quali però non hanno,su questo punto, visto i volumi se non di Aristotile, il quale fu il fondatore dellascuola peripatetica, dimostreremo in primo luogo che la predetta posizione è total-mente in contrasto con le parole e con le teorie di Aristotile.Bisogna assumere, pertanto, la prima definizione di anima proposta da Aristo-tile nel II libro
Sull’anima
, dove egli dice che l’anima è «atto primo di un corpo fi-sico organico». E affinché non si venisse a dire da parte di qualcuno che tale defi-nizione non è riferibile a qualunque anima, per il fatto che poco prima egli aveva af-fermato «Se è bene indicare una caratteristica in comune in qualunque anima», ilche viene da loro interpretato esser stato detto quasi nel senso che ciò non possa es-sere, bisogna tener in debito conto le parole che il filosofo fa seguire. Egli affermainfatti «Universalmente si è dunque detto che cosa sia anima: essa è difatti una so-stanza la quale è secondo ragione; e inoltre, è essenza di un determinato corpo», va-le a dire forma sostanziale di un corpo fisico organico.E affinché non s’ipotizzi che da siffatta universalità venga esclusa la parte in-tellettiva, questo viene scartato mediante quanto egli afferma poco dopo «Che,dunque, non sia l’anima separabile dal corpo, o che (non lo siano) certe parti di es-sa se è stata originata come divisibile in parti, non è inevidente: rispetto a certe par-ti, infatti, è atto delle stesse. E ciononostante, che secondo alcune parti (lo sia) nul-la lo vieta per il fatto che esse non sono atto di nessun corpo»; il che non può in-tendersi se non di quelle che si riferiscono alla parte intellettiva, come lo sono intel-letto e volontà. Da ciò manifestamente viene dimostrato che di quell’anima, di cuiin precedenza egli aveva dato la definizione in universale affermando che è atto diun corpo, vi sono alcune che di alcune parti del corpo sono atto, altre invece di nes-sun corpo sono atto. Altro è infatti che l’anima sia atto di un corpo, altro invece cheuna parte di essa sia atto di un corpo, come tra poco sarà reso evidente. Per cui an-che in questo medesimo capitolo egli spiega che anima è atto di un corpo per il fat-to che alcune parti di essa sono atto del corpo, quando dichiara «è necessario ap-plicare nelle parti quanto è stato asserito», ovvero nel tutto.Ancora più chiaramente dalle frasi seguenti appare che sotto questa generalitàdi definizione anche l’intelletto viene incluso, come si può notare dalle considerazio-ni che seguono. Difatti, dopo aver provato a sufficienza che anima è atto di un cor-po poiché se viene separata l’anima non c’è un vivente in atto, tuttavia potendosi di-re che un qualcosa è effettivamente in atto per la presenza di qualcuno, non soltantose sia forma ma anche se sia un motore, così come una cosa bruciabile in presenzadi 

dubbio se il corpo viva in atto per la presenza dell’anima così come una cosa mobi-le viene mossa in atto per la presenza di un motore, oppure se così come la materiaè in atto per la presenza di una forma; e precipuamente perché Platone stabilì chel’anima non si unisce al corpo come forma, bensì come motore e reggitrice, come sievidenzia attraverso Plotino e Gregorio di Nissa, che io dunque introduco perchénon furono dei Latini ma dei Greci. Proprio questo dubbio insinua il Filosofoquando dopo le cose premesse aggiunge «Ancora più oscuro è se l’anima sia atto diun corpo come il pilota lo è di una nave». Poiché, pertanto, dopo le premesse ri-maneva ancora questo dubbio, egli conclude «A mo’ di abbozzo dunque può ba-stare questa definizione e descrizione dell’anima», ovviamente perché non ne avevaancora perspicuamente dimostrato la verità.Per eliminare, quindi, qualunque dubbio, egli procede conseguentemente amostrare ciò che in sé e secondo ragione risulta maggiormente certo, partendo daquanto è meno certo in sé però più certo rispetto a noi, vale a dire mediante gli ef-fetti dell’anima che sono atti di essa. Ecco perché subito egli distingue le operazio-ni dell’anima, affermando che «l’essere animato si distingue dall’inanimato per ilfatto che vive», e dal momento che molte sono le cose relative alla vita, vale a dire«intelletto, sensazione, moto e quiete in relazione al luogo», nonché il dinamismodel nutrirsi e dell’incrementarsi, ecco che in chiunque vi sia qualcuno di esse si di-ce che è in vita. Mostrato poi come tali cose siano tra loro in correlazione, cioè inqual modo qualcuna senza l’altra possa esistere, conclude in merito che l’anima siadi tutti i predetti aspetti il principio, e che l’anima «viene determinata – come me-diante proprie parti – dalla facoltà vegetativa, sensitiva, intellettiva e dal movimen-to», e per il fatto che tutte queste accade di riscontrarle in un solo e medesimo esi-stente, come nell’essere umano.Ora, Platone stabilì che diverse fossero le anime nell’essere umano, secondo quel-lediverse operazioni di vita che siano con lui congruenti. Di conseguenza Aristoti-le insinua il dubbio «se ciascuno di questi principi sia anima» di per sé, oppure siauna qualche parte dell’anima; e nel caso siano parti di una sola anima, se esse diffe-riscano soltanto secondo ragione, oppure differiscano anche per la sede, vale a direper l’organo. E aggiunge che «circa alcune» ciò appare «non difficile», e tuttaviache ve ne sono alcune che generano dubbio. Dimostra perciò coerentemente che èmanifesto, circa quegli aspetti che sono relativi all’anima vegetativa, e circa quellirelativi all’anima sensitiva, per il fatto che le piante e alcuni animali continuano a vi-vere anche se tagliati, ed in qualunque loro parte tutte le operazioni dell’anima chesono nel tutto si rendono manifeste. Tuttavia, circa quali egli nutra qualche dubbio,lo mostra annotando che «riguardo poi all’intelletto e alla facoltà prospettiva nonancora è chiaro». Il che non lo dice in quanto vuole dimostrare che l’intelletto non
sia anima, come fraintendendo interpreta il Commentatore e coloro che lo seguono:in maniera chiara ciò corrisponde piuttosto a quanto egli aveva affermato poco pri-ma «Ne esistono alcune che generano dubbio». Per cui ecco l’esatta interpretazione:niente fino ad ora risulta chiaro, se l’intelletto sia anima o parte dell’anima; e se par-te dell’anima, se essa sia separata in un luogo, oppure soltanto per ragione.E benché affermi che ciò non sia ancora chiaro, tuttavia che cosa circa ciò aprima vista appaia lo rende manifesto osservando «Però sembra essere un altro ge-nere di anima». Il che non è da comprendere, come il Commentatore e i suoi se-guaci fraintendendo spiegano, che ciò sia stato da lui detto perché l’intelletto in ma-niera equivoca viene denominato anima, oppure che la predetta definizione nonpossa essere adatta ad esso: piuttosto, quale sia l’esatto senso dell’affermazione ap-pare da quanto il testo aggiunge poco dopo «E a questo soltanto potrebbe accade-re di essere separato come l’eterno dal corruttibile». In ciò dunque si dà un altro ge-nere, in quanto l’intelletto sembra essere un che di perpetuo, mentre le altre partidell’anima corruttibili. E poiché corruttibile e perpetuo non sembrano poter con-vergere in una sola sostanza, sembra che a questo soltanto tra le parti dell’anima,cioè all’intelletto, accade di esser separato, non però dal corpo, come il Commenta-tore fraintendendo espone, bensì dalle altre parti dell’anima, di modo che non con-vergano in una sola sostanza dell’anima.E che sia da spiegare così, risulta evidente da quanto egli aggiunge «Le rima-nenti parti, poi, dell’anima è chiaro da quanto si è detto che non sono separabili»,vale a dire per la sostanza dell’anima o per il luogo. Di questo infatti ci si era inter-rogati prima, e questo dalle cose dette fin qui è stato provato. E che non si debba in-tendere nel senso di una separabilità dal corpo, bensì di una separabilità reciprocadelle potenzialità, appare chiaro da quanto viene aggiunto poco dopo «Che peròper ragione siano altre», cioè sono una reciproca all’altra, «è manifesto: la facoltàpercettiva infatti è altra dalla facoltà opinativa». E così in maniera lampante quantoviene qui precisato costituisce anche la risposta alla questione mossa in esordio: pri-ma ci si è chiesto infatti, se una parte dell’anima separata da un’altra lo sia soltantoper ragione, oppure anche per luogo. A questo punto, risolta tale questione relati-vamente all’intelletto, circa cui niente egli stabilisce definitivamente qui, delle altreparti dell’anima egli afferma esser palese che esse non sono separabili, cioè secondoil luogo, ma sono altre per distinzione di ragione.Ottenuto dunque il risultato che l’anima si determina in facoltà vegetativa, sen-sitiva, intellettiva e movimento, vuol mostrare conseguentemente che, quanto a tut-te queste parti, l’anima si unisce al corpo non come il pilota ad una nave bensì co-me forma. Ed in tal modo si sarà del tutto certi su che cosa sia l’anima in generale,mentre in precedenza era stato detto soltanto per approssimazione. Ciò viene pro-vato mediante le operazioni dell’anima nel modo che segue: è lampante infatti chequel che in primo luogo un qualcosa opera è la forma di chi opera, così come di noi

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