Da Ravello in Costiera amalfitana una riflessione per uscire dal pantano locale .
In Italia la transizione dal grande progetto industriale post bellico a quello post industriale è stata avviata, paradossalmente, a leggi e regole immutate; per usare un paradosso è come se partecipassimo ai mondiali di atletica in abbigliamento da sci alpino.
Per capire meglio il concetto dobbiamo partire da due assunti fondamentali:
1. L’Italia possiede il giacimento mondiale più grande di un’unica “materia prima” sulla quale poggiare la sua economia: la QUALITA’;
2. Una larghissima fetta di “fabbriche e imprese” produttrici di “QUALITA”, non richiede né grandi opere di urbanizzazione, né grandi reti infrastrutturali.
Ancora oggi per realizzare le strutture e le infrastrutture del nuovo corso postindustriale, bisogna seguire le regole obsolete dei vecchi programmi di industrializzazione; dall’urbanistica al mondo bancario, tutto è rimasto immutato o quasi, determinando il fallimento sostanziale del processo avviato, e la mancata o parziale produttività dei, pur se modesti, investimenti pubblici. Appena negli anni ottanta, il processo di interventi per la ricostruzione post sismica dell’Irpinia, fu basato sulla tradizionale, ma già concettualmente superata, cultura del teorema “Ripresa = Industrializzazione”: con la ricostruzione delle case e dei centri storici, si costruirono strade a scorrimento veloce e aree industriali a gogò. Di fatto si sprecarono ingenti risorse per costruire cattedrali nel deserto e dare il colpo di grazia ai resti della identità locale di quei territori, sulla quale invece si sarebbe dovuto costruire il futuro. Non è un caso che, fra le tante “nuove industrie” insediate in quelle zone, fra le poche superstiti, è fiorente e primeggia quella dolciaria legata alla trasformazione delle materie prime più abbondanti nell’area: nocciole e latte. E’ anche per questi motivi che il gap socio-economico fra le aree rurali dei piccoli Comuni e le aree metropolitane si è ulteriormente ampliato, nonostante l’intero mondo produttivo postindustriale avrebbe dovuto trovare proprio nei piccoli borghi la sua collocazione preferenziale. Di fatto il Made in Italy, le DOC, le DOP, i Giacimenti Culturali, il paesaggio, l’ambiente, sono diventati, da progetti di ripartenza per una nuova grande Italia, sterili esercizi lessicali e luoghi comuni per riempire programmi elettorali e convegni.
E’ questo il vero fallimento della politica economica di riconversione adottata negli ultimi anni; una politica economica che ha fatto diventare chimera quello che doveva essere il sogno italiano; una politica economica che ha creato il “NUOVO SUD d’Italia”, non più quello geografico e storico, ma un sud socio-economico diffuso distribuito nella galassia dei Piccoli Comuni.
Oggi ci soccorre, inaspettatamente e drammaticamente, il COVID. La grave crisi economica che la pandemia ha fatto esplodere, può, e secondo me deve, essere vista come una grande opportunità; essa, infatti, è una crisi generale e non di settore, è una crisi che ha riportato tutti ai nastri di partenza, azzerando posizioni privilegiate ed egemoniche; oggi non ci sono più sacche di potere economico condizionanti, e l’economia Italiana si ritrova a lanciare un unico grido di dolore.
Il futuro ora si focalizza sempre più e con contorni netti sul mondo della “Qualità Italiana” del “Made in Italy”. Bisogna fare però molta attenzione alle scelte politiche che si andranno a mettere in campo, e fare tesoro degli errori del passato. Il “Sistema Italia” va completamente riorientato con interventi globali sia normativi che economici. Bisogna evitare assolutamente che i programmi che si stanno varando in queste ora seguano le logiche dei compartimenti stagni fra i vari settori e campi di intervento, che hanno caratterizzato tutto il periodo industriale, il rischio è ancora più grande se le scelte dovessero essere frutto di una salomonica spartizione/mediazione partitica; serve che ciascun progetto sia il tassello di un mosaico ben definito, all’interno del quale ogni tessera, per quanto autonoma per forma e dimensione, concorra insieme a tutte le altre a comporre la risultante auspicata.
Un esempio per tutti. Il futuro e lo sviluppo della banda larga, non devono essere più dettati e modulati dalla “attuale distribuzione geografica della domanda di banda e di servizi”, ma essi dovranno essere progettati in funzione di quella che sarà la “futura domanda di banda”, a valle del nuovo modello nazionale di sviluppo postindustriale. I due percorsi realizzativi, quello della banda larga e quello degli interventi per la post industrializzazione del paese, dovranno avvenire parallelamente e contemporaneamente nei prossimi anni, in modo tale da sostenersi reciprocamente.
Lo Stato dovrà fungere da ispiratore e capofila nell’adozione dei nuovi strumenti normativi e legislativi da porre alla basa dell’impiego delle risorse che l’Europa si appresta a rendere disponibili, per fare da volano al nuovo piano di sviluppo locale; Regioni e Comuni dovranno, contemporaneamente e sinergicamente rimodulare il loro impianto normativo e di pianificazione, in modo da portare tutte le aree del paese, in contemporanea e allineate, al traguardo finale; discorso analogo è per il sistema finanziario e per quello bancario.
Un progetto complessivo di tale portata, deve diventare il grande sogno del rilancio italiano, partendo dai settori strategici (ambiente, territorio, energia, scuola, innovazione, sanità, sicurezza, etc.), per arrivare alle opere infrastrutturali (viabilità, trasporti, banda larga, etc). Bisogna tener presente che circa il 70% del territorio nazionale, proprio quello a più alto rischio idrogeologico, con la peggiore sanità, senza infrastrutture moderne, fortemente vittima del Digital Divide, è presidiato dai Piccoli Comuni con appena 10 milioni di abitanti (16% di quelli complessivi italiani); per contro nei piccoli centri si produce il 92% dei prodotti agroalimentari di origine protetta (Dop, e di Indicazione di origine protetta, Igp) e il 79% dei vini italiani DOC e IGT.
L’ulteriore e non secondario elemento da considerare è che nelle aree rurali e nei centri minori, il controllo sociale elevato, porta ad un fisiologico abbattimento di quei fenomeni che sono la cancrena del nostro paese: criminalità comune e organizzata, droga, evasione fiscale, corruzione, etc.; per non parlare, in positivo, dell’elevato tasso di “Responsabilità Sociale d’Impresa” che permea quei territori. Tutti questi elementi incidono non poco in termini di costi e di produttività sull’economia del Paese.
E’ del tutto evidente che una tale impostazione non può essere appannaggio di una Maggioranza di Governo, o di una lobby di potere; il futuro del Paese e di alcune generazioni, deve vedere il coinvolgimento immediato di tutte le Forze Politiche in campo, di tutti i Livelli Istituzionali coinvolti, di tutte le Organizzazioni di Rappresentanza Sindacale e di Categoria; deve diventare il “Nuovo Progetto Italiano Condiviso dagli Italiani”: Olivetti e Piaggio docent.
La campagna di comunicazione di alcuni anni fa adottata dai Piccoli Comuni d’Italia (5.800 su 8.000) era impostata sullo slogan “Piccolo è Grande”; dietro questo gioco di parole c’erano, e ci sono oggi ancora più valide, una serie di considerazioni: il maggiore giacimento di “prodotti postindustriali risiede nei piccoli Comuni ed in aree rurali” (usi, costumi, tradizioni, beni culturali, prodotti tipici, DOC, DOP, Made in Italy, creativi, artisti, etc. Vedi tabella); molte negatività di un tempo che inducevano a lasciare i centri minori, oggi sono considerate positività, e viceversa, (qualità della vita, silenzio, inquinamento, rapporti sociali, sicurezza, etc.); deficienze gravi delle aree rurali, sono state superate dall’evoluzione tecnologica e non solo – la mancanza di aree commerciali, banche e negozi, è stata colmata dall’e-commerce e dall’home banking; l’assistenza sanitaria ha avuto grande aiuto dalla telemedicina; gli agriturismo, le case vacanze e gli alberghi diffusi, sono letteralmente esplosi; etc). Non tener conto di tutto questo sarebbe da folli: come ci dicono i numeri, i Piccoli Comuni sono il tesoro italiano, e le imprese fuori dalle grandi città trascinano l’economia.
Vedere la politica litigare su formule e poltrone, leggere piani asfittici e arraffazzonati, trovare i Veri Protagonisti (Piccoli Comuni, Associazioni di categoria, Organismi di rappresentanza) relegati nell’angolo angusto degli sfigati, fa male, fa molto male.
Un secolo e mezzo di Unità Politica, una Storia plurimillenaria densa e unica, una condizione geografica paradisiaca, il made in Italy tanto invidiato e copiato nel mondo, meritano molto di più; è dovere di tutti e ciascuno assicurarlo all’ITALIA.
Secondo Amalfitano già Coordinatore Nazionale Piccoli Comuni – ANCI