San Giovanni Bosco protettore degli studenti alla vigilia del ritorno a scuola dopo il Covid, questa sera su Tv 2000

31 gennaio 2021 | 16:13
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San Giovanni Bosco protettore degli studenti alla vigilia del ritorno a scuola dopo il Covid, questa sera su Tv 2000

Oggi si festeggia San Giovanni Bosco protettore degli studenti alla vigilia del ritorno a scuola dopo il Covid, un significato particolare questa ricorrenza per il ritorno anche degli studenti delle scuole medie superiori a scuola dopo il lockdown per il Coronavirus Covid-19, anche in Campania, grazie ad una sentenza del Tar di Napoli

Questa sera su TV 2000  anche un Musical con Insigne

La vicenda si svolge in Piemonte nel 1800. Il piccolo contadino Giovanni Bosco mostra un’intelligenza spiccata e il desiderio di studiare: sull’esempio del suo mentore, un anziano curato, si farà prete. A Torino, ormai adulto, don Bosco entra in contatto con la gioventù disperata della grande città: bambini e adolescenti costretti a mendicare e rubare, sfruttati per lavori pesanti e sottopagati. L’uomo mette in pratica un’idea rivoluzionaria: un oratorio settimanale dove i ragazzi potranno giocare, imparare e, soprattutto, sentirsi ancora persone degne d’amore. Il vicario di città Clementi, che considera quei giovani irrecuperabili, lo ostacola in ogni modo, e lo stesso don Bosco vacilla quando uno dei suoi protetti uccide un uomo durante una rapina.

San Giovanni Bosco, o come viene generalmente chiamato don Bosco (nato a Castelnuovo d’Asti, 16 agosto 1815), ha contribuito allo sviluppo della comunicazione sociale sia come educatore moderno e preveggente dei giovani, sia come promotore della “buona stampa” e dell’editoria cattolica e fondatore di un movimento mondiale che annovera tra i suoi scopi l’educazione dei ceti popolari “in particolare con la comunicazione sociale” (Costituzioni salesiane, art. 6), tratto da wikipedia

1. L’educatore
Ordinato sacerdote il 5 giugno 1841, don Bosco matura durante i tre anni della formazione pastorale al Convitto ecclesiastico di Torino, sotto la guida del teologo Giuseppe Guala e di San Giuseppe Cafasso, le motivazioni ideali della sua vocazione educativa. Il motto scelto come sacerdote: “Signore, dammi le anime, prenditi tutto il resto” (Da mihi animas, caetera tolle) si traduce subito in ansia per la salvezza spirituale e sociale dei giovani che egli incomincia ad avvicinare accompagnando don Cafasso nelle carceri torinesi e distinguendosi come catechista che non si limita al contatto dell’ora di catechismo, ma si interessa dei singoli, del loro svago e delle altre loro attività. Nel 1846, trasferitosi nella estrema periferia nord ovest di Torino, sui prati di Valdocco, in una casa presa dapprima in affitto e poi in proprietà grazie al sostegno finanziario di don Cafasso e altri, dà vita all’esperienza educativa dell’oratorio, che si distingue da precedenti forme di sociabilità, perché si appoggia non sul controllo sociale e la costrizione, ma sulla spontaneità dell’assembramento giovanile. L’oratorio di don Bosco è il luogo della piena espressione della vitalità giovanile con ampie possibilità di movimento, di gioco, di iniziativa. Il suo metodo fondato sul trinomio “ragione, religione, amorevolezza” valorizza ciò che i giovani amano. Le feste scandiscono sapientemente l’andamento severo dell’anno scolastico; la musica e le rappresentazioni teatrali animano il tempo libero e invitano i giovani al protagonismo; le passeggiate autunnali che partendo da Torino conducono a piedi anche 200-300 giovani da una parrocchia all’altra del Monferrato, con soste in cui i giovani si esibiscono davanti ai paesani con macchiette e con esecuzioni bandistiche, ed edificano con l’assistenza devota alla messa celebrata da don Bosco, anticipano il turismo giovanile. Nel 1847 don Bosco incomincia a ospitare come convittori giovani che vengono da fuori città: garzoni in cerca di lavoro, apprendisti, studenti, chierici e preti. La ‘casa annessa all’oratorio’ si sviluppa presto come scuola ginnasiale e laboratorio per l’apprendimento di arti e mestieri (calzoleria, legatoria, falegnameria, tipografia, ecc.). Lo stile educativo adottato nel convitto continua quello dell’oratorio festivo: il cortile è lo spazio dello svago e della spontaneità giovanile, la chiesa di S. Francesco di Sales (costruita in quegli anni) e le camerette di don Bosco sono il luogo privilegiato della formazione religiosa e della cura spirituale ‘uno per uno’ dei giovani. L’assenza di una particolare divisa contraddistingue i convittori di don Bosco ed è un’attestazione di spontaneità, oltre che di parsimonia o addirittura di indigenza.
Le associazioni giovanili (prima fra tutte già dal 1846 la Compagnia di S. Luigi Gonzaga, alla quale si aggiungono quelle dell’Immacolata, del SS. Sacramento e di S. Giuseppe) sono una palestra del protagonismo giovanile. Per i più maturi, don Bosco propone l’esperienza delle Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli, fondate in Francia da Federico Ozanam.
L’internato di don Bosco, tra il 1858 e il 1868, con i suoi 800-900 convittori costituisce l’assembramento più numeroso di giovani in una città italiana. A ragione, don Bosco è stato considerato come modello degli educatori e proclamato da Giovanni Paolo II “patrono della gioventù” (Giovanni Paolo II, Juvenum Patris, 1988).

2. Lo scrittore e l’editore
Accanto al “genio dell’educazione”, don Bosco ha sviluppato quello dello scrittore e dell’editore. Pur assorbito in una svariata e intensissima attività a favore dei giovani, il santo educatore non considerò marginale la sua attività di scrittore ed editore. Il catalogo dei suoi scritti (libri e opuscoli) raggiunse il numero di 403 titoli (dal 1844 al 1888). La pubblicazione periodica popolare più significativa fondata da don Bosco è quella delle Letture cattoliche, che inizialmente (1853) cura con l’appoggio del vescovo di Ivrea, mons. Luigi Moreno, e che dal 1862 stampa in proprio nella tipografia impiantata nell’oratorio di Valdocco. Le Letture cattoliche sono nella mente di don Bosco una risposta concreta all’esigenza di diffondere “buona stampa” tra il popolo, sollecitata dai vescovi del Piemonte. Si distinguono da precedenti collezioni per un taglio più popolare, attente a evitare temi che avrebbero potuto urtare i sentimenti patriottici del tempo.
I messaggi che le Letture cattoliche indirizzano alla popolazione sono semplici e facilmente percepibili: vite dei Papi dei primi tre secoli, brevi vite dei santi, soprattutto giovani, libretti didascalici elementari di impronta catechistica, suggerimenti vari per la vita morale, domestica ed economica secondo i caratteri più comuni della mentalità popolare piemontese. Le Letture cattoliche, partite con una tiratura di circa 3000 copie, arrivano a circa 12.000 copie negli anni 1870. Mantenute a prezzi concorrenziali molto bassi, vengono distribuite mediante una rete costituita essenzialmente da parroci e laici volenterosi. Della sua attività editoriale e della diffusione della buona stampa, don Bosco fece il “fiore all’occhiello”. Riferendosi alle tecniche tipografiche, egli asseriva di voler “essere all’avanguardia del progresso”. Nel 1949 il papa Pio XII l’ha proclamato patrono degli editori cattolici.
3. Il fondatore
Fin dalle prime esperienze dell’oratorio di Valdocco, don Bosco aveva intuito che, per promuovere la “salvezza” dei giovani, era necessario far conoscere la sua impresa educativa a tutti i livelli sociali e religiosi, pubblici e privati, allo scopo di ottenere consenso e sostegno economico e trasformare via via i giovani migliori in primi collaboratori della sua opera. A metà degli anni 1850 don Bosco pone le premesse per costituire una vera e propria Congregazione religiosa finalizzata all’educazione dei giovani specialmente più poveri. La formula “stare con don Bosco” personalizza un’esperienza che si fonda, oltre che sulle motivazioni religiose, sul rapporto personale e la vita comunitaria vissuta con “spirito di famiglia”. La formula adottata è quella di libera associazione che raggruppa sia laici sia chierici che si presentano nel sociale come semplici cittadini che non rinunciano ai diritti civili dello Stato italiano. Nel 1869 la Società salesiana ottiene il riconoscimento dalla Santa Sede e nel 1874 l’approvazione delle sue costituzioni. Nello stesso anno parte per l’Argentina la prima spedizione dei missionari salesiani. Nel frattempo don Bosco matura l’idea di allargare alle ragazze l’opera educativa sperimentata con successo con i giovani. Nel 1872 il primo nucleo delle giovani consacrate, guidate da Maria Domenica Mazzarello, prende i voti religiosi a Mornese (diocesi di Acqui) e assume il titolo di Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA). Con il loro stile di vita, non chiuso dietro le grate, ma tale da farne animatrici di istruzione e di svaghi, le FMA contribuiscono a diffondere un’immagine innovativa di religiosa tra gli ambienti giovanili e pastorali.
Nel pensiero di don Bosco, Salesiani e FMA costituiscono il nucleo centrale, lo ‘zoccolo duro’ di un ‘movimento vasto come il mondo’, aperto a tutte le risorse disponibili, pur di guadagnare il numero più vasto possibile di persone alla ‘causa dei giovani’. Nel triennio 1874-1876 don Bosco concretizza la sua ‘utopia’ organizzando l’Unione dei Cooperatori Salesiani. Come organo di informazione e coordinamento, don Bosco lancia nel 1877 la pubblicazione di un mensile che da notiziario editoriale (Bibliofilo cattolico) si trasforma in Bollettino salesiano, diffuso a larghissimo raggio e gratuitamente. Al Bollettino salesiano italiano vengono presto aggiunti i corrispettivi periodici in francese, in spagnolo e in tedesco. Il Bollettino salesiano, come le ‘lotterie’ nei primi tempi dell’oratorio, diviene un importante canale di finanziamento delle opere caritative di don Bosco. Il santo educatore non esiterà ad assumere quelle forme di ‘pubbliche relazioni’ che gli consentiranno di far conoscere e stimare la sua opera. Grande rilievo avranno i viaggi in Italia, Francia e Spagna con innumerevoli conferenze e contatti con personalità del mondo laico ed ecclesiale. Don Bosco non sarà restio a rilasciare interviste e a mettersi in posa per farsi fotografare, se ciò può risultare utile per la promozione delle sue opere. Don Bosco muore a Valdocco il 31 gennaio 1888. I suoi funerali attirarono una folla immensa. La notizia del decesso, divulgata dai giornali, rimbalzò in tutto il mondo contribuendo anch’essa a dare una spinta maggiore al dinamismo che il santo aveva saputo imprimere alle sue opere.

4. La grande rivoluzione di don Bosco
Umberto Eco attribuisce a don Bosco il merito di una “grande rivoluzione” nel campo della comunicazione, per aver proposto e realizzato nel suo oratorio l’utopia di “un nuovo modo di stare insieme”, che sarà capace di proporsi quale efficace strategia nei confronti di una società delle comunicazioni di massa non più caratterizzata dalla presenza di alcuni dinosauri (la radio, la televisione, i giornali, il cinema), ma polverizzata in una serie di comportamenti (“fanno parte, infatti, delle comunicazioni di massa anche i blue-jeans, la droga, il commercio di chitarre usate, il modo di aggregarsi per gruppi e per bande”). In questo contesto “l’urgenza non è produrre altri dinosauri, ma prendere atto della polverizzazione dei canali e costruire nuovi modi di usarli, cambiarli, alternarli, confonderli” (Teatro ed educazione).
“Don Bosco inventa [questa rivoluzione], poi la esporta verso la rete delle parrocchie e l’Azione cattolica, ma il nucleo è là, quando questo geniale riformatore intravede che la società industriale richiede nuovi modi di aggregazione, prima giovanile poi adulta, e inventa l’oratorio salesiano: una macchina perfetta in cui ogni canale di comunicazione, dal gioco alla musica, dal teatro alla stampa, è gestito in proprio su basi minime e riutilizzato e discusso quando la comunicazione viene da fuori. Ricordiamo che negli anni Cinquanta una rete di dodicimila piccole sale parrocchiali era arrivata a influenzare i produttori cinematografici.
La genialità dell’oratorio è che esso prescrive ai suoi frequentatori un codice morale e religioso, ma poi accoglie anche chi non lo segue. In tal senso il progetto di don Bosco investe tutta la società italiana nell’era industriale.”
Perché il “progetto don Bosco” continui nella sua efficacia – continua Eco – è necessario “qualcuno o un gruppo con la stessa immaginazione sociologica, lo stesso senso dei tempi, la stessa inventività organizzativa. Al di fuori di questo quadro nessuna forza ideologica può elaborare una politica globale di massa, e dovrà limitarsi all’occupazione (spesso inutile e sovente dannosa) dei vertici dei grandi dinosauri, che contano meno di quanto si creda”.