Al Museo Michelangelo di Caserta “Quello che resta”, personale di Daria Miselli
Caserta – Al Museo Michelangelo è in corso la mostra fotografica di Daria Miselli “Quello che resta“, rassegna dedicata allo scempio ambientale consumato nella cosiddetta “Terra dei Fuochi“, la mostra sarà aperta al pubblico, con ingresso gratuito, fino al 3 marzo 2021, dal lunedì al venerdì, dalle ore 8:30 alle ore 19:30 previa prenotazione sul sito museomichelangelo.alternavista.org. La mostra è una delle iniziative del progetto cofinanziato MiBact “Esserci per cambiare il nostro quartiere”, ideato dall‘ITS “M. Buonarroti” e Museo “Michelangelo” che si avvale del partenariato istituzionale del Comune di Caserta, Parrocchia del Buon Pastore, Parrocchia di San Pietro in Cattedra, AGESCI, scuot Caserta 4, Associazione Culturale “Francesco Durante” e BoomWebAgency”. Daria Miselli, classe 76 di Wattwil, nel cantone svizzero di San Gallo, è alla sua prima personale, diplomata presso l‘Istituto d’Arte di San Leucio, nel 2019 ha conseguito il Diploma di fotografia professionale con un mago dell’arte fotografica del calibro dell’americano George Seper, all’Istituto di Fotografia. “Quello che resta, inquietudini fotografiche contro lo scempio ambientale e umano” è una raccolta di 44 scatti, un reportage futuristico, come lo definisce la stessa autrice, sulla sua pagina Facebook, con il quale ha voluto raccontare le conseguenze dell’uomo sulle nostre terre. Sono ritratti sui nostri territori devastati dall’incuria e dalla desolazione provocata dai rifiuti che mettono angoscia e costringono a riflettere. La protagonista in molte di esse è una donna che indossa una maschera antigas, un Caronte che ci conduce nell’inferno che noi stessi abbiamo creato. Questo lavoro fotografico di Daria Miselli mi ricorda Giuseppe Ungaretti che ai primi del Novecento si interrogava sull’uso delle mascherine e sul mutamento antropologico che esse potevano produrre. Gli eserciti dei paesi belligeranti agli inizi del Novecento si erano dotati di armi chimiche, armi distruttive che minacciavano l’umanità intera. Una paura nuova iniziava a mettere radici nell’animo umano. Così, in un articolo pubblicato nel ’29 sul Mattino di Napoli, il poeta indugiava su un futuro distopico, tanto simile al nostro presente, nel quale, per difesa, l’umanità intera sarà obbligata all’uso di maschere protettive.Uno scritto antico che parlava e parla ancor oggi al cuore: “Tutti, si mangerà colla maschera, si farà all’amore colla maschera, si riderà sotto la maschera, e sarà una grandiosa vista, quella dell’umanità intera, col muso da foca. L’individuo, capite, non avrà più viso. Quel giorno si potrà incominciare a parlare sul serio d’uguaglianza, di democrazia, d’uomo anonimo”. Non solo la maschera antigas. Le tante minacce, stavolta non umane ma naturali, i virus, costringeranno l’uomo a una difesa più strenua, il nascondimento. Per difendersi dai virus l’uomo inizierà a vivere sottoterra, scrive Ungaretti, vi costruirà città, vi si sotterrerà. Immagine estrema, ma che rimanda a più attuali nascondimenti, che sono tutt’altri, ma anche simili. Oggi hanno preso un nome moderno e inglese: Lockdown. In tale segregazione forzata, scrive l’autore di “M’illumino d’immenso”, continuerebbe comunque il ciclo della vita, ma altro: “Si nascerebbe e si morirebbe nelle tombe. L’umanità sarebbe così andata finalmente a finire nel mondo tutto artificiale per il quale tanto essa s’affanna. Dopo poche dozzine d’anni, anche le nuvole, il sole, le stelle, la luna, il cielo visibile, non sarebbero più per l’uomo che un perduto bene, favole, un bene soprannaturale”. Le fotografie di Daria Miselli hanno questa forza narrativa: denunciano, squassano, invitano a capire e a non accettare l’inferno, un’esposizione che vi consiglio di non perdere. di Luigi De Rosa