2. Dante, il papà ideale e l’amore per san Benedetto
Sorrento ( Napoli ) . Rispondere all’articolo di Arno Widmann che sul giornale tedesco Krankfurter Rundschau ha parlato di Dante collegandolo alla poesia provenzale e a Shakespeare potrebbe essere un buon esercizio letterario ma vi stancherebbe molto. Già in un mio libro scrivo che in merito alla composizione della Divina Commedia, ancora non si sa esattamente come Dante possa aver avuto conoscenza diretta di un’opera che circolava nella Spagna musulmana relativa al viaggio nell’aldilà compiuto miracolosamente da Maometto, ma con ogni probabilità il suo maestro Brunetto Latini, che era stato a lungo alla corte di re Alfonso X il Saggio, gliene riferì almeno a voce . Ma mi solletica molto il cognome del giornalista per non consigliargli una “sciacquatura dei panni in Arno”. Quando arriva in Toscana, nell’estate del 1827, Manzoni ha già realizzato due diverse stesure dei Promessi sposi: la prima, Fermo e Lucia, era a detta dello stesso autore un «composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine»; la seconda, i Promessi Sposi, mostrava invece una lingua più composita ma non è ancora soddisfatto e decide così di lasciare Milano per trascorrere qualche tempo a Firenze. Qui dà inizio alla “risciacquatura” in Arno, cioè adegua i Promessi sposi alla lingua parlata dai letterati fiorentini nei primi decenni dell’Ottocento. Ma torniamo all’argomento che desidero trattare e già accennato ieri, anche Brunetto Latini e san Francesco costituirono per Dante un forte punto di riferimento per la costruzione della figura del padre ideale. Precorrendo di secoli il Concilio Vaticano II, ma in ossequio coi padri della Chiesa, San Francesco vedeva nel suo vescovo il padre, il pastore, il consigliere, chi poteva dargli fiducia nel presente e speranza nel futuro. Ecco perché, in analogia, Dante cerchi di costruirsi un “padre ideale”, cercando di mettere insieme le migliori qualità di quanti ha conosciuto e ammirato. Attingendo dal mondo classico, Virgilio è uno dei personaggi chiave della Divina Commedia. La scelta di Virgilio come guida nei primi due regni dell’oltretomba non è stata una scelta casuale. Virgilio è un modello di poesia e di umanità per Dante e lo si vede in parecchi episodi dell’Inferno: dal canto III quando incontra gli ignavi e Virgilio gli dice di “non curarsi di loro” (non ragioniam di lor, ma guarda e passa) ma di passare oltre, fino alla città di Dite quando Virgilio protegge Dante letteralmente con il suo corpo, facendo intervenire poi il messo celeste. Dopo questo viaggio Dante sarà un altro uomo, Virgilio e Dante sono come padre e figlio, uniti dall’amore reciproco, tant’è vero che Virgilio chiama Dante “figlio” e Dante chiama Virgilio “padre”, nome che darà anche a Guinizelli «quand’io odo nomar sé stesso il padre/ mio» (Purgatorio, XXVI, 97-98), riferendosi a lui come ispiratore per la sua formazione poetica e letteraria. Ecco spiegata anche la presenza del trisavolo Cacciaguida come sostituto del padre: ««Voi siete il padre mio» dichiarando di avere in lui certezze e fiducia: «voi mi date a parlar tutta baldezza; / voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io» (Paradiso, XVI, 16-18). Da oblato benedettino, grato alla mia formatrice la benedettina suor Ildegarde del monastero di Sant’Agata sui due Golfi, devo ricordare che grande importanza ha per Dante anche San Benedetto e la Regola da lui redatta, dove l’abate fa le veci di Cristo e, per Dante, può degnamente ricoprire il ruolo di pater familias. Dante include San Benedetto tra gli spiriti contemplanti che si manifestano nel VII Cielo di Saturno, lungo la scala dorata che si erge verso l’alto: compare nella prima parte del Canto XXII del Paradiso, dopo il colloquio avuto dal poeta con Pier Damiani. Dante vede moltissime sfere luminose che ruotano insieme lungo i gradini della scala ed è san Benedetto, la più luminosa delle luci, a rivolgersi al poeta, che non osa parlare per timore di essere molesto. Dante prega il beato di mostrarsi col suo vero aspetto, se possibile, ma Benedetto risponde che tale desiderio potrà essere appagato solo nell’Empireo, dove peraltro si adempiono i desideri di tutti i beati e dove finisce la scala d’oro, la stessa vista da Giacobbe nel sogno narrato nel libro della Genesi. San Benedetto viene citato ancora in (Paradiso, XXXII, 31-36), allorché san Bernardo spiega a Dante la disposizione dei beati nella candida rosa dell’Empireo e afferma che il santo siede nella stessa fila di Francesco e Agostino. E questo vi auguro cari lettori in questa Domenica di pace, qualsiasi sia la vostra fede o il Dio a cui fate riferimento: possiate raggiungere le vette più alte della santità!
Aniello Clemente
Cf. A. CLEMENTE, Porgi l’altro… orecchio. San Paolo VI e la letteratura: un ponte di dialogo tra i popoli, E.D.I., Napoli 2019.
Cf. P. BRANCA – A. CUCINIELLO, Destini incrociati. Europa e Islam, (Homo Sapiens), Fondazione Achille e Giulia Boroli, Novara 2006, 98.