Lavorare gratis agli Scavi di Pompei, un modo per cancellare gli effetti della pena per i condannati ai reati minori
Lavorare gratis agli Scavi di Pompei, un modo per cancellare gli effetti della pena per i condannati ai reati minori.
Le persone condannate per reati minori potranno lavorare, a titolo gratuito, nelle aree archeologiche vesuviane per cancellare gli effetti della pena.
È quanto prevede l’accordo firmato ieri mattina presso il Tribunale di Torre Annunziata tra il presidente Ernesto Aghina, il direttore generale del Parco Archeologico di Pompei Massimo Osanna, e Giuseppina Forte, in rappresentanza dell’Uepe, l’Ufficio interdistrettuale esecuzione penale esterna della Campania, diretto da Patrizia Calabrese. La convenzione, la prima di questo genere in Italia, prevede lo svolgimento dei lavori di pubblica utilità presso il Parco Archeologico, che comprende l’area degli scavi di Pompei, ma anche i siti di Oplontis e Boscoreale, gli scavi di Stabiae e il museo archeologico della Reggia di Quisisana a Castellammare. A beneficiarne saranno venti imputati per volta, che richiederanno la possibilità di accedere all’istituto della «messa alla prova», previsto dall’articolo 168 bis del codice penale che prevede, per reati di limitata gravità e in caso di condanna a pene minime, che i cittadini possano formulare richiesta di svolgere una prestazione non retribuita di pubblica utilità, con sospensione del procedimento penale. Nel caso in cui l’esito della messa alla prova sia positivo, è prevista l’estinzione del reato.
Ma cosa potranno fare gli imputati che chiederanno di essere ammessi alla messa alla prova presso il Parco archeologico di Pompei? Sono stati previsti inserimenti di alcuni mesi, durante i quali svolgeranno attività di pubblica utilità con mansioni amministrative, esecutive e di pulizia negli uffici. Saranno ovviamente i dirigenti del Parco a decidere, di volta in volta e previa intesa con gli uffici giudiziari, l’impiego dei singoli imputati ammessi, in funzione delle necessità del momento ma anche del profilo della persona «assunta»: difficile che vengano impegnati in opere di restauro, ma potranno certamente aiutare il personale nella gestione delle molteplici attività che si svolgono all’interno dei siti. Osanna afferma:
«Si tratta della prima convenzione stipulata sin qui in Italia da un Parco archeologico spiega il presidente del tribunale Aghina e consentirà l’acquisizione di prestazioni lavorative funzionali a un utile pubblico, alternative alle tradizionali sanzioni penali, in un contesto di peculiare valenza culturale, auspicabilmente idoneo ad accentuare la finalità rieducativa della pena prevista dalla Costituzione. In questo caso, gli imputati potranno svolgere questa funzione in un contesto unico in Italia». È fondamentale che i musei e i luoghi della cultura siano luoghi aperti, di incontro, di confronto e che partecipino a politiche di inclusione sociale. La convenzione è un’iniziativa di grande valore che attesta quanto, sempre di più, le istituzioni siano in grado di collaborare proficuamente in progetti di valore per la comunità. In questo caso la cultura, attraverso le istituzioni museali e il ruolo che esse svolgono nella gestione del patrimonio culturale, può avere un ruolo importante nella attività di rieducazione e riabilitazione sociale. Mi auguro che Pompei rappresenti un modello, anche per altre realtà, verso simili percorsi virtuosi».
Il presidente Aghina sottolinea come «la messa alla prova spesso viene sottovalutata, ma il ritorno pratico che può avere è molto concreto. Il professor Osanna e il Parco Archeologico hanno intuito la valenza e la convenienza di questo istituto aggiunge il presidente del tribunale di Torre Annunziata che finora nel circondario era stato appannaggio quasi esclusivo di parrocchie e onlus. Invece, grazie a questa convenzione, si dà un senso diverso ed effettivo alla sanzione come utilità sociale e in funzione rieducativa». In effetti c’è ancora molta diffidenza sulla messa alla prova, perché in molti pensano «adesso mi porto un delinquente in casa». «Invece prosegue Aghina solitamente si tratta di imputati che incappano per caso nella commissione di reati di scarso allarme sociale. Inoltre, l’istituto della messa alla prova prevede garanzie e assicurazioni per chi decide di accogliere l’imputato nel suo percorso di rieducazione»
Fonte: il Mattino (Dario Sautto)