Vico Equense. Cannavacciuolo alla vigilia dell’apertura del ristorante a Ticciano “E’ più facile di fare il papà”
Vico Equense. Cannavacciuolo alla vigilia dell’apertura del ristorante a Ticciano “E’ più facile di fare il papà” . Una bella intervista su Repubblica di Eleonora Cozzella , mentre procedono speditamente i lavori nella terra paterna per il ristorante con sei suite e piscina sulle colline vicane , nel cuore dei Monti Lattari, nella sua Ticciano, terra della carne di capra e di San Michele, come anticipato da Positanonews che in anteprima ha pubblicato le foto della struttura. Anche se molti non lo sanno è la seconda struttura in penisola sorrentina dopo il relais a Meta di Sorrento. Ecco cosa dice a Repubblica
«È una novità sicuramente, ma è comunque il risultato di un progetto che era già in cantiere da molto tempo, da prima dello scoppio di tutto, della pandemia, il lockdown, le richiusure. Quando tutto sembrava paralizzarsi e non c’era sicurezza su cosa sarebbe successo, né alcuna idea su quanto l’emergenza sarebbe durata, mia moglie Cinzia e io ci siamo interrogati, ci siamo guardati negli occhi, ci siamo chiesti: “che facciamo? Ci fermiamo?”, ma abbiamo deciso di andare avanti, scommettendo sul futuro». E non sembri una scelta facile perché, sottolinea, “per quanto abbiamo una struttura solida, in tempi di crisi, scegliere di continuare a investire è una cosa che spaventa».
Ma adesso la scommessa sembra essere stata vincente e Antonino Cannavacciuolo, soddisfatto per un buon tempismo, racconta le prossime avventure del suo gruppo. Gigante dal cuore tenero, ha una fisicità imponente e qualche volta espressioni severe, ma è facile al sorriso e alle pacche sulle spalle, così ha conquistato il pubblico in tv fin dalla sua prima apparizione sugli schermi, nel 2013 con «Cucine da Incubo» e dal 2015 come giudice di «Masterchef».
Ma a renderlo un peso massimo nel panorama della gastronomia è il talento puro: a Orta San Giulio, in Piemonte, ottiene in poco tempo due stelle Michelin e convince la critica. Ora lo attendono, tra fine aprile e luglio, “due aperture e mezzo”. Quella del Laqua by the Lake a Pettenasco sulle rive del Lago d’Orta e quella del Laqua Countryside a Ticciano di Vico Equense, «mentre a Meta di Sorrento – spiega – abbiamo fatto un restyling di una struttura già esistente che adesso diventa Laqua by the Sea».
Villa Crespi, ristorante stellato di Antonino Cannavacciuolo, visto dal Lago D’Orta
L’entusiasmo è tangibile. Quanto è forte la voglia di ricominciare?
«Incontenibile. Non ho mai avuto così tanta voglia di rimettermi al lavoro. Il cuoco è un mestiere faticoso, mentalmente e fisicamente. A volte tiriamo così tanto la corda che sentiamo il bisogno di una pausa, anzi di più, proprio di spegnere, di staccare la spina. Ma la pausa forzata, per quanto condita da nuovi progetti, prove di menu, vita familiare in cui mi sono goduto molto i figli, adesso stava diventando pesante. Una persona è il suo lavoro. Specie se il tuo lavoro ti piace, coincide con la tua vita, la permea, fa parte di te, forgia la tua personalità. Se non puoi lavorare non sei completo, sei una persona diversa da come vorresti. Il lavoro è l’uomo, il lavoro fa l’uomo, senza il lavoro non siamo completi».
Tornando al lavoro l’aspettano queste nuove aperture. Il suo cuore pensa in particolare a quella di Ticciano. Che cosa ha di speciale?
«Per il tipo di atmosfera e di accoglienza che abbiamo creato, saranno un po’ come delle case, quelle delle vacanze nobili di una volta: la casa al lago, poi quella al mare, passando per quella di campagna, a Ticciano, appunto, che è il paese dove sono nato. Si tratta di un palazzo di fine ‘800 dove ha fatto il custode mio nonno, che si chiamava Antonino come me. Mio nonno voleva che i suoi figli, cioè mio zio e mio padre, ne seguissero le orme, curando la sua azienda agricola, ma anche prendendosi cura della casa padronale. Mio zio lo ha seguito, ma mio padre è scappato di casa per fare il cuoco. Era la casa dove giocavo da bambino, un luogo affascinante, che mi sembrava magico, dove nascondere i segreti di bambino, con tanti angoli da scoprire, da quelli dei giardini alle cantine. Nell’85 mio nonno è morto e fino agli anni’90 c’era mio zio. Nel 1994 è stata messa in vendita e mio padre, in omaggio a suo padre e sperando che io vi aprissi un ristorante, l’ha comprata non senza parecchi sacrifici, usando i risparmi di una vita e non solo. Adesso è il momento di onorare quei sacrifici».
Spaghetti con ricci e zafferano
Per questo ha curato lei stesso con sua moglie i lavori?
«Ho voluto seguire ogni cosa, naturalmente rivolgendomi a chi ha le competenze. Grazie all’architetto Luca Macrì, abbiamo rispettato al massimo i materiali e la storia del palazzo. Dall’intonaco ai pavimenti passando per le tegole, abbiamo recuperato tutto. Ci sono piastrelle di 150 anni, piccoli capolavori, singoli minuscoli pezzi da museo. Abbiamo mantenuto le ringhiere di una volta con i pali di castagno. E desidero che tutto il paese sia orgoglioso del progetto. Sto assumendo giovani, professionisti o da formare, della zona. Alla fine è un minuscolo borgo di 500 anime, che potrà fregiarsi di una struttura all’avanguardia. Vorrei che non parlassero del resort di Cannavacciuolo, ma del resort di Ticciano».
Ci ha detto del rapporto con suo padre. È coinvolto nel progetto?
«Sì ed è felicissimo. Dopo che era andato in pensione lo avevo visto un po’ ingrigirsi, ma oggi vedo in lui una nuova luce accesa. La mattina alle 7 va già in cantiere. Uno che come me ha cucinato e lavorato sempre e con la pensione si stava un po’ spegnendo, adesso ha un nuovo obiettivo. In fondo quando mi ero trasferito in Piemonte ne aveva un po’ sofferto. Adesso in qualche modo sto tornando a casa».
A proposito di suo padre, si chiama Andrea come suo figlio. La tradizione continua.
«Le racconto una cosa. Mio figlio ha 8 anni e poco tempo fa mi ha chiesto perché si chiamasse come suo nonno. Gli ho detto con semplicità, che anche io mi chiamo come mio nonno, ma non volevo indurlo a pensare altro. Lui mi ha guardato e sorridendo orgoglioso mi ha detto: “allora mio figlio si chiamerà Antonino”. Io non ci avevo nemmeno pensato. E non sapevo che dire. Gli ho detto che lo avrebbe deciso insieme alla sua futura moglie e che non era obbligato a farlo e che sono cose che succedono col tempo, che avrebbe dovuto rispettare i desideri della mamma dei suoi bambini. Insomma, è più facile aprire alberghi e ristoranti che fare il padre».
Lo scampo di Cannavacciuolo
Ha fatto molta pratica durante la pandemia, giusto?
«Ho cucinato per mia moglie e i miei figli. A dire il vero, non ho mai cucinato così tanto a casa. Per lo più verdure, che mio figlio adora, ha una tendenza vegetariana. L’80 per cento di quello che mangiamo sono ortaggi e non mi limito a farli bolliti. Li fermento, griglio, ci metto fantasia… Il mio obbiettivo è pulire la dispensa di mia moglie… Che ha accumulato ingredienti che non usa. Dalle alghe alla soia, mi diverto a trovare una collocazione nei miei piatti. Ho riscoperto lo zafferano che prima non era molto nelle mie corde. Pure cucinando cose semplici di casa ho avuto un po’ di idee. Come un raviolo in stile cinese, arricchito con mollica, aglio e acciuga su una crema di cime di rapa. Alle fine, è vero: il successo, il ristorante, tutto è bello, ma tutto è passeggero. I valori che durano sono questi, gli affetti».
E sarà una scoperta vegetale anche nelle cucine dei nuovi ristoranti?
«Assolutamente. Con un plus. A Ticciano come a Meta saranno verdure raccolte un’ora prima, un’esplosione di sapori. Ora che stiamo mettendo a punto il menu, dobbiamo addirittura fare prove per calibrare il gusto. Perché i sapori sono così intensi che non siamo abituati, anche quando c’è massima qualità. Il sapore del basilico di mamma che usciva e lo coglieva era un’altra cosa. Per quanto fresco e di qualità un prodotto possa essere, ci mette alcune ore ad arrivare al ristorante. Ora non più. E poi si potrà esplorare il territorio: carne di capra, interiora, pesce piccolo di scoglio, dalla pesca ancora con piccole reti che non fanno danno, e poi sarà bello creare un rapporto con contadini, allevatori, i produttori di olio. Certo, come negli anni passati ho portato molto Sud a Nord, ora porterò un po’ di Nord a Sud. Sul Lago, invece, voglio riportare il classico della cucina italiana piemontese, dal pesce in carpione al vitello tonnato».
Ci sono nuovi progetti anche su altri fronti?
«Sono molto contento del banco di Antonino, che riguarda la mia produzione di dolci. Ce n’è uno a Vicolungo e sto aprendo a Orta San Giulio in centro. L’offerta va dal gelato – solo 6 gusti ma top – ai lievitati ai biscotti. Unica eccezione salata, la bomba di riso, la mia passione. Poi sono in programma aperture a Roma e Verbania. Non escludo possa diventare un franchising».
La classe dei giovani professionisti seguiti da Cannavacciuolo nel programma tv “Antonino Chef Academy”
E poi c’è la tv: dopo il successo Family Food Fight, torna in chiaro con Chef Academy dal 2 maggio. Cosa cerca negli studenti?
«Intanto sono molto contento perché per la prima volta il programma sarà in chiaro, su TV8 ogni domenica, in prima serata. E poi mi rendo conto che più che un programma è davvero una scuola. Oggi su dieci studenti, 4 o 5 hanno già lavorato nel mondo degli stellati e il loro alto livello, puntata per puntata, mi dimostra che davvero l’esempio è il più grande insegnamento. Io cucino e loro osservano. Poi hanno incontri importanti con colleghi internazionali, da Cristina Bowerman a Ana Roš, da Salvatore Tassa a Michelangelo Mammoliti, che parlano, danno consigli, raccontano la loro storia. In 40 giorni apprendono più che in anni in altre cucine. È un allenamento formidabile. Cerco ovviamente grandi piatti, che fanno tanto, ma non tutto. Mi interessa il carattere, la giusta dose di arroganza che fa bene in giovane età, il credere in se stesso, sviluppando una propria linea, riuscire in qualche modo a provare a mettere una firma».