Con una lunga diretta dalla sala consiliare del comune di Sorrento , di cui riportiamo il video integrale, e l’omaggio alla statua bronzea in piazza della Vittoria difronte alla casa del Tasso, si è tenuta la giornata dedicata a Maksim Gorky. Noi di Positanonews riportiamo in versione integrale un brano tratto dal libro di Antonino De Angelis, che ci fa conoscere un Gorky diverso, più vero e curioso, che non è emerso nelle conversazioni ufficiali. Un Gorky in giro per bettole e ghiotto di dolci, alla ricerca di vita vera e vissuta, di cui Antonino De Angelis è riuscito a fornircene un affresco grazie ai racconti di Russo il pasticciere della Zarina.
GENTE DI TERRA E DI MARE DI ANTONINO DE ANGELIS
Nmiez’ ‘a riggiuvia
NELLE OSTERIE CON MASSIMO GORKY
”ln mezzo al crocevia” è l’incrocio fra la via Angri con la via
Cappuccini nel centro storico di Sant’Agnello. Il rione si è formato,
già nel XV Secolo, grazie all’espansione nella campagna circostante
del terziere Angheri (poi Angri). Già in età imperiale correva da quelle
parti l’antico acquedotto romano destinato a rifornire le ville patrizie
sorte lungo la costa. Nello slargo della Crocevia confluiscono le principali
vìe dì accesso al rione. Dopo la costruzione del convento dei
cappuccini(1586) è il trivio più animato del piccolo agglomerato di
case, da cui è possibile raggiungere sia il mare ché la strada maestra e
quindi Sorrento e gli altri centri del piano. Il terziere, completamente
circondato dalla campagna, sul lato orientale è chiuso da un profonda
vallone. Solo un ponticello di muratura ne consente l’attraversamento
e quindi il passaggio dall’altra parte. Nella tradizione popolare la
stradina di collegamento con il resto della plana è detta appunto il
Passaturo, etimo che è sopravvissuto fino ai nostri giorni. Questo
stretto budello che si snoda come un labirinto cinto da alte mura
nel folto della vegetazione, consente ai maestri d’ascia, carpentieri e
calafati di raggiungere i cantieri della marina di Cassano. C’è gente
che va e che viene, in continuo movimento nei giardini, nei mercati e
sul mare. È una vita frenetica di lavoro e affari.
Fra [‘Ottocento e i] Novecento ne] rione vivono alcune famiglie di
commercianti e armatori appartenenti alla solida borghesia imprenditoriale.
Accanto a questi vive una popolazione di piccoli mercanti,
gente dì mare e artigiani. Qui i vecchi mestieri sopravvivono ancora
nei contronomi degli eredi di coloro che li esercitarono. Par di vedere
Giovanni ‘o Calafato di casato Gargiulo quando ogni mattina, alla fioca
luce della lanterna, insieme al corriere Tatore ‘o Nstromo, si reca alla
spiaggia di Cassano per calafatare gli scafi delle barche in costruzione :;
‘a Siggiar e ‘a mpaggliaseg sono le abili costruttrici di sedie. Nel vicolo
Cappuccini c’è Aniello De Angelis detto ‘o Rammaro con le sue caldaie
e pentole di rame. Vincenzo Sacchetiell, della famiglia Cirillo, è il
corriere che attraversa i] golfo in una spola quotidiana per sbrigare
le mille commissioni e rifornire la sua bottega di tutti gli articoli di
stagione. Suo fratello Aniello è detto ‘o Nghiostr perché rifornisce di
inchiostro ì calamai delle poche scuole del paese. E poi, ‘o Capellaro fa
incetta e commercia capelli da donna; ‘a Ciuculatter vende cioccolata
ed altre spezie; ‘o Baccalaiulo venditore ambulante di baccalà. Salvatore
‘o Ceraiulo è il fondatore, nel 187 1, della fabbrica di candele che
ancora oggi, nel XXI secolo, produce candele di cera d’api con gli
antichi attrezzi e gli insegnamenti del vecchio fondatore, ben tenuti
a mente dalle varie generazioni che si sono succedute.
Malgrado tanta attività, in quegli anni molti stentano e si arrangiano
anche nei mestieri più umili, sono quelle del popolo minuto, cioè
quella fascia che sta tra il medio ceto e la plebe. Gli spazi vitali sono
assai limitati, molte case sono malsane, mancano i luoghi d’incontro.
Per socializzare, escluse le processioni e le feste di paese, per i ragazzi
del popolo c’è la strada, per le donne la chiesa, per gli adulti, dopo la
coscrizione, la chiesa e la cantina. La cantina è un luogo di modesto
ristoro e di svago a metà fra l’osteria e la bettola, molto frequentata da
sfaccendati e da lavoratori spesso con poca voglia di lavorare. Con
pochi soldi è possibile bere vino e mangiare cibi poveri ricavati per lo
più dagli scarti della macellazione. Budella, interiora, cotiche e guanciali
consentono di preparare trippa , soffritto e mascariello ; in certi giorni si trova anche il baito fatto con il brodo dei fagioli
Il BAITO è una pietanza poverissima. Questa è la semplice ricetta; si soffriggono
aglio e peperoncino in olio d’oliva; poi si fanno bollire, immersi nel brodo dei
fagioli, i biscotti di grano fino a farne un insieme pastoso molto piccante e gustoso
Sono i piatti dai sapori forti e piccanti su cui scivola come acqua di
fonte i] possente vino rosso. Nella piana sorrentina sono moltissime le
cantine, sia negli agglomerati maggiori che nelle borgate di campagna
come Maiano, San Vito, Li Cuonti, San Liborio. Quelle che confinano
con i giardini hanno un vialetto per le bocce, gioco che gli avventori
alternano al tressette e allo zecchinetto. Il più duro è ‘o tuocco, un gioco
spesso all’origine di risse e ferimento quando a praticarlo sono carrettieri
e vagabondi. Si svolge così: un gruppo di avventori paga il vino
nella quantità stabilita, poi con la conta delle dita (il tocco) si sorteggia
un ”padrone” che farà la legge e un ”sotto padrone” che dirigerà il
gioco. Egli mesce il primo bicchiere di vino e chiede al ”padrone”- Chi
lo beve. Questi ha la facoltà di berlo lui stesso o di cederlo a chi gli pare
dei presenti, per cui dirà: ! Subito dopo il ”sotto” versa il
secondo bicchiere ed il ”padrone” comanderà: – Bevilo tu , oppure – Lo
beve Tizio o Caio. E così farà, quando non sarà lui stesso a bere, col
terzo bicchiere e poi col quarto e così via. Finché il recipiente non sarà
prosciugato continuerà ad invitare qualcuno dei presenti. Farà bere
più volte qualcuno dei suoi compari e trascurerà più o meno qualche
altro. Per rendere più eccitante il gioco il ”padrone”, che è quasi
sempre un tipo rozzo e indisponente, baderà ad escludere uno dei
partecipanti. Spesso si esclude, lasciandolo completamente a secco,
il più irascibile o il più tonto, il tipo ”soggetto” insomma. La cosa si
ripeterà nelle ”passate” successive del gioco, finché l’astinenza e la
rabbia compressa dell’emarginato non esploderanno fra il divertimento
cinico e beffardo dei compagni ubriachi e degli altri presenti
nella bettola. Non di rado ira e rancore si associano a sentimenti di
vendetta ed ecco che allora saltano fuori i coltelli.
E questo l’ambiente dove, negli anni della sua permanenza a
Sorrento, si aggira spesso Massimo Gorky. Il gigante della letteratura
è in quegli anni già venerato dai suoi lettori. Anche quello di Gorky,
che in realtà si chiama Aleksej Maksimovié Peskov, è un soprannome
equivalente a l’Amaro. Una singolare contraddizione, dal momento
che lo scrittore è invece golosissimo. Egli ha avuto modo di conoscere,
in casa della principessa Cortchacov, il pasticciere Salvatore
Russo di cui si è fatto amico. Forse l’amicizia con Salvatore, oltre che
per gli ottimi dolci che gli fornisce, si consolida anche perché l’italiano
è un ”Russo” come iui, sebbene solo di nome. Ma questa è solo
un’ipotesi. Sta di fatto che l’abile dolciere aveva preparato per Elena
Cortchacov e per i suoi ospiti un sontuoso e originale gelato; aveva
svuotato il guscio di una grande anguria e lo aveva colmato poi con
una bella crema di colore rosso lampone in cui aveva ibernato gocce
di cioccolata fondente a somiglianza di semi neri. L’effetto del ”mellone
d’acqua” è perfetto ed il sapore in sintonia con l’aspetto, tanto
da deliziare il palato del romanziere. Da quel giorno è simpatia a
prima vista; una solida amicizia lo porterà a frequentare il laboratorio
situato a pochi passi dalla Crocmia. Spesso si intrattiene nel laboratorio
aspettando l’uscita dal forno dei deliziosi pasticciotti alla crema
che, ancora caldi e profumati, divora con gusto ‘. Un giorno fa una
curiosa proposta al pasticciere, apparentemente stravagante. Gli
chiede di accompagnarlo in un giro nelle trattorie della zona, anche
se bettole di infimo ordine, anzi soprattutto in quelle. L’invito sorprende
un poco Salvatore, ma non più di tanto, trattandosi di un
artista. All’ora convenuta una carrozza proveniente da Sorrento si
ferma davanti al laboratorio, ne discende un uomo dall’aspetto modesto
e trasandato in cui egli stenta a riconoscere il suo illustre amico,
il signore del Sorito’. Stranamente indossa abiti da operaio, lisi e
Nota Il pasticcetto è un dolce molto elaborato. Eccone la ricetta: una pezzo di
pasta frolla si posa nella formetta di lamiera Barchiglia; sul fondo si sistema una
cucchiaiata di pasta di mandorla (pasta reale preparata dallo stesso pasticciere) pai si
aggiunge sopra un piccolo strato di marmellata abbastanza solida (cotognata), quindi
si ricopre con uno strato di biscotti triturati su cui si piazzerà la crema pasticciere.
Il tutto si ricopre con un altro sfoglio di pasta frolla e si mette in forno. Appena
ritirato dal forno si cosparge con abbondante zucchero a velo.
La vi]]a “i] Solito” al Capo di Sorrento è la casa dove Gorki è vissuto dal
1924 al 1933.
consunti come sono gli abiti degli operai. Sorpresa, meraviglia e
sguardi interrogativi da parte di Salvatore. Ma Gorky toghe subito
dall’imbarazzo il suo accompagnatore, gli spiega che intende avvicinare
in quelle osterie le persone del popolo minuto, soprattutto g]i umi]i e
gli oppressi. Egli infatti intende conoscerli e stabilire con loro un
rapporto il più intenso possibile. Un rapporto così, in quegli ambienti,
per lui sarà possibile solo in abito simulato poiché giammai, esibendo il
suo aspetto signorile, avrebbe potuto evitare la diffidenza che sempre
separa i poveri analfabeti dai ricchi ben vestiti ‘. Forse lo scrittore, che
sta lavorando al romanzo La vita di Klim Samghin intende immergersi
in quel mondo che egli ha ben conosciuto nella Russia della sua giovinezza,
quando vagava da sguattero lungo il Volga e quando, fornaio
o garzone di bottega, peregrinava dall’Ucraina alla Crimea’; sono
quelle i protagonisti dei suoi scritti giovanili: gli emarginati, i vagabondi
e i reietti della società; quelli di Bassifondi i, l’opera migliore degli
esordi. ”Non mi piacciono gli ubriaconi.- aveva scritto nei suoi appunti
– ma conosco alcuni che, dopo aver bevuto, diventano interessanti
e persino arguti, acquistano una bellezza di pensiero, un’abilità e
ricchezza d’espressione, di cui sono sprovvisti quando sono all’asciutto”
‘. Un mondo che a Sorrento in quegli anni egli sta rivisitando
con il suo acume di scrittore. Sente forse il bisogno di attualizzare
certe atmosfere. Qui, nella penisola sorrentina, sotto lo sguardo ignaro
del suo amico pasticciere, egli rimette a fuoco i contorni di ambienti e
prototipi umani tra cui, forse, ]a stessa figura di Klim, il suo ”personaggio
sorrentino”. Tra le molte analogie certamente egli scopre, fra
l’altro, l’usanza dei soprannomi così diffusa anche fra i contadini della
campagna russa ‘. Il risultato delle sue osservazioni, come ha evidenziato
da Vladimir Lidin, è la chiara ”consonanza tra il mondo fiorente
e fruttifero di Sorrento e gli ultimi libri di Gorky” 9.
Se questo è il suo obiettivo, le occasioni di certo non gli sono
mancate durante il lungo girovagare fra osterie, cantine e bettole
della piana sorrentina. Locali conosciuti anch’essi coi soprannomi
dei loro esercenti. Alcune osterie sono famose come quelle sorrentine
di ‘o Canonco e ‘o Parrucchiano, ora eleganti ristoranti alla moda.
Assai defilate, rispetto alla città di Sorrento, sono invece le trattorie
di turtella a Carotto, ‘o Tizzone a Maiano, Ndulino ‘o Cicchella ai
Colli, Aniello ‘e Pacchino a via Angri, Mastu Rocco e Incoronata a
Pozzopìano, Peppe ‘o Prutestant alla Crocevia. Curiosa è l’origine di
questo soprannome, ascrivibile a pieno titolo fra quelli di natura
”religiosa”. Giuseppe Castellano, prima di intraprendere l’attività
di oste, era stato per alcuni anni al servizio della principessa Cortchacov.
Secondo il popolino la nobildonna, notoriamente di religione
ortodossa, avrebbe ”contagiato” il suo portiere per cui, senza andar
troppo per il sottile e fuorviato dalla profonda ignoranza in fatto di
religioni, lo aveva disinvoltamente ribattezzato ”Protestante”: ‘o
Prutestant appunto.