MAKSIM GORKY DAY

19 giugno 2021 | 11:30
Share0
MAKSIM GORKY  DAY

Con una lunga diretta dalla sala consiliare del comune di Sorrento , di cui riportiamo il video integrale, e l’omaggio alla statua bronzea in piazza della Vittoria difronte alla casa del Tasso, si è tenuta la giornata dedicata a Maksim Gorky. Noi di Positanonews  riportiamo in versione integrale un brano tratto dal libro di Antonino De Angelis, che ci fa conoscere un Gorky  diverso, più vero e curioso, che non è emerso nelle conversazioni ufficiali. Un Gorky in giro per bettole e ghiotto di dolci, alla ricerca di vita vera e vissuta, di cui Antonino De Angelis è riuscito a fornircene un affresco grazie ai racconti di Russo il pasticciere della Zarina.

GENTE DI TERRA E DI MARE   DI ANTONINO DE ANGELIS

Nmiez’ ‘a riggiuvia

NELLE OSTERIE CON MASSIMO GORKY

”ln mezzo al crocevia” è l’incrocio fra la via Angri con la via

Cappuccini nel centro storico di Sant’Agnello. Il rione si è formato,

già nel XV Secolo, grazie all’espansione nella campagna circostante

del terziere Angheri (poi Angri). Già in età imperiale correva da quelle

parti l’antico acquedotto romano destinato a rifornire le ville patrizie

sorte lungo la costa. Nello slargo della Crocevia confluiscono le principali

vìe dì accesso al rione. Dopo la costruzione del convento dei

cappuccini(1586) è il trivio più animato del piccolo agglomerato di

case, da cui è possibile raggiungere sia il mare ché la strada maestra e

quindi Sorrento e gli altri centri del piano. Il terziere, completamente

circondato dalla campagna, sul lato orientale è chiuso da un profonda

vallone. Solo un ponticello di muratura ne consente l’attraversamento

e quindi il passaggio dall’altra parte. Nella tradizione popolare la

stradina di collegamento con il resto della plana è detta appunto il

Passaturo, etimo che è sopravvissuto fino ai nostri giorni. Questo

stretto budello che si snoda come un labirinto cinto da alte mura

nel folto della vegetazione, consente ai maestri d’ascia, carpentieri e

calafati di raggiungere i cantieri della marina di Cassano. C’è gente

che va e che viene, in continuo movimento nei giardini, nei mercati e

sul mare. È una vita frenetica di lavoro e affari.

Fra [‘Ottocento e i] Novecento ne] rione vivono alcune famiglie di

commercianti e armatori appartenenti alla solida borghesia imprenditoriale.

Accanto a questi vive una popolazione di piccoli mercanti,

gente dì mare e artigiani. Qui i vecchi mestieri sopravvivono ancora

nei contronomi degli eredi di coloro che li esercitarono. Par di vedere

Giovanni ‘o Calafato di casato Gargiulo quando ogni mattina, alla fioca

luce della lanterna, insieme al corriere Tatore ‘o Nstromo, si reca alla

spiaggia di Cassano per calafatare gli scafi delle barche in costruzione :;

‘a Siggiar e ‘a mpaggliaseg  sono le abili costruttrici di sedie. Nel vicolo

Cappuccini c’è Aniello De Angelis detto ‘o Rammaro con le sue caldaie

e pentole di rame. Vincenzo Sacchetiell, della famiglia Cirillo, è il

corriere che attraversa i] golfo in una spola quotidiana per sbrigare

le mille commissioni e rifornire la sua bottega di tutti gli articoli di

stagione. Suo fratello Aniello è detto ‘o Nghiostr  perché rifornisce di

inchiostro ì calamai delle poche scuole del paese. E poi, ‘o Capellaro fa

incetta e commercia capelli da donna; ‘a Ciuculatter  vende cioccolata

ed altre spezie; ‘o Baccalaiulo  venditore ambulante di baccalà. Salvatore

‘o Ceraiulo è il fondatore, nel 187 1, della fabbrica di candele che

ancora oggi, nel XXI secolo, produce candele di cera d’api con gli

antichi attrezzi e gli insegnamenti del vecchio fondatore, ben tenuti

a mente dalle varie generazioni che si sono succedute.

Malgrado tanta attività, in quegli anni molti stentano e si arrangiano

anche nei mestieri più umili, sono quelle del popolo minuto, cioè

quella fascia che sta tra il medio ceto e la plebe. Gli spazi vitali sono

assai limitati, molte case sono malsane, mancano i luoghi d’incontro.

Per socializzare, escluse le processioni e le feste di paese, per i ragazzi

del popolo c’è la strada, per le donne la chiesa, per gli adulti, dopo la

coscrizione, la chiesa e la cantina. La cantina è un luogo di modesto

ristoro e di svago a metà fra l’osteria e la bettola, molto frequentata da

sfaccendati e da lavoratori spesso con poca voglia di lavorare. Con

pochi soldi è possibile bere vino e mangiare cibi poveri ricavati per lo

più dagli scarti della macellazione. Budella, interiora, cotiche e guanciali

consentono di preparare trippa , soffritto e mascariello ; in certi giorni si trova anche il baito fatto con il brodo dei fagioli

Il BAITO è una pietanza poverissima. Questa è la semplice ricetta; si soffriggono

aglio e peperoncino in olio d’oliva; poi si fanno bollire, immersi nel brodo dei

fagioli, i biscotti di grano fino a farne un insieme pastoso molto piccante e gustoso

Sono i piatti dai sapori forti e piccanti su cui scivola come acqua di

fonte i] possente vino rosso. Nella piana sorrentina sono moltissime le

cantine, sia negli agglomerati maggiori che nelle borgate di campagna

come Maiano, San Vito, Li Cuonti, San Liborio. Quelle che confinano

con i giardini hanno un vialetto per le bocce, gioco che gli avventori

alternano al tressette e allo zecchinetto.  Il più duro è ‘o tuocco, un gioco

spesso all’origine di risse e ferimento quando a praticarlo sono carrettieri

e vagabondi. Si svolge così: un gruppo di avventori paga il vino

nella quantità stabilita, poi con la conta delle dita (il tocco) si sorteggia

un ”padrone” che farà la legge e un ”sotto padrone” che dirigerà il

gioco. Egli mesce il primo bicchiere di vino e chiede al ”padrone”- Chi

lo beve. Questi ha la facoltà di berlo lui stesso o di cederlo a chi gli pare

dei presenti, per cui dirà: ! Subito dopo il ”sotto” versa il

secondo bicchiere ed il ”padrone” comanderà: – Bevilo tu , oppure – Lo

beve  Tizio o Caio. E così farà, quando non sarà lui stesso a bere, col

terzo bicchiere e poi col quarto e così via. Finché il recipiente non sarà

prosciugato continuerà ad invitare qualcuno dei presenti. Farà bere

più volte qualcuno dei suoi compari e trascurerà più o meno qualche

altro. Per rendere più eccitante il gioco il ”padrone”, che è quasi

sempre un tipo rozzo e indisponente, baderà ad escludere uno dei

partecipanti. Spesso si esclude, lasciandolo completamente a secco,

il più irascibile o il più tonto, il tipo ”soggetto” insomma. La cosa si

ripeterà nelle ”passate” successive del gioco, finché l’astinenza e la

rabbia compressa dell’emarginato non esploderanno fra il divertimento

cinico e beffardo dei compagni ubriachi e degli altri presenti

nella bettola. Non di rado ira e rancore si associano a sentimenti di

vendetta ed ecco che allora saltano fuori i coltelli.

E questo l’ambiente dove, negli anni della sua permanenza a

Sorrento, si aggira spesso Massimo Gorky. Il gigante della letteratura

è in quegli anni già venerato dai suoi lettori. Anche quello di Gorky,

che in realtà si chiama Aleksej Maksimovié Peskov, è un soprannome

equivalente a l’Amaro. Una singolare contraddizione, dal momento

che lo scrittore è invece golosissimo. Egli ha avuto modo di conoscere,

in casa della principessa Cortchacov, il pasticciere Salvatore

Russo di cui si è fatto amico. Forse l’amicizia con Salvatore, oltre che

per gli ottimi dolci che gli fornisce, si consolida anche perché l’italiano

è un ”Russo” come iui, sebbene solo di nome. Ma questa è solo

un’ipotesi. Sta di fatto che l’abile dolciere  aveva preparato per Elena

Cortchacov e per i suoi ospiti un sontuoso e originale gelato; aveva

svuotato il guscio di una grande anguria e lo aveva colmato poi con

una bella crema di colore rosso lampone in cui aveva ibernato gocce

di cioccolata fondente a somiglianza di semi neri. L’effetto del ”mellone

d’acqua” è perfetto ed il sapore in sintonia con l’aspetto, tanto

da deliziare il palato del romanziere. Da quel giorno è simpatia a

prima vista; una solida amicizia lo porterà a frequentare il laboratorio

situato a pochi passi dalla Crocmia. Spesso si intrattiene nel laboratorio

aspettando l’uscita dal forno dei deliziosi pasticciotti alla crema

che, ancora caldi e profumati, divora con gusto ‘. Un giorno fa una

curiosa proposta al pasticciere, apparentemente stravagante. Gli

chiede di accompagnarlo in un giro nelle trattorie della zona, anche

se bettole di infimo ordine, anzi soprattutto in quelle. L’invito sorprende

un poco Salvatore, ma non più di tanto, trattandosi di un

artista. All’ora convenuta una carrozza proveniente da Sorrento si

ferma davanti al laboratorio, ne discende un uomo dall’aspetto modesto

e trasandato in cui egli stenta a riconoscere il suo illustre amico,

il signore del Sorito’. Stranamente indossa abiti da operaio, lisi e

Nota  Il pasticcetto è un dolce molto elaborato. Eccone la ricetta: una pezzo di

pasta frolla si posa nella formetta di lamiera Barchiglia; sul fondo si sistema una

cucchiaiata di pasta di mandorla (pasta reale preparata dallo stesso pasticciere) pai si

aggiunge sopra un piccolo strato di marmellata abbastanza solida (cotognata), quindi

si ricopre con uno strato di biscotti triturati su cui si piazzerà la crema pasticciere.

Il tutto si ricopre con un altro sfoglio di pasta frolla e si mette in forno. Appena

ritirato dal forno si cosparge con abbondante zucchero a velo.

La vi]]a “i] Solito” al Capo di Sorrento è la casa dove Gorki è vissuto dal

1924 al 1933.

consunti come sono gli abiti degli operai. Sorpresa, meraviglia e

sguardi interrogativi da parte di Salvatore. Ma Gorky toghe subito

dall’imbarazzo il suo accompagnatore, gli spiega che intende avvicinare

in quelle osterie le persone del  popolo minuto, soprattutto g]i umi]i e

gli oppressi. Egli infatti intende conoscerli e stabilire con loro un

rapporto il più intenso possibile. Un rapporto così, in quegli ambienti,

per lui sarà possibile solo in abito simulato poiché giammai, esibendo il

suo aspetto signorile, avrebbe potuto evitare la diffidenza che sempre

separa i poveri analfabeti dai ricchi ben vestiti ‘. Forse lo scrittore, che

sta lavorando al romanzo La vita di Klim Samghin  intende immergersi

in quel mondo che egli ha ben conosciuto nella Russia della sua giovinezza,

quando vagava da sguattero lungo il Volga e quando, fornaio

o garzone di bottega, peregrinava dall’Ucraina alla Crimea’; sono

quelle i protagonisti dei suoi scritti giovanili: gli emarginati, i vagabondi

e i reietti della società; quelli di Bassifondi i, l’opera migliore degli

esordi. ”Non mi piacciono gli ubriaconi.- aveva scritto nei suoi appunti

– ma conosco alcuni che, dopo aver bevuto, diventano interessanti

e persino arguti, acquistano una bellezza di pensiero, un’abilità e

ricchezza d’espressione, di cui sono sprovvisti quando sono all’asciutto”

‘. Un mondo che a Sorrento in quegli anni egli sta rivisitando

con il suo acume di scrittore. Sente forse il bisogno di attualizzare

certe atmosfere. Qui, nella penisola sorrentina, sotto lo sguardo ignaro

del suo amico pasticciere, egli rimette a fuoco i contorni di ambienti e

prototipi umani tra cui, forse, ]a stessa figura di Klim, il suo ”personaggio

sorrentino”. Tra le molte analogie certamente egli scopre, fra

l’altro, l’usanza dei soprannomi così diffusa anche fra i contadini della

campagna russa ‘. Il risultato delle sue osservazioni, come ha evidenziato

da Vladimir Lidin, è la chiara ”consonanza tra il mondo fiorente

e fruttifero di Sorrento e gli ultimi libri di Gorky” 9.

Se questo è il suo obiettivo, le occasioni di certo non gli sono

mancate durante il lungo girovagare fra osterie, cantine e bettole

della piana sorrentina. Locali conosciuti anch’essi coi soprannomi

dei loro esercenti. Alcune osterie sono famose come quelle sorrentine

di ‘o Canonco e ‘o Parrucchiano, ora eleganti ristoranti alla moda.

Assai defilate, rispetto alla città di Sorrento, sono invece le trattorie

di turtella a Carotto, ‘o Tizzone a Maiano, Ndulino ‘o Cicchella ai

Colli, Aniello ‘e Pacchino a via Angri, Mastu Rocco e Incoronata  a

Pozzopìano, Peppe ‘o Prutestant  alla Crocevia. Curiosa è l’origine di

questo soprannome, ascrivibile a pieno titolo fra quelli di natura

”religiosa”. Giuseppe Castellano, prima di intraprendere l’attività

di oste, era stato per alcuni anni al servizio della principessa Cortchacov.

Secondo il popolino la nobildonna, notoriamente di religione

ortodossa, avrebbe ”contagiato” il suo portiere per cui, senza andar

troppo per il sottile e fuorviato dalla profonda ignoranza in fatto di

religioni, lo aveva disinvoltamente ribattezzato ”Protestante”: ‘o

Prutestant  appunto.