Alessio Vlad: «Ravello difende le sue radici e rilancia: merita un’orchestra»
Alessio Vlad: «Ravello difende le sue radici e rilancia: merita un’orchestra». Riportiamo di seguito l’intervista realizzata da Donatella Longobardi in un articolo dell’edizione odierna del quotidiano Il Mattino.
«Il San Carlo e il teatro Verdi, certo, ma anche grandi ensemble internazionali e l’Orchestra Filarmonica di Benevento, una realtà importante del territorio nata nel segno dei giovani che, dopo l’ottimo debutto dello scorso anno, torna con Fabio Biondi sul podio». Alessio Vlad, direttore artistico della manifestazione, spiega così la scelta di riportare al Ravello Festival il gruppo sannita nato sotto l’egida di Antonio Pappano e ora guidato da Beatrice Rana. Questa sera (ore 20) il concerto a Villa Rufolo in cui il direttore e violinista, fondatore del progetto di musica antica Europa Galante, propone l’ouverture «Die Geschöpfe des Prometheus» di Beethoven, il Concerto in La minore per violino, op. 129 di Schumann e la Sinfonia n.1 di Mendelssohn. «Un programma», sottolinea Vlad, «pensato per Ravello, come per la gran parte degli altri appuntamenti di quest’anno, da Nagano a Minkowski e a Nägele che dirigerà il recital di Flórez, uno dei nostri omaggi a Caruso. L’altro vedrà impegnati i tenori Lawrence Brownlee e Michael Spyres. Ma per celebrare i cent’anni dalla morte di Caruso abbiamo fatto anche altro».
Cosa in particolare, maestro Vlad?
«Siamo all’interno di uno spot che la Regione ha realizzato per l’occasione. Oltre ai luoghi carusiani come Sorrento e Salerno, dove il tenore si esibì giovanissimo, c’è Ravello che punta a specializzarsi come festival musicale secondo la sua vocazione naturale e come immagine della politica culturale della regione».
Poche settimane fa le polemiche dimissioni del presidente della Fondazione Ravello, Scurati, che avrebbe voluto portare qui Saviano.
«Non entro nella polemica. Dico soltanto che il nuovo statuto è chiarissimo sulla caratterizzazione della manifestazione. Di festival multidisciplinari ce ne sono tanti. Ravello non deve essere un contenitore, non si può omologare ad altre manifestazioni».
Si riferisce anche alle radici wagneriane del festival?
«Ma certo. Il nome di Wagner e Ravello rappresentano un incontro tra la grande cultura del Nord e quella del Sud. E Wagner, che arrivò qui 141 anni fa, è il simbolo di una internazionalizzazione, di una identità musicale. Ma Ravello ha anche altro. L’ambiente, unico e irripetibile. E in tal senso penso a un’offerta culturale di livello, che possa reggere il confronto con il luogo dove si fa. Il paesaggio e l’ambiente sono una forza importante della nostra proposta: nessuno può vantare un rapporto così tra musica e paesaggio. La foto del palco a strapiombo sul mare della costiera è una immagine iconica di Ravello nel mondo».
Lei ha firmato gli ultimi due cartelloni in piena era Covid, è stato difficile?
«Realizzati sia quest’anno che lo scorso in pochissimo tempo».
Il suo incarico di direttore artistico scade a settembre?
«Sì, in autunno si dovranno rinominare gli organi di vertice. Ma l’organizzazione regge bene. Abbiamo un cda, un cdi e un direttore generale sempre al lavoro. E sono soddisfatto dalla risposta del pubblico, finora c’è sempre stato il tutto esaurito, anche se gli spazi sono contingentati. Speriamo torni presto anche il grande turismo internazionale caratteristico di queste zone».
Ma la sua Ravello ha un modello a cui si ispira?
«Penso a Lucerna, piuttosto che a Salisburgo. Un festival con una identità musicale forte. Sarebbe auspicabile la formazione di un’orchestra del festival, sul modello delle Settimane di Lucerna. Non a caso quest’anno abbiamo scelto di avere una orchestra in residenza, la Giovanile Cherubini, l’orchestra di formazione fondata da Muti che la diresse qui lo scorso anno inaugurando un felice rapporto con Ravello».