Concessioni balneari, come il Consiglio di Stato ha applicato il diritto UE.
Il CdS ha messo dei punti fermi su alcune questione dibattute nel tempo, andando a riaffermare quanto già stabilito dalla Corte di Giustizia UE nel 2016 e respingendo tutte le tesi che negli anni sono state usate per evitare l’applicazione del diritto unionale. Ce lo spiega Giovanni Persico, Segretrario del Circolo Partito democratico di Sorrento.
Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria con le sentenze nn. 17 e 18 ha disposto la proroga di tutte le concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2023 motivando questa scelta con la necessita “di assicurare alle amministrazioni un ragionevole lasso di tempo per intraprendere sin d’ora le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara, nonché al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere”.
Lo stesso Consiglio di Stato però di fatto ha azzerato tutte le concessioni, infatti, ha affermato che dal 2024 “non ci sarà alcuna possibilità di proroga ulteriore, neanche per via legislativa, e il settore sarà comunque aperto alle regole della concorrenza”. Quello che ci interessa però è che il CdS in questa decisione ha messo dei punti fermi su alcune questione dibattute nel tempo, andando a riaffermare quanto già stabilito dalla Corte di Giustizia UE nel 2016 e respingendo tutte le tesi che negli anni sono state usate per evitare l’applicazione del diritto unionale.
In primis “L’Adunanza plenaria ritiene che debba essere ribadito il principio secondo cui il diritto dell’Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime (o lacuali o fluviali) avvenga all’esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere”. Dopodiché il CdS ha analizzato l’applicabilità dell’art. 49 TFUE e dell’art. 12 della “direttiva Bolkestein”.
L’art. 49 TFUE impone, in presenza di un interesse transfrontaliero, un “adeguato livello di pubblicità” che consenta l’apertura del relativo mercato alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle relative procedure di aggiudicazione. Proprio l’interesse transfrontaliero è stato negli anni contestato per negare l’applicabilità dell’art. 49 TFUE alle concessioni demaniali marittime. Il CdS nella sentenza di oggi ha affermato che “nel caso delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative la P.A. mette a disposizione dei privati concessionari un complesso di beni demaniali che, valutati unitariamente e complessivamente, costituiscono uno dei patrimoni naturalistici (in termini di coste, laghi e fiumi e connesse aree marittime, lacuali o fluviali) più rinomati e attrattivi del mondo. Basti pensare che il giro d’affari stimato del settore si aggira intorno ai quindici miliardi di euro all’anno, a fronte dei quali l’ammontare dei canoni di concessione supera di poco i cento milioni di euro, il che rende evidente il potenziale maggior introito per le casse pubbliche a seguito di una gestione maggiormente efficiente delle medesime. L’attrattiva economica è aumentata dall’ampia possibilità di ricorrere alla sub-concessione. È allora evidente che, a causa del ridotto canone versato all’Amministrazione concedente, il concessionario ha già la possibilità di ricavare, tramite una semplice sub-concessione, un prezzo più elevato rispetto al canone concessorio, che riflette il reale valore economico e l’effettiva valenza turistica del bene. Già queste considerazioni traducono in termini economici un dato di oggettiva e comune evidenza, legata alla eccezionale capacità attrattiva che da sempre esercita il patrimonio costiero nazionale, il quale per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica è certamente oggetto di interesse transfrontaliero, esercitando una indiscutibile capacità attrattiva verso le imprese di altri Stati membri. Non vi è dubbio che le spiagge italiane (così come le aree lacuali e fluviali) per conformazione, ubicazione geografica e attrazione turistica presentino tutte e nel loro insieme un interesse transfrontaliero certo, il che implica che la disciplina nazionale che prevede la proroga automatica e generalizzata si pone in contrasto con gli articoli 49 e 56 del TFUE, in quanto è suscettibile di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno, a maggior ragione in un contesto di mercato nel quale le dinamiche concorrenziali sono già particolarmente affievolite a causa della lunga durata delle concessioni attualmente in essere”.
Per quanto riguarda invece l’art. 12 della Bolkestein, questo stabilisce che “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”. Il CdS ha respinto, motivandole, tutte le tesi che negavano l’applicabilità della direttiva alle concessioni demaniali marittime. In particolare, è stato affermato che:
– La tutela della concorrenza (e l’obbligo di evidenza pubblica che esso implica) è, una “materia” trasversale, che attraversa anche quei settori in cui l’Unione europea è priva di ogni tipo di competenza o ha solo una competenza di “sostegno (in questo caso il turismo): anche in tali settori, quando acquisiscono risorse strumentali all’esercizio delle relative attività (o quando concedono il diritto di sfruttare economicamente risorse naturali limitate), gli Stati membri sono tenuti all’obbligo della gara, che si pone a monte dell’attività poi svolta in quella materia;
–Il provvedimento che riserva in via esclusiva un’area demaniale (marittima, lacuale o fluviale) ad un operatore economico, consentendo a quest’ultimo di utilizzarlo come assetaziendale e di svolgere, grazie ad esso, un’attività d’impresa erogando servizi turistico-ricreativi va considerato, nell’ottica della direttiva Bolkestein, un’autorizzazione di servizi contingentata e, come tale, da sottoporre alla procedura di gara;
–Il concetto di scarsità va valutato considerando la concreta disponibilità di aree ulteriori rispetto a quelle attualmente già oggetto di concessione. È sulle aree potenzialmente ancora concedibili (oltre che su quelle già assentite), infatti, che si deve principalmente concentrare l’attenzione per verificare se l’attuale regime di proroga fino al 31 dicembre 2033 possa creare una barriera all’ingresso di nuovi operatori, in contrasto con gli obiettivi di liberalizzazione perseguiti dalla direttiva. La valutazione della scarsità della risorsa naturale, invero, dipende essenzialmente dall’esistenza di aree disponibili sufficienti a permettere lo svolgimento della prestazione di servizi anche ad operatori economici diversi da quelli attualmente “protetti” dalla proroga ex lege. Da questo punto di vista, i dati forniti dal sistema informativo del demanio marittimo (SID) del Ministero delle Infrastrutture rivelano che in Italia quasi il 50% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari, con picchi che in alcune Regioni (come Liguria, Emilia-Romagna e Campania) arrivano quasi al 70%. Una percentuale di occupazione, quindi, molto elevata, specie se si considera che i tratti di litorale soggetti ad erosione sono in costante aumento e che una parte significativa della costa “libera” risulta non fruibile per finalità turistico-ricreative, perché inquinata o comunque “abbandonata”. A ciò si aggiunge che in molte Regioni è previsto un limite quantitativo massimo di costa che può essere oggetto di concessione, che nella maggior parte dei casi coincide con la percentuale già assentita. È evidente, allora, che l’insieme di questi dati già evidenzia che attualmente le aree demaniali marittime (ma analoghe considerazioni valgono per quelle lacuali o fluviali) a disposizione di nuovi operatori economici sono caratterizzate da una notevole scarsità. Pertanto, nel settore delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, le risorse naturali a disposizione di nuovi potenziali operatori economici sono scarse, in alcuni casi addirittura inesistenti, perché è stato già raggiunto il – o si è molto vicini al – tetto massimo di aree suscettibile di essere date in concessione;
–Non ha pregio, infine, la tesi volta a sostenere che la disposizione in questione non potrebbe considerarsi self-executing, perché non sufficientemente dettagliata o specifica. La direttiva in oggetto ha un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale che prevede la proroga ex legefino al 2033 e ad imporre, di conseguenza, una gara rispettosa dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità.
Inoltre, il CdS ha ribadito anche “che la moratoria emergenziale prevista dall’art. 182, co. 2, d.l. 34/2020 presenta profili di incompatibilità comunitaria del tutto analoghi a quelli fino ad ora evidenziati. Non è, infatti, seriamente sostenibile che la proroga delle concessioni sia funzionale al “contenimento delle conseguenze economiche prodotte dall’emergenza epidemiologica”. Non vi è quindi alcuna ragionevole connessione tra la proroga delle concessioni e le conseguenze economiche derivanti dalla pandemia, presentandosi semmai essa come disfunzionale rispetto all’obiettivo dichiarato e di fatto diretta a garantire posizioni acquisite nel tempo.”
È stato inoltre ribadito che la legge nazionale in contrasto con una norma europea dotata di efficacia diretta, ancorché contenuta in una direttiva self-executing, non può essere applicata né dal giudice né dalla pubblica amministrazione, senza che sia all’uopo necessario (come chiarito dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 170 del 1984) una questione di legittimità costituzionale. Opinare diversamente significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto.
Infine, il Cd S ha ricordato che, se la proroga è direttamente disposta per legge ma la relativa norma che la prevede non poteva e non può essere applicata perché in contrasto con il diritto dell’Unione (come nel caso italiano), ne discende, allora, che l’effetto della proroga deve considerarsi tamquam non esset,come se non si fosse mai prodotto. In conclusione, pertanto, l’incompatibilità comunitaria della legge nazionale che ha disposto la proroga ex lege delle concessioni demaniali produce come effetto, anche nei casi in cui siano stati adottati formali atti di proroga e nei casi in cui sia intervenuto un giudicato favorevole, il venir meno degli effetti della concessione, in conseguenza della non applicazione della disciplina interna.
Il Consiglio ha precisato sin da ora che eventuali proroghe legislative del termine così individuato (al pari di ogni altra disciplina comunque diretta ad eludere gli obblighi comunitari) dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquamnon esset le concessioni in essere.
Insomma, dopo questa sentenza non ci sono più dubbi sull’applicabilità del diritto unionale alle concessioni demaniali marittime e non si potrà più fuggire dall’indizione di procedure di evidenza pubblica. – Giovanni Persico Segretario PD Sorrento.- 10 novembre 2021.