Amalfi, l’opera umanitaria di Mons. Angelo Maria Dolci e Mons. Andrea Cesarano al tempo del genocidio degli armeni in Turchia
Riportiamo l’interessante racconto del giornalista amalfitano Sigismondo Nastri sulla figura di due rappresentanti della chiesa amalfitana in Turchia nell’opera umanitaria di Mons. Angelo Maria Dolci e e Mons. Andrea Cesarano al tempo del genocidio degli armeni: «Si sa che i nostri antenati si stabilirono fin dal VII secolo a Costantinopoli, rafforzando poi i loro insediamenti, per ovvie ragioni commerciali, a partire dal X secolo. Costruendo chiese, ospedali, istituendo ordini religiosi e cavallereschi. Ma non è questo che m’incuriosisce. Il mio interesse si rivolge a due personaggi: monsignor Angelo Maria Dolci (Civitella di Agliano, 12.7.1867 – 13.9. 1939), arcivescovo di Amalfi dal 1911 al 1914, quando si dimise per assumere l’incarico di delegato apostolico della Santa Sede in Costantinopoli, e monsignor Andrea Cesarano (del quale pure ho scritto), all’epoca canonico della cattedrale amalfitana, che lo accompagnò nella delicata missione in qualità di segretario.
Louis Pelâtre, vicario apostolico di Istanbul, in un articolo pubblicato nel 2006 sull’Osservatore Romano in occasione del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Turchia, racconta la vicenda storica di quel vicariato, fino ai nostri giorni. Quanto a mons. Dolci e mons. Cesarano, bisogna dire che essi vi giunsero in un momento estremamente delicato. Si stava avviando allo sfaldamento l’impero ottomano, ma si stava anche consumando il feroce genocidio degli Armeni. “Nel 1914 la situazione armena peggiora irrimediabilmente. In quell’anno infatti il governo turco decide di entrare in guerra a fianco degli imperi centrali e subito si lancia alla conquista dei territori azeri “irredenti”. La Terza Armata turca, impreparata, male equipaggiata, mandata allo sbaraglio in condizioni climatiche ostili, viene presto sbaragliata a Sarikamish nel gennaio 1915 dalle forze sovietiche. L’esercito turco indica i responsabili della disfatta negli armeni che, allo scoppio della guerra avevano comunque assicurato il proprio sostegno all’impresa turca. Il clima si fa sempre più teso e, tra il dicembre del ’14 ed il febbraio del ’15, il Comitato Centrale del partito Unione e Progresso, diretto dai medici Nazim e Behaeddine Chakir, decide la soppressione totale degli armeni. Vengono creati speciali battaglioni irregolari, detti tchété, in cui militano molti detenuti comuni appositamente liberati; essi hanno addirittura autorità sui governi ed i prefetti locali e quindi godono di un potere pressoché assoluto. L’eliminazione sistematica prende l’avvio nel 1915, quando i battaglioni regolari armeni vengono disarmati, riuniti in gruppi di lavoro ed eliminati di nascosto. Il piano turco, pensato e diretto dal Ministro dell’Interno Talaat, prosegue poi con la soppressione della comunità di Costantinopoli ed in particolare della ricca ed operosa borghesia armena: tra il 24, che resta a segnare la data commemorativa del genocidio, ed il 25 aprile, 2345 notabili armeni sono arrestati mentre tra il maggio ed il luglio del 1915 gli armeni delle province orientali di Erzerum, Bitlis, Van, Diyarbakir, Trebisonda, Sivas e Kharput vengono sterminati. Solo i residenti della provincia di Van riescono a riparare in Russia grazie ad una provvidenziale avanzata dell’esercito sovietico. Nelle città viene diffuso un bando che intima alla popolazione armena di prepararsi per essere deportata; si formano così grandi colonne nelle quali gli uomini validi vengono raggruppati, portati al di fuori delle città e qui sterminati. Il resto della popolazione viene indirizzato verso Aleppo ma la città verrà raggiunta solo da pochi superstiti: i nomadi curdi, l’ostilità della popolazione turca, i tchété e le inumane condizioni a cui sono sottoposti fanno sì che i deportati periscano in gran numero lungo il cammino. Dopo la conclusione delle operazioni neppure un armeno era rimasto in vita in queste province.
La seconda parte del piano prevedeva il genocidio della popolazione armena restante, sparsa su tutto il resto del territorio. Tra l’agosto del 1915 ed il luglio del 1916 gli armeni catturati vengono riuniti in carovane e, malgrado le condizioni inumane cui vengono costretti, riescono a raggiungere quasi integre Aleppo mentre un’altra parte di deportati viene diretta verso Deir es-Zor, in Mesopotamia. Lungo il cammino, i prigionieri, lasciati senza cibo, acqua e scorta, muoiono a migliaia. Per i pochi sopravvissuti la sorte non sarà migliore: periranno di stenti nel deserto o bruciati vivi rinchiusi in caverne.
A queste atrocità scamperanno solo gli armeni di Costantinopoli, vicini alle ambasciate europee, quelli di Smirne, protetti dal generale tedesco Liman Von Sanders, gli armeni del Libano e quelli palestinesi.
Il consuntivo numerico di questo piano criminale risulta alla fine:
– da 1.000.000 a1.500.000 di armeni vengono eliminati nelle maniere più atroci. In pratica i due terzi della popolazione armena residente nell’Impero Ottomano è stata soppressa e, regioni per millenni abitate da armeni, non vedranno più, in futuro, nemmeno uno di essi.
– circa 100.000 bambini vengono prelevati da famiglie turche o curde e da esse allevati smarrendo così la propria fede e la propria lingua.
– considerando tutti gli armeni scampati al massacro il loro numero non supera le 600.000″.
Monsignor Dolci, il 5 giugno 1916, lanciò questo appello al ministro degli esteri ottomano. “Tutta la stampa europea e americana, dopo aver dato grande spazio all’annientamento della razza armena, si leva con indignazione contro la Santa Sede e contro l’augusta persona di Sua Santità il Papa che, dall’inizio di questa persecuzione contro i cristiani di Siria e soprattutto del Libano, non ha protestato, attraverso un atto pubblico ufficiale, di fronte al mondo civilizzato.
La stampa stessa espone nelle colonne dei giornali i tristi dettagli dei massacri di tanti cristiani, di numerosi preti e di una quarantina di vescovi armeni, di cui cinque cattolici; si indigna anche contro il rifiuto delle autorità di mandare un prete ai sopravvissuti per il servizio religioso, rifiutato anche ai moribondi, e si lamenta amaramente delle procedure del governo ottomano contro i suoi soggetti cristiani di Siria e Libano. […] Ho delle istruzioni dei miei superiori da sottoporre all’alta intelligenza di sua eccellenza il ministro degli Esteri e al suo spirito illuminato di uomo di Stato, la situazione dolorosa e penosa che questa persecuzione contro i cristiani di Siria e Libano creerebbe alla Santa Sede davanti all’opinione pubblica che non cessa di reclamare energicamente una protesta ufficiale di fronte al mondo civilizzato, arrivando fino ad accusarlo di mancare ai suoi sacri doveri, non difendendo la vita e gli interessi della cristianità.
Sua eccellenza mi permetta di far notare rispettosamente che queste procedure delle autorità del vilayet della Siria e soprattutto del governatore del Libano (di costringere i cristiani alla conversione all’Islam), cercando di spegnare il culto cattolico, sollevano grida di indignazione nel mondo intero, e che allo stesso tempo sono contrari ai reali interessi dell’Impero ottomano che, soprattutto in questa guerra e dopo l’abrogazione delle capitolazioni, deve affrettarsi a testimoniare al mondo che il culto cristiano non ha bisogno della protezione delle Potenze straniere, che il suo protettore naturale è il governo ottomano” [Archivio segreto vaticano, Delegazione Apost. di Turchia, Mgr Angelo Maria Dolci, fasc. “Persecuzione e massacri contro gli armeni”, vol. II, 93, s.p. In: Raymond Kévorkian (a cura di), Revue d’Histoire arménienne contemporaine (tome II), numero monografico sui campi di raccolta in Siria-Mesopotamia (pubblicazione della Bibliothèque Noubar, Paris 1998]. “La guerra non era ancora finita – scrive Rinaldo Marmara, storico ufficiale del vicariato apostolico di Istanbul, in un altro articolo, pure uscito sull’Osservatore Romano – che già Monsignor Dolci, Delegato Apostolico della Santa Sede in Costantinopoli, aveva preso l’iniziativa, in segno di riconoscenza, di erigere un monumento al ‘Papa della Pace’ Benedetto XV”. Per l’opera da lui svolta a favore della nazione ottomana: intervento presso il governo francese per i prigionieri turchi, ospedale per i feriti turchi, doni ai soldati per la festa religiosa del Bayram, visita dei prigionieri turchi arrivati dalla Russia. Mons. Dolci fece conoscere il suo progetto attraverso una lettera circolare, che tendeva anche a raccogliere i finanziamenti necessari. Ci riuscì. Manara riporta una serie di notizie interessanti trovate nel Chronicon della Delegazione Apostolica di Costantinopoli: «Monsignor Dolci avendo durante la guerra e l’armistizio lavorato tanto per aiutare tutte le miserie, seguite necessarie della guerra, coll’aiuto di armeni, greci, ebrei, musulmani e altri venne in aiuto con un’opera detta ‘Lacrime nascoste’ a famiglie intiere rovinate dalla catastrofe della guerra. Onde fece fare teatri, lotterie, kermesse, a favore della sua opera e il sacerdote Mussulu Giovanni Natale di Smirne fu incaricato spesso in queste opere. Sempre agendo come rappresentante del Papa benedetto XV volle ancora immortalare la memoria benefica di questo gran Papa che da vero Pastore et Padre ebbe l’intuizione dei bisogni di tutti senza distinzione di religione e di razza e a cui provvide quanto glielo permisero le facoltà e le circostanze. A questo scopo fece erigere la statua che si trova attualmente nel cortile della Cattedrale. A questa opera in segno di riconoscenza vi contribuirono greci, armeni, turchi, protestanti ed ebrei: Monumento di riconoscenza degli eterodossi al Papato Cattedra di Pace e di Bontà, come lo dicono le quattro lastre sullo zoccolo della statua, in francese e in italiano. Le due lastre laterali le fece mettere Monsignor Cesarano dopo la partenza di Monsignor Dolci. Prima statua in Turchia, presieduta dal figlio del sultano Abdul Hamid». Quando il 13 marzo 1933 mons. Dolci fu fatto cardinale da Pio XI, mons. Cesarano svolse le funzioni di segretario della Delegazione apostolica. La sua opera – nota Matteo Di Turi nel suo sito “Sacro e profano” – “fu considerevole, delicata e meritoria, poiché non trascurò mai gli aspetti umanitari che la Santa Sede intendeva innanzitutto perseguirvi. Don Andrea Cesarano salvò da sicura strage moltissimi Armeni: un popolo sterminato in passato da Ottomani e da Curdi, e ancora perseguitato dai Giovani Turchi di Kemal Atatürk, nel 1922. Da diplomatico, egli mostrò un cospicuo talento, affinatosi nel tempo in un crescendo inarrestabile con l’esperienza acquisita; e da sacerdote mai trascurò di esercitarvi la necessaria carità. Non poche conversioni lo ripagarono per tutto questo. Un giorno gli giunse il premio per le meritate benemerenze acquisite. Ad Istanbul, il 15 agosto 1931, nella cattedrale di Santo Spirito, con la nomina conferitagli da Pio XI di arcivescovo di Manfredonia, monsignor Cesarano venne consacrato dagli arcivescovi: Margotti, delegato apostolico in Turchia; Roncalli, visitatore apostolico di Bulgaria; e Filippucci, della Chiesa latina d’Atene, presenti numerose autorità dei diversi paesi accreditati in Turchia”.
Nella foto, del 1957: Mons. Cesarano e Sigismondo Nastri