Vallone Porto e la Fondazione Kempff di Positano beni da tutelare per le future generazioni, come fare?
Vallone Porto e la Fondazione Kempff di Positano beni da tutelare per le future generazioni, come fare? Parlando oggi della nostra cittadina , perla della Costiera amalfitana, di tesori nascosti, poco conosciuti anche ai locali, ci chiedevamo cosa fare per tutelarli per le future generazioni. Il Vallone Porto ad Arienzo , oasi di inestimabile valore, per molti , con tanti progetti fatti e combattuti, poteva diventare un parcheggio, la Fondazione Kempff in futuro, senza un progetto e una struttura, potrebbe diventare l’ennesimo parcheggio, come fare?
Ripubblichiamo un bellissimo pezzo di Luigi De Rosa fatto un anno fa sul Vallone Porto
“Tra gli erti colli alti fino al cielo/vago con i miei cani,/da cima a cima il lor latrato echeggia./Ma guarda gli scoscesi cuori umani/impervi più di questi aspri sentieri” questi sono versi che qualche tempo fa mi ha recitato il poeta Gianni Menichetti, durante uno dei nostri colloqui su poesia, endecasillabi e volpi, a margine di una “mission” ambientalista targata WWF con l’amico di sempre Claudio d’Esposito. Come mi ha rivelato Gianni sono di Saigō Takamori, che neanche a dirlo fu un grande samurai, combatté con onore per la sua “valle” e alla fine della battaglia di Satsuma, ferito, si fece decapitare dall’attendente per non cadere vivo nelle mani dei soldati dell’imperatore, molti di voi probabilmente già conoscono la sua storia perché nel 2003 Tom Cruise l’ha raccontata nel film “L’ultimo samurai”. I versi di Takamori, a mio modesto parere, descrivono meglio di tante parole altisonanti Gianni Menichetti, poeta, pittore e fine umorista pregio che non ti aspetteresti mai da uno che ha deciso di vivere da eremita in una forra selvaggia in Costiera amalfitana. Gianni è profondamente legato a questo valle meravigliosa, anzi a questo canyon selvaggio, come lo chiama lui, da ormai mezzo secolo e mi piace aggiungere che come Takamori, Menichetti è – l’ultimo samurai/custode – del Vallone Porto di Positano. Gianni era un giovane studente toscano quando giunse a Napoli per la prima volta nel 1971, il suo sogno era studiare lingue orientali, uno dei suoi professori, Chögyal Namkhai Norbu (1938 – 2018), accademico tibetano e Rinpoche, Docente dell’Università Orientale di Napoli, aveva un amico a Positano, che invitò lui e il suo giovane allievo a visitare la perla della Costiera amalfitana. Combinazione volle che l’amico del professor Norbu fosse amico anche dell’artista bohémien australiana Vali Myers, fu così che il 7 febbraio del 1971 Gianni nel Vallone Porto di Positano fece la conoscenza della donna che avrebbe cambiato tutta la sua vita e del luogo che sarebbe diventato la sua casa, anzi parafrasando la celebre frase di Plinio il Vecchio: il Vallone Porto è casa di Gianni perché a questo luogo appartiene il suo cuore. Il canyon di Positano fa parte del sistema di valloni della Penisola sorrentina, strette forre che caratterizzano il versante salernitano, che dalle vette dei Lattari discendono fino al mare. Il “canyon selvaggio” rappresenta un vero e proprio paradiso naturale ricco di specie animali e vegetali. La particolare orografia del sito e lo sviluppo altimetrico rendono possibile la creazione di un ambiente diversificato. Dall’aridità delle aree di versante, si passa agli alti tassi di umidità delle zone interne che favoriscono la presenza di piante e animali rari, posso citare la pteride a foglie lunghe per il mondo vegetale e la salamandrina dagli occhiali tra gli animali. Gianni e il Vallone Porto sono inscindibili. Se la valle dopo un cinquantennio è ancora un piccolo paradiso e non un parcheggio o una discarica abusiva è perché la presenza prima di Vali Myers e oggi di Gianni Menichetti ha tenuto lontani gli speculatori che dalle nostre parti sono sempre pronti a una colata di cemento in nome di un business che sta solo impoverendo la nostra terra della sua ricchezza più grande: il paesaggio. La vita da eremita di Gianni Menichetti nella pagoda in compagnia della sua mitica muta di cani ha contribuito e contribuisce alla conservazione di un patrimonio storico e naturalistico di cui gli abitanti della Costiera amalfitana dovrebbero essere orgogliosi. In altri valloni della Penisola sorrentina invece abbiamo assistito in questi ultimi anni a sfregi assoluti di siti naturalistici trasformati nel simbolo della cementificazione selvaggia e del cattivo gusto. Il Vallone Porto di Positano conserva invece intatto il suo fascino. Personalmente mi auguro che Gianni possa rimanere ancora a lungo il custode di questa valle, fosse stato un lama tibetano si sarebbe meritato il titolo di Rinpoche (uomo prezioso). di Luigi De Rosa
Vi consiglio anche di visitare il sito dedicato alle poesie di Gianni Menichetti: http://www.giannimenichetti.com/
Di Kempff riportiamo il poeta che canta di Lorenzo Cannistrà su ApeMusicale l’anno scorso
Il 23 maggio 1991 moriva a 95 anni Wilhelm Kempff, uno dei maggiori pianisti del XX secolo. Nato e cresciuto vicino Berlino, girò il mondo intrecciando amicizie e proficue collaborazioni con i più grandi strumentisti e direttori dell’epoca. Folgorato dall’incanto di Positano, vi si stabilì a partire dalla fine degli anni ‘50, fondandovi una importante scuola di perfezionamento pianistico. La sua fama rimane tuttora legata alla incomparabile sensibilità delle sue interpretazioni, dalle quali è sempre bandita ogni forma di irruenza, di “machismo” e volgarità. Un interprete che ha fatto del canto perpetuo, dell’inesorabile legato e della sintesi aurea le sue cifre inconfondibili.
A Positano esiste ancora via Wilhelm Kempff. La residenza del grande pianista tedesco, Casa Orfeo, si trova in quella vecchia via Chetrara che venne poi a lui intitolata a qualche anno dalla sua morte, dopo cinquant’anni di residenza stabile e circa 15 di cittadinanza onoraria. Il primo incontro di Kempff con il famoso borgo della Costiera avvenne nel 1928. Egli rimase abbagliato dall’azzurro del mare, dalla vista che si estende fino all’arcipelago di Li Galli (proprietà in passato di Massine e poi di Nureyev), dalle casette arroccate e le stradine impervie che si insinuano nel paesaggio roccioso. E in quel luogo d’incanto, lucente, odoroso di cedri e limoni, scelse a dimora un eremo addossato alla roccia a strapiombo, quella Casa Orfeo che rimase una meta costante, un porto sicuro dove riparare dopo le lunghe tournée intorno al mondo, fino a diventare il buen retiro degli ultimi anni della sua vita.
Wilhelm Kempff era nato nel 1895 a Jüterbog da una famiglia di spiccate tradizioni musicali e crebbe a Potsdam, quindi non lontano dalla Berlino in cui completò la sua formazione musicale (alla Hochschule) e dove seguì anche corsi universitari di filosofia e storia della musica. Era stato un giovane prodigio, capace perfino di impressionare Ferrucio Busoni, che lo definì un “talento fenomenale”. Già negli anni ‘20 la sua carriera aveva avuto un’accelerazione che gli aveva consentito di esibirsi fuori dall’Europa, raggiungendo il culmine della popolarità tra le due guerre. Per via di alcune sue conoscenze tra i nazisti la sua carriera ebbe qualche ripercussione negativa. Il suo debutto a Londra avvenne infatti piuttosto tardi, solo nel 1951, mentre per il principale “mercato” mondiale della musica, gli Stati Uniti, Kempff si esibì solo negli anni ‘60. Le sue collaborazioni con Arthur Nikisch (che lo portò al successo sul finire degli anni ‘10 dopo un’esecuzione del Quarto Concerto di Beethoven), Wilhelm Furtwängler, Yehudi Menuhin (che lo considerò sempre un “notevole accompagnatore”) e Pierre Fournier diedero frutti fecondi, per fortuna eternati in altrettante incisioni discografiche.
A Positano, alla fine degli anni ‘50, fondò una scuola di perfezionamento per pianisti già avviati alla carriera, che provenivano da tutto il mondo e a cui Kempff dava lezioni gratuitamente. Ebbe allievi divenuti importanti pianisti (Jörg Demus, Mitsuko Uchida, Gerhard Oppitz, John O’Conor) alcuni dei quali tennero lì dei corsi dopo la morte di Kempff. Tutt’ora la Fondazione culturale Wilhelm Kempff prosegue il lavoro didattico del Maestro con il corso pianistico annuale di Casa Orfeo. Oltre che all’insegnamento, Kempff si dedicò con assiduità anche alla composizione, benchè la maggior parte dei suoi lavori sia oggi pressochè dimenticata. Malato da tempo (aveva il morbo di Parkinson), si spense serenamente nella sua dimora affacciata sul Mediterraneo.
Wilhelm Kempff è ricordato come interprete dotato di eccezionale sensibilità, dal tocco e dall’approccio mai duro. La linea di canto non veniva mai meno, gli staccati erano sempre dolci, non spigolosi anche se brevissimi e asciutti, le frasi più lunghe spesso venivano sussurrate, ma il loro volume si ampliava con la stessa naturalezza con cui il petto si gonfia nell’atto di respirare.
Queste caratteristiche, per certi versi inaspettatamente, hanno consentito a Kempff di essere considerato tra gli interpreti più autorevoli di Beethoven. Le sue incisioni (ben tre)delle 32 sonate sono un riferimento imprescindibile per l’appassionato di musica, unanimamente apprezzate per il magico lirismo e il fascino talvolta improvvisativo che le anima. Un “soggettivista poetico” (così è stato considerato da certa critica) che nell’arco dell’intero corpus delle sonate beethoveniane tradisce più volte la lettera dello spartito per assecondare la sua ricerca intimamente spirituale. Esemplare in questo senso è l’interpretazione dell’op. 106, la gigantesca sonata “Hammerklavier”, che già era presente nei programmi di recital del giovane Kempff. Vi è in particolare un passo di questa sonata che può essere illuminante sulla poetica del Maestro tedesco. Il quarto tempo, come è noto, inizia con un Largo, una sorta di introduzione che ha una funzione strutturale ed evocativa non dissimile rispetto all’analoga introduzione nel Finale della Nona Sinfonia.In questo Largo le particolareggiate indicazioni di Beethoven (Tempo I, a tempo, la collocazione del crescendo e dell’accelerando fino al Prestissimo) sono eseguite pressochè alla lettera dagli interpreti più scrupolosi, al fine di ricreare quell’atmosfera diafana, primordiale (Ur-Musik la definiva Busoni) che indubbiamente caratterizza questo “preludio” alla complicatissima fuga (Allegro risoluto). Ebbene, qui Kempff forza il testo eliminando quegli eccessi che fanno apparire queste poche battute una sorta di “laboratorio” musicale (il che alimentava la considerazione, all’epoca, di un Beethoven fin troppo bizzarro), dando l’impressione di cogliere il senso ultimo di questa musica osservandola dall’alto, laddove i suoi più “accademici” colleghi sembrano operare con la lente d’ingrandimento.
Ma Kempff non era solo un alter ego del genio di Bonn. Nella sua carriera è riuscito a dare significativi contributi anche nella musica di Schumann e Brahms, con interpretazioni indimenticabili per lirismo e chiarezza strutturale. Persino in Chopin e Liszt vi sono dei particolari estremamente interessanti e raffinati nei fraseggi delle sezioni più liriche, mentre non altrettanto indimenticabili sono i passi più virtuosistici. D’altronde Kempff non è stato mai famoso per la tecnica impeccabile o per l’elevato grado di difficoltà dei brani più frequentati nel suo repertorio (benchè in gioventù suonasse spesso le Variazioni su un tema di Paganini di Brahms). Non a caso Harold Schönberg ne criticò le dita “curiosamente irregolari” in occasione del suo debutto alla Carnegie Hall.
Tuttavia, ciò che rappresentava un apparente minus veniva ampiamente compensato dalla sua capacità di trovare la sintesi perfetta tra cantabilità ed equilibrio formale: caratteristica che ne ha fatto un campione pressochè insuperato anche della musica di Schubert.
Ogni grande pianista è riuscito a dire una parola definitiva in qualche capolavoro del repertorio, assurgendo a punto di riferimento incontestato. Si tratta di quei casi in cui un pezzo può essere suonato anche bene, sicuramente in maniera diversa, ma non meglio di quanto fa quell’interprete. Nel caso di Kempff, è difficile trovare una maggiore comprensione del primo tempo della Sonata D 960. Il virtuosismo che il pianista tedesco non ha mai veramente sfoggiato nel repertorio cosiddetto “di bravura”, viene invece profuso qui nella sonorità. Il colore dell’incipit, la dissonanza nascosta eppur ben udibile, il miracoloso “quarto di tono” raggiunto nel trillo al basso, non più avvertibile come veloce alternarsi di due note, ma come soffuso ed uniforme tappeto sonoro, sono solo alcune delle perle che hanno reso famoso il pianista tedesco, e che lo rendono un interprete unico di questo capolavoro.
In conclusione, l’arte di Wilhelm Kempff appare ancora oggi grande e attuale perchè, nel suo affidarsi ad una così spiccata sensibilità e talvolta al vento dell’improvvisazione, essa è intrisa di profondo umanesimo. Il pianista tedesco si fece così portatore di un messaggio di autenticità che, per il tramite di una profonda cultura classica, si sforzava sempre di trasmettere anche ai suoi allievi di Positano. Non a caso Jean Sibelius, dopo aver ascoltato da Kempff l’Adagiodalla sonata “Hammerklavier”, gli dirà al termine: “Non hai suonato come un pianista, ma come un essere umano”.