Villa Fiorentino, per “Anna Mendoza” di Antonino Giammarino, ancora applausi

13 luglio 2022 | 12:16
Villa Fiorentino, per “Anna Mendoza” di Antonino Giammarino, ancora applausi
Beatrice Yousef, la protagonista di "Anna Mendoza"

Sorrento (NA) “Sono un uomo ferito/Non ne posso più di stare murato/nel desiderio senza amore/…Fulmina le mie povere emozioni/liberami dall’inquietudine. Sono stanco di urlare senza voce…” questi sono versi tratti dalla poesia “La pietà” che suggellano la conversione religiosa di un grande poeta: Giuseppe Ungaretti. Al fronte, sulle montagne del Carso, Ungaretti depone l’ideologia, quella socialista e atea, perché tocca con mano la realtà: l’odio, la distruzione e la carne dilaniata dei compagni uccisi; ma anche la speranza, l’attaccamento alla vita, il rapporto di solidarietà tra i commilitoni, e il senso di Dio. Qui, infatti, nel dolore e nella durezza di ogni giorno, Dio riaffiora. Nasce così una poesia che difficilmente ci facevano studiare al liceo, benché contenuta nella celebre raccolta “L’Allegria” (1916). Si intitola “Dannazione”, pochi versi: “Chiuso tra cose mortali / (anche il cielo stellato finirà) / perché bramo Dio?”. Il sentimento religioso è già tutto qui: ogni cosa muore, persino “i cieli, passeranno”; eppure nell’uomo, e solo in lui, vi è il desiderio di Dio. Un desiderio che non può rimanere “murato”, e che non può neppure essere saziato da ideologie e illusioni mortali. L’uomo desidera nulla di meno di Dio, del Bene, della Verità. Ho scelto questo lungo preambolo perché avevo bisogno di parole pensate e sensate per tradurre su carta il linguaggio cinematografico di Antonino Giammarino, che ha raccontato con immagini, riuscendovi, una conversione religiosa, esperienza tanto “delicata e intima” quanto esaltante. Ieri sera, infatti, a Villa Fiorentino è stato proiettato il corto di sua creazione nella versione definitiva dal titolo “Anna Mendoza”. In questo short film sono le immagini a raccontare le ferite interiori di un credente, una donna del nostro tempo, Anna Mendoza, una modella che la conversione fulmina, come dice Ungaretti. È lei a non voler essere più murata viva dall’effimero mondo della moda, che esalta l’avere a discapito dell’essere. L’incedere di Beatrice Yousef (Anna Mendoza) tra le navate di una chiesa, così come in un agrumeto sembra la metafora di chi si scopre “rinchiuso nelle cose mortali” ma non vuole rimanerne vittima. Interessante la grammatica cinematografica di Giammarino, tra le felici intuizioni del suo montaggio concettuale a me sono piaciute la scelta del personaggio che si muove perché la conversione è desiderio, brama, è nel “movimento” la sua migliore trasposizione in immagini e poi l’uso per la punteggiatura delle inquadrature di tramonti e albe come a dire “è in quel segmento di cielo non nella continuità estesa, l’Eternità”, Elsa Morante in Aracoeli (1982). Detto questo è stato bello registrare anche ieri l’affetto e la stima del pubblico di Sorrento per Antonino Giammarino e la sua opera, a lui anche i complimenti di un regista emergente come Luigi Pane,recentemente premiato dalla giuria del Social World Film Festival per il suo “Un mondo in più” risultato il miglior lungometraggio della rassegna. Meritano menzione il maestro Giuseppe Tramontano che ha fornito la propria consulenza, l’attrice esordiente Beatrice Yousef, Antonino Fattorusso, direttore della fotografia, Alfonso Bruno autore delle musiche, la giornalista Costanza Martina Vitale, l’attore Nio Lauro, infine Marika Rinaldi e Salvatore Piedimonte che hanno curato la produzione.
Di Luigi De Rosa

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Generico luglio 2022 Antonino Giammarino, regista e sceneggiatore