Piano di Sorrento, il racconto del lunedì del Prof. Ciro Ferrigno: “Il messaggio del Priore”
Piano di Sorrento. Riportiamo il consueto e sempre interessantissimo racconto del lunedì del Prof. Ciro Ferrigno che ancora una volta, con la sua bravura, ci guida alla scoperta della storia del nostro territorio: «Mio Dio, che mi succede!? Qualcosa da capogiro, di incredibile! Mentre sono tranquillamente affacciato al belvedere sulla statale amalfitana, quello coi sediolini di pietra viva, che guarda ai Galli, succede qualcosa di terribile. Infatti a mare scompaiono i motoscafi, l’aliscafo di linea e perfino una nave portacontainer della MSC che navigava in lontananza e al loro posto vedo barche a vela latina, diversi gozzi e all’orizzonte un grosso veliero che fa prua su Salerno. La cosa più assurda è che non c’è più la strada, è scomparsa, come pure non trovo più il mio motorino Liberty, che avevo parcheggiato all’imbocco della piazzola; al suo posto c’è un asinello che mi guarda. Per fortuna passano due contadini in abiti antichi, certo marito e moglie con ceste colme di fichi, ai quali chiedo notizie sulla statale amalfitana. Dopo avermi squadrato ben bene, forse per l’abbigliamento, mi rispondono che qui non passa nessuna strada, che ci sono solo vicoli e scale, stradine in terra battuta e nulla più; un viottolo scende allo Scaricatore, un altro sale ai Colli di San Pietro, all’Abbazia di San Pietro a Cermenna. Quando chiedo che giorno è oggi, rispondono è l’8 agosto 1622. Mio Dio, siamo tornati indietro di quattrocento anni, e ora come faccio?!
Cosa è successo all’umanità? Perché siamo tornati indietro di quattro secoli?
Faccio per andare via e mi rendo conto che l’asinello mi segue e solo ora capisco che il mio Liberty si è trasformato in un mezzo di trasporto seicentesco, mi sembra brutto non portarlo con me e tutti e due cominciamo a salire. Imbocco via dello Scaricatore, poi via San Pietro e le case coloniche mi ricordano i presepi viventi che ho visto un po’ ovunque: animali domestici, vecchi mezzi agricoli, covoni di paglia, vigneti, frutteti e tutto intorno amareni e ulivi a perdita d’occhio. Com’è bello questo luogo, penso tra me e me, mentre arrivo in uno spiazzo con una vasca d’acqua. L’asinello Liberty mi fa capire che ha sete e mi fermo per farlo bere. Nel mentre, sento il suono di una campana e, istintivamente mi avvio all’interno del cancello, dove ci sono contadini a lavoro ed un monaco che dirige. Chiedo, è questa l’Abbazia di San Pietro a Cermenna? Il padre benedettino annuisce con il capo e mi fa segno di non parlare, in chiesa stanno celebrando la messa. Lego l’asinello ad un anello di ferro fisso al muro ed entro nella chiesetta che è molto semplice, ha pareti in pietra viva disadorne, la statua di San Pietro in una barca, lampade ad olio che pendono dalla volta bassa e sull’altare un tesoro che conosco bene: la pala della Vergine Santissima del Rosario, quella che oggi si venera a Trinità! Intorno tanti ceri il cui fumo ha scurito le pareti, vasi di fiori campestri, faccio il segno della croce, stanno celebrando Messa in latino, alcuni monaci seduti in un rustico coro cantano in gregoriano.
Mi piacerebbe visitare l’Abbazia, fare delle foto, ma mi rendo conto di non aver più il cellulare e neppure l’orologio! Devo tornare giù in paese, vorrei chiedere qualcosa al monaco che vigila sui lavori agricoli, ma ancora una volta, gesticolando, mi impone il “silentium”. Ora imbocco Via Cermenna a dorso d’asino, la strada non è cambiata molto: Santa Maria di Cerignano, l’incrocio con Via Creta, ma sono vicoli stretti e pavimentati con lastre di piperno sconnesse. Qualche casa e poi la torre cinquecentesca dove stazionano guardie armate spagnole per impedire il contrabbando che proviene dal golfo di Salerno; non le vedo ma se ne intuisce la presenza. Incontro contadini in abiti antichi, donne con gonne lunghe e la testa coperta da un panno, un gregge di pecorelle bianchissime; è tutto così bello, come in una favola antica. Mi sembra di sognare, ma è tutto vero. Inutile cercare l’incrocio con la statale amalfitana che non esiste, allora proseguo per Via Piana e in una curva riconosco l’abside della chiesa della Trinità, tiro un sospiro di sollievo.
Sant’Agostino è un luogo d’altri tempi, ci sono vicoli stretti e pochi slarghi, vecchie case in tufo, fontanelle, lavatoi, abbeveratoi, animali liberi e addirittura galline che razzolano per strada; all’abbeveratoio Liberty si ferma, vuole ancora bere. La chiesa è chiusa, ma noto l’uscio socchiuso dell’Arciconfraternita dei Pellegrini e Convalescenti, entro in punta di piedi. Nella penombra, alla luce di un moccolo, il Priore sta scrivendo ed è chino su un librone. Si accorge della mia presenza, mi sorride ed io subito ne approfitto per chiedergli il perché di questo ritorno indietro di quattrocento anni. Mi risponde con un adagio in lingua napoletana: “Signò, ferma lloco!”- poi, prosegue: “Per ora, per questa guerra assurda tra fratelli, per la continua distruzione del creato, sono quattrocento anni, ma potremmo tornare alla preistoria, all’età della pietra, se le grandi potenze non la smettono di giocare con la forza distruttiva dell’atomo. Un conflitto nucleare porterebbe i pochi superstiti indietro nel tempo, di molti millenni. Poi mi porge una preziosa ed antica immaginetta della Madonna del Rosario e mi dice: dobbiamo pregare tutti, perché ciò non accada, sarebbe veramente la fine della nostra civiltà!”».