Piano di Sorrento / Moiano , Don Domenico Cassandro “Dieci anni di presenza”

"Sono sempre stato un vulcano di attività... ma in questo momento sto provando una bellezza nascosta - confessa Don Domenico -, dietro ogni singolo e semplice giorno... tante persone si sono occupate di aggiungere più giorni alla mia vita, io suggerisco di aggiungere più vita ai giorni ...più vita, più vita, più vita, grida la mia anima.." 

Piano di Sorrento / Moiano , Don Domenico Cassandro “Dieci anni di presenza”. A volte la “Grazia” si manifesta in maniera inaspettata e improvvisa, mentre ci troviamo dall’amico Peppe Coppola Photo 105, arriva il Vescovo di Avellino Arturo Aiello con un libretto “Don Domenico 2012 17 Ottobre 2022”. “Dieci anni di presenza” come incipit

Toccante il ricord di don Maurizio e del Vescovo Arturo Aiello, suo padre spirituale. Poi nel libro si svela alla fine  il capitolo “Confessione”, parla Don Domenico della sua malattia, quel tumore che lo ha portato via a Moiano, la grande e impegnativa parrocchia di Vico Equense, e a tutta la Comunità che lo amava e in Penisola Sorrentina si sentiva parlare di questo “prete buono amato dai giovani..”, un prete molto pieno di vita e di gioia, di entusiasmo, e anche voglia di scherzare e giocare, come ci ha ricordato Costantino Russo della Rustica, che pure abbiamo incontrato in Via Bagnulo.

“Sono sempre stato un vulcano di attività… ma in questo momento sto provando una bellezza nascosta – confessa Don Domenico -, dietro ogni singolo e semplice giorno… tante persone si sono occupate di aggiungere più giorni alla mia vita, io suggerisco di aggiungere più vita ai giorni …più vita, più vita, più vita, grida la mia anima..”

Domenico Cassandro

Pubblichiamo anche l’incontro – preghiera tenuto dal Vescovo Arturo Aiello nel 2013 che abbiamo trovato in rete

16 agosto 2013 – Santa Maria del Castello

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Incontro-preghiera tenuto da S.E. Mons. Arturo Aiello per la Comunità di Moiano in ricordo di Don Domenico Cassandro

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Domenico irrequieto Il vostro parroco, don Maurizio, vi ha accompagnato durante quest’estate tratteggiando per voi alcune figure di santi. La tentazione è vedere i santi già fatti, i santi già santi, immortalati dalle immaginette. Questo non ci aiuta, perché ce li fa sentire lontani, anche se sono vicini a noi nel tempo, nella cultura e nella sensibilità. Ci viene da dire: beh, era santo, era nato santo! Questa sera guardiamo a don Domenico, pensiamo a lui, e cerchiamo di cogliere dei segni di santità nella sua vita. Lo avrete fatto già tra voi, ma ora lo fa il padre. Abbiamo cantato di Maria con la voglia di chiederle: Ma com’era Gesù quand’era bambino? Io vorrei tanto sapere da te se quand’era bambino, tu gli hai spiegato che cosa sarebbe successo di lui. Vedete, è importante, anche adesso, a prescindere dal tema che ci tiene insieme, dal ricordo comune di don Domenico, che poniamo attenzione ai bambini. I bambini sanno già tutto, nei bambini c’è già quello che sarà l’uomo. Con un’espressione sintetica si dice che il bambino è padre dell’uomo che verrà. E questo è vero anche per Domenico, per don Domenico, nel senso che ciò che egli è stato da seminarista, da prete, da parroco qui da voi, in qualche maniera trova radici, anticipi, bagliori già nell’infanzia. È qui con noi stasera anche la sua animatrice di quand’era Giovanissimo. Chi l’abbia conosciuto, i suoi genitori, la sua mamma, zio Franco, zia Rosa, gli altri, possono cogliere di più tale continuità. È vero che un ragazzo un giorno è ordinato e riceve una grazia, una missione, ma è anche vero che quella grazia va a poggiarsi su un’umanità, e quell’umanità non è solo l’umanità di don Domenico, di don Maurizio, degli altri preti presenti, l’umanità di quel momento, ma anche l’umanità precedente. E allora, com’era? Io vorrei tanto sapere da te se quand’era bambino… Com’era Domenico bambino, ragazzo? Com’era da adolescente? Un aggettivo spiega le foto che vi presento ed è: irrequieto. Un bambino irrequieto. Un ragazzo irrequieto. Un adolescente irrequieto. Di solito ci preoccupiamo quando un bambino, un adolescente, è irrequieto, pensiamo che possa fare degli errori, mettersi in storie intricate. Dovremmo rallegrarci, invece, quando ci troviamo davanti a figli irrequieti, perché solo i figli irrequieti sono capaci di cogliere l’irrequietezza della vita e mettere su una vita non banale, perché i bambini, i ragazzi e i giovani non irrequieti rischiano di diventare uomini e donne banali. Non sto facendo l’elogio dell’irrequietezza, beninteso, ma semplicemente tentando di raccontarvi di un bambino che seguiva la mamma che cantava. Domenico mi ha sempre raccontato di sua madre che cantava, e forse il gusto della musica, del canto, prima eseguito e poi composto anche (ci sono dei canti composti proprio da don Domenico), tutto questo si radica nei canti di Anna Maria. Le mamme cantano. A volte cantano perché sono nervose. La mia faceva così: quando cantava, tirava una brutta aria. Si pensa che i canti – per esempio le ninne nanna – siano un modo per far addormentare i bambini, in realtà, inoculiamo in loro un senso della vita, bella o brutta, serena o tenebrosa, attraverso i canti, quelli che sentono dalle voci delle loro madri o apprendono oggi dai cartoni animati. Il bambino che ho conosciuto e il ragazzo che ho incontrato dietro a Maria, in futuro suor Damiana, era così. Era uno che amava l’avventura, sognava, scorrazzava sul motorino di suor Damiana, sempre dietro di lei come un piccolo scudiero. Domenico è venuto al Centro parrocchiale prima del tempo, ma questo era possibile solo quando era al seguito di qualche Giovanissimo, di qualche Giovanissima, nel caso specifico Maria. In quell’adolescente mi sembrò d’intravedere qualcosa di grande, proprio a partire da quella irrequietezza. Nell’introduzione che leggerete in un libro che vi sarà donato alla fine di questo incontro, c’è un’espressione che potrebbe essere equivocata, a firma di suor Damiana, ed è questa: “Per la sua irrequietezza, forse, un ragazzo destinato alla devianza”, perché una possibile uscita, una possibile evoluzione di Domenico irrequieto poteva essere la devianza. Vedete, quelli che si deviano, che sbagliano, che prendono strade strane, spesso sono santi mancati. E nella storia dei santi tante volte troviamo giovani irrequieti, senza briglie, che diventano poi dei grandi santi. In quell’espressione non è tanto presente una visione negativa quanto un poggiarsi della grazia sulla base umana di un giovane che poteva diventare un rivoluzionario, un tossicodipendente…, invece è diventato un prete, il vostro parroco. Noi potremmo dire: miracoli della grazia. Ma anche: miracolo dell’accoglienza della grazia, perché di grazia in giro ce n’è tanta, carissimi, ma quanti la colgono, l’accolgono? Per esempio: dietro questo spicchio di monte è tramontato il sole. Tutti lo abbiamo visto tramontare. Una grazia. Una grazia di bellezza, ma anche una grazia di richiamo alla brevità del tempo e della vita. Una grazia sciorinata davanti a noi su questa meravigliosa terrazza. Ma quanti di noi l’hanno raccolta? Per molti questo tramonto è stato inutile, perché non l’hanno fissato, non l’hanno accolto, non lo hanno guardato, non vi hanno colto il senso di brevità della vita, della bellezza di Dio, della bellezza del creato. Per dire che non basta la grazia, quando non ci sia anche l’accoglienza della grazia. Ecco, io ricordo così un Giovanissimo ai Campi Scuola, un Giovanissimo, diciottenne, ad Avezzano a un Corso di Esercizi spirituali, dove si parlava del futuro e della possibilità di avventurarsi per una strada rischiosissima, quella del prete. Sono sempre stato molto chiaro – lo confermeranno don Pasquale qui presente e gli altri seminaristi, che hanno fatto gli Esercizi ad Avezzano – sul rischio di quest’avventura. Non è un vita facile! Ma ecco che il Domenico irrequieto, che non s’accontentava, che aveva fame di più, che aveva bisogno di grandi orizzonti, che doveva galoppare, ha visto nella prateria del vangelo e della Chiesa una possibilità – perché no? – di realizzazione, di valorizzazione di quella forza che aveva e che tanti di voi hanno (mi riferisco ai giovani di Moiano) e che a volte perdono e disperdono in tanti rigagnoli inutili. Questo è il primo pensiero che voglio lasciarvi. Un’umanità, quella di Domenico, piena di domande, desiderosa d’avventura, difficilmente arginabile. Anna Maria avrà fatto tanta fatica a tenere fermo Domenico bambino. Voi potreste dire: tutti i bambini sono irrequieti, iperattivi, ma Domenico lo era in modo tutto speciale. Ecco, su questa umanità è calata la grazia. Questa umanità è stato il vaso che ha accolto un annuncio: tu puoi essere un pescatore di uomini. Questo accadde ad Avezzano tanti anni fa. Adesso ascoltiamo dai seminaristi di Moiano la canzone che avete già sentito nel documentario che ha riguardato la Chiesa italiana per la Giornata delle Vocazioni, IV di Pasqua di quest’anno, quindi ascoltiamo la vostra storia, la nostra storia, perché Domenico è nostro. In qualche maniera la canzone è stata messa sul palcoscenico della Chiesa italiana in un documentario vocazionale, dove Domenico cantava un testo che è suo, che parla del suo cuore, della sua voglia di dire a tutti i giovani: Loro non vogliono ascoltare, non vengono al Campo, non vengono alle attività estive, però ora vorrei raggiungerli, come fare? Fallo Tu, Signore! In questa canzone c’è don Domenico. Canzone di don Domenico Don Domenico impastato nella storia della sua comunità Ritroviamo in questo testo quella che si chiama “ansia missionaria”. Domenico sogna di fare un falò, come tante volte ai Campi Scuola, un fuoco nella notte, dove possa raccogliere tanti giovani, tutti i giovani del mondo, per parlare loro dell’amore di Dio. – Ma se non dovessi riuscire, se dovessi fallire, se non dovessero venire… E qui mi vengono in mente tante tante tristezze di don Domenico, quelle che raccontava al padre riguardo persone, soprattutto giovani, che gli giravano le spalle, come il giovane ricco del vangelo, forse a volte arrivava fino alle lacrime, se uno, su cui aveva puntato come educatore per un gruppo, si tirava indietro, se una debolezza diventava un modo per scoraggiarsi da parte di un giovane, di una ragazza. Voi avete fatto l’esperienza a Moiano di una Chiesa che è andata allargandosi. Eppure i preti non sono mai contenti: è questa la nostra condanna! Non siamo mai contenti! Nell’ultima serata del Mese di Giugno, che avrete modo di leggere, di due anni fa, Domenico diceva: “Certo, siamo tanti, siete venuti in tanti, ma io vedo tanti posti vuoti. Tanti giovani che l’anno scorso c’erano quest’anno non sono venuti. Incontrandoli per strada, chiedeva loro: – E perché non siete venuti? Basta una volta, tanto è sempre lo stesso! È difficile capire – sapete – il cuore di un prete, perché esso, sia pure lontanamente, si avvicina al Cuore di Cristo. Il Cuore di Gesù è sempre un po’ triste per quelli che vanno via, per quelli che non sono venuti, che sono troppo sazi, si sono perduti… Eh, ma ne hai tanti in parrocchia! Sì, ma tanti questa sera si perderanno. Anche noi potremmo essere tanti, e qualcuno, magari don Maurizio, dirà: Alla preghiera a Santa Maria del Castello eravamo duecento. E gli altri? Dove sono gli altri giovani? Che faranno stasera? Questo un prete se lo chiede. Dove andranno? A che ora torneranno a casa? Con chi staranno? Torneranno vergini dalle vacanze i nostri giovani? Cosa lasceranno insieme con il sudore e le magliette sporche dimenticate nei luoghi di villeggiatura? Forse anche delle cose importanti. Ecco, il cuore di don Domenico, del vostro parroco, era così. Forse da questo punto di vista non lo avete conosciuto e vi risulterà nuovo, inedito, questa sera, ma tante tante volte è venuto a raccontarmi le sue tristezze. Anche legate a delle incomprensioni e, se volete, ai vostri dolori, perché un prete è impastato – in particolare un parroco – nella vita della sua gente. Non c’è dolore, non c’è nascita, non c’è donna incinta, non c’è cancro, intervento chirurgico, esame che un giovane debba superare, che non trovino eco nel cuore del prete. E più Domenico è entrato nel cuore della vostra storia, più si è appassionato, più si è addolorato, più si è impastato nella vostra storia. Un parroco è un prete, un uomo impastato nella storia della sua gente, fino a prendersi gli improperi rivolti a Dio. Forse la scena più dolorosa, vi farà sorridere, ma a me fece soffrire, che Domenico mi raccontò era quando si recò a casa di una famiglia della vostra parrocchia in cui giaceva un giovane cadavere. Era andato a portare una vicinanza, un affetto, una preghiera, e la madre del giovane, appena lo vide, lo prese a schiaffi. Una reazione che mi colpì molto all’atto in cui me la raccontò. Ci fa soffrire e ci fa sorridere questa scena, però è molto vera. Perché quella donna, addolorata ovviamente (non percepite assolutamente alcun’ombra di giudizio in questo momento nella mia voce), prese a schiaffi Domenico? Perché voleva prendere a schiaffi Dio. Perché me l’ha tolto? E allora, non potendo prendere a schiaffi Dio, prendo a schiaffi il mio parroco che è venuto a portarmi un messaggio di speranza, o semplicemente una vicinanza. Vi dico questo per ridarvi delle foto, delle immagini, il volto del vostro parroco. I preti soffrono quando una ragazza non sposata non ha le mestruazioni, e non per colpa del parroco, ma perché il fidanzato, il ragazzo… Non potete immaginare – vi farò sorridere – come le mestruazioni, per noi che non siamo sposati, siano una sorta di pentagramma di continua apprensione. Prima del matrimonio non vengono le mestruazioni: e chi sa, speriamo, e preghiamo, e facciamo… Dopo il matrimonio non vengono le mestruazioni, perché si aspetta un bambino che non viene, e di nuovo dal parroco: non vengono le mestruazioni… Prima, addolorati, perché non vengono e magari c’è qualche problema, una maternità inaspettata… Dopo il matrimonio, quando si aspetta un figlio, vengono e dunque il figlio non viene, e nuovamente si bussa alla porta della Canonica, al cuore del prete. Perché, vedete, tutto quello che riguarda l’umanità, tutto, trova accoglienza nel cuore del parroco e del prete. Se un prete si scandalizzasse o ritenesse non importante un’inezia (a volte gli adolescenti piangono per un “palo” che hanno preso, una “cotta” andata male, per una parola, per una ragazza che non li ha guardati, e arrivano in lacrime), non sarebbe un buon prete. Anche le lacrime che sembrano inutili sono un dolore. Dico queste piccole cose per dire poi dei grandi drammi, delle morti, delle tragedie, delle divisioni, dei tradimenti… Tutto trova accoglienza nel cuore del prete. Per questo i preti, normalmente, vivono poco quando vivono bene il loro ministero, perché si consumano, perché, anche quando godono di ottima salute, il loro essere dentro alle storie, alle famiglie, alle stanze da letto, alle questioni di divisioni ereditarie, alle tensioni li consuma. Ecco, la seconda immagine che vi consegno (vi dirò tre cose, state tranquilli) è questa: un uomo impastato nella vostra storia. Voi tenterete di toglierlo questo ricordo, di voltare pagina, di dire: no, adesso è un’altra cosa, è un altro anno, tra poco celebreremo già il primo anno della partenza di don Domenico, ma Domenico è radicato pienamente nella storia della vostra comunità, delle famiglie della vostra comunità, nel cuore dei giovani per quello che faranno, per quello che non faranno; è dentro, non si può tirar fuori, dovreste cancellare una stagione della vostra storia di comunità, ma anche di singoli, di uomini e di donne, di adulti, anziani, bambini, giovani. Ecco le tristezze: Vorrei fare tutto questo, ma sono un povero uomo, il mio cuore è piccolo, potrei sbagliare, non dire la parola giusta, non riuscire a spiccicare parola. Non è il caso di don Domenico. E allora fallo Tu, Signore, fallo Tu, raggiungi Tu i lontani, quelli che non vengono più, quelli su cui avevo contato, scommesso e che mi hanno deluso. Quante delusioni vive un parroco! Ha vissuto così don Domenico. Don Domenico crocifisso Vorrei potervi raccontare di Domenico appassionato della vita, della musica, dell’arte, delle immagini, della poesia, delle cose belle, delle montagne. Abbiamo fatto insieme cento e cento scalate, e anche con voi si sarà specchiato nei laghi alpini. Perché vi portava in alto don Domenico? Perché organizzava i Campi Scuola sempre più su? Magari sulle Alpi. Penso all’ultimo Campo Scuola, un vero miracolo per la sua situazione patologica. Perché così in alto? Perché davanti a tante bellezze? Perché la vita è bella. A voi sembra che un prete (magari noi vi abbiamo dato questa errata impressione) sia uno che abbia rinunciato alla vita. In realtà, Domenico è stato un cantore della vita in tutte le sue espressioni. E questo lo avete visto anche nella cura che metteva nella vostra chiesa parrocchiale nella scelta dei fiori, per le statue, per gli addobbi, che non è estetismo, ma amore per la vita e per le cose belle della vita, come l’amicizia. Penso a certe amicizie antichissime e fortissime di Domenico con i suoi compagni di gruppo da quand’era Giovanissimo: Florindo, per esempio. Cose che sembrano non avere attinenza con il vangelo, in realtà, Dio si è manifestato nel volto umano di Gesù. E oggi si manifesta nel volto umano dei preti, dei consacrati, di quelli che, laici, portano il vangelo, e non da paurosi della vita, ma contenti: Ah, c’è la luna, si stanno accendendo le stelle, c’è il mare con i suoi due Golfi… E tutto questo è vita! Noi stiamo vivendo. Domenico nella canzone che avete ascoltato dice: anche se è un soffio, in un soffio si può dire tanto. Quando ha composto questo canto, non sapeva di dire di sé e di quello che avrebbe vissuto, e cioè di una vita intensa nella sua brevità. Tutto questo si riesce a trasmetterlo solo se si vive. Domenico, innamorato del suo essere prete, pur con tutte le difficoltà che un giovane prete vive e di cui, ovviamente, io, come padre, sono stato depositario, riesce a contagiare. Chi vive con questa tensione, con questa attenzione e con questa intensità, naturalmente appassiona altri al suo stato di vita. Quando penso ai seminaristi di Moiano, li sento un po’ come dei nipoti, perché Domenico si è innamorato dell’essere prete guardando me (anche se sono pessimo come esempio), ma poi ha messo tanta passione nella sua missione che Antonio, Gaetano, Antonio si sono messi a seguirlo. Vedete, non si diventa preti seguendo Gesù, ma seguendo un altro prete che è bello, che ci appassiona. Pensiamo: quello è un divo, sa suonare, sa cantare, organizza cose meravigliose, tutti gli vanno dietro… Vorrei essere così anch’io! La vostra parrocchia ha vissuto, vive e vivrà in questi tre giovani seminaristi una sorta di eco; in voi Domenico prete vivrà, perché avete l’imprinting, lo stampo del suo essere prete. E questo si chiama contagio, febbre che contagia altre persone. Basterebbe questo, cioè tre seminaristi, provenienti da una piccola parrocchia. Leggete questi miracoli? Questi sono miracoli: una piccola parrocchia che produce tre vocazioni. E attenti che dietro questi tre, per le cose che ho sentito da don Domenico, ce ne erano altri, c’erano, poi ci sono stati degli aborti, ragazzi che sono partiti e si sono fermati, hanno contato i loro beni, hanno girato le spalle. Chissà che altri che questi (che, quando Domenico era qui in carne ed ossa, non dico vivo, perché è vivo ancora ora, hanno avuto un esito negativo rispetto allo sprint che avevano manifestato sulle prime) non possano riprendere la voglia di volare, magari dalla lettura del libro che vi sarà consegnato alla fine. Vado verso la conclusione, parlandovi di Domenico crocifisso. È l’aspetto conclusivo e difficile della sua vita di prete e parroco. Quando Domenico era disteso per terra, il giorno della sua Ordinazione, nel 2006, era lì con gli altri sei suoi compagni, prostrato come un condannato. Nella mente della gente la prostrazione ha sempre un fascino che non suscita neanche il momento più importante, che è l’imposizione delle mani. Quelli sono aspetti che voi saltate a piè pari e vi lasciate prendere dal fatto che il giovane sia a terra, prostrato nell’atto di chi fa l’amore, ma anche nell’atto di chi muore, di chi è crocifisso. Un prete, infatti, entra nella vita di Gesù e Gesù entra nella vita di un prete, crocifiggendolo, anche quando essa non abbia un epilogo così drammatico e immediato e breve e doloroso, come nel caso di don Domenico. Quello che lui ha vissuto con la diagnosi del cancro e poi con le terapie e con la resistenza e la resa della morte costituiscono un capitolo luminosissimo, anche se l’averlo così vicino ce ne fa vedere ancora solo il dolore. Laura, prima di portare in grembo il suo bambino, ha seguito e portato in grembo Domenico, a nome della vostra comunità. È stato molto bella, sapete, la presenza di Laura, da un punto di vista medico, accanto a questo prete crocifisso, per aiutarlo a vivere al meglio la sua malattia, senza rinunciare al suo ministero. Altri, dopo la diagnosi, dopo la prima chemio, si ritirano e dicono: Ci vediamo a guarigione avvenuta o a morte avvenuta. Domenico, no! Domenico – e qui torna il suo carattere, la sua caparbietà, il suo non amare le mezze misure – ha capito che doveva restare sul campo fino all’ultimo, fino all’ultima forza, e che quindi si dovevano bilanciare le chemio insieme con i Campi, con i Mesi di Giugno, le predicazioni, gli Esercizi spirituali, come se nulla fosse. Vedete, questo è un miracolo. Quando lo guarderemo, lo guarderete, meglio, più da lontano, vi leggerete non solo la testa dura di un uomo, ma anche la voglia di servire e di spendersi. Di essere pane. Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue: prendete, mangiate, prendete, bevete, dice ciascun prete ogni giorno, a volte anche più volte al giorno, al momento della consacrazione sul pane e sul vino. Queste parole per noi sono un programma di vita. Non è solo il Corpo di Cristo, ma anche il mio corpo, e voi lo prendete e lo mangiate. Voi avete mangiato il corpo di Domenico, bevuto il suo sangue, preso la sua forza, ricevuto la sua grinta, condiviso quello che lui era, tutto quello che aveva. Tutto ciò che ho e possiedo: dice la preghiera di Ignazio, cara a don Domenico, che, come altri, ha percorso l’itinerario degli Esercizi spirituali. Allora facciamo memoria di questo prete, che affronta la prova con grande difficoltà, ma anche con grande forza. Ho sempre negli occhi e nel cuore il giorno in cui sono venuto a Moiano, a fine ottobre, a parlare a Domenico. Quella mattina dissi a don Pasquale: “Sono venuto come un angelo della morte”. Perché Laura, prima che comunicarlo a Domenico, ne parlò a me. Era una giornata bellissima di fine ottobre, di quelle che sembrano primaverili, ed io salivo le scale della Canonica e guardavo quel cielo, che poi penetrava attraverso i vetri delle finestre. Tutto diceva vita, ma io portavo un annuncio di morte. “Domenico, hai un cancro”: è così difficile dirlo! A volte bisogna tacerlo, ma non era il caso di Domenico. Un prete ha consuetudine con la morte, con la sofferenza, e quindi va informato. Poi abbiamo fatto insieme il viaggio verso Napoli. Ricordo che progettammo qualcosa di bello, una vacanza, che non abbiamo fatto, non abbiamo avuto tempo di fare, ma che faremo in cielo. “Facciamo una vacanza – gli dissi – pensiamo a qualcosa legato alla vita in questo momento in cui ti annuncio la morte”. È importante, sapete, parlare della morte insieme con la vita, sentire che queste due realtà si baciano. Quindi per me programmare la vacanza con lui, magari ai fiordi (un sogno che inseguo da tanti anni), significò quella mattina inoculare in lui, insieme con questo annuncio, la voglia di vivere che lo caratterizzava già. Come è morto don Domenico? È morto quando non ha potuto più combattere per voi. Vorrei lasciarvi dicendovi che lui non ha smesso di essere con voi, di essere il vostro parroco, ma è entrato in una dimensione di maggiore forza, di maggiore potenza. Quello che avrebbe voluto fare, adesso lo sta facendo. Penso, per esempio, anche al bene che quel documentario ha fatto in Italia. “Vorrei parlare a tutti i giovani, ma conosco solo quelli di Moiano, posso parlare solo a quelli…, a quelli che vengono, a quelli che mi sopportano”. Quanta ostilità, soprattutto all’inizio, da diacono, Domenico ha incontrato, anche rispetto a certi luoghi di spaccio, luoghi dove c’erano dei poteri che segnavano il territorio! Ebbene, adesso Domenico continua a fare il prete, il parroco, per voi. Don Maurizio, insieme con alcuni giovani, ha pensato che non si perdesse neanche la memoria dell’ultimo Mese di Giugno predicato per intero. Il Mese di Giugno viene da Piano, come altre cose, c’era già anche a Moiano, ma il modo con cui poi è stato celebrato trova delle radici nella parrocchia di San Michele. Molte cose vengono di là, d’altra parte ognuno porta nel cuore casa sua. Ecco, ricordo – e questo lo dico per incoraggiarvi – che le volte in cui, credo due, sono intervenuto al Mese di Giugno a Moiano, ho respirato la stessa freschezza che da giovane respiravo sotto le arcate della basilica, quando c’era un entusiasmo che, forse, a Piano, è un tantino sopito. Ebbene, stasera vi verrà donato un libro. È un grande dono, perché le parole che furono dette in quel mese di giugno di due anni fa sono state registrate da alcuni di voi, poi sbobinate, rielaborate e stampate in un libro che porta un titolo: “Come un testamento”. Sarà un modo, uno dei tanti, per sentire Domenico presente. Mentre Gaetano fa un sottofondo, i giovani vi consegneranno questo dono, poi concludiamo con la benedizione. Raccoglietelo con questo spirito: ecco, ci viene data una fetta di Domenico che avremmo altrimenti perduta, ma anche una fetta della nostra storia, perché in quelle omelie ci sono risvolti, richiami, eventi, che appartengono a voi e che costituiscono, forse, la parte più bella della vostra comunità, che non deve andare perduta. Dice Gesù, alla fine della moltiplicazione dei pani: «Adesso andate in giro e raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Questo libro nasce così, perché nulla vada perduto. Padre Nostro… Benedizione del Vescovo Spero che questa sera vi abbia messo dentro un desiderio di santità. A questo Domenico ha anelato, questo è stato il suo tormento e questo tormento adesso deve diventare anche nostro, anche vostro. Desiderare di essere al meglio, fare di più, fare il bene, comunicare ad altri un modulo di vita che riteniamo luminoso e che ha il suo centro in Gesù. Porto con me un solo rimpianto. Ho accompagnato Domenico passo passo nella sua passione e morte, dando indicazioni anche a don Maurizio e agli altri: Bisogna ungerlo con il balsamo che viene dalla Terra Santa, come il Corpo di Gesù e come Maria ai piedi di Gesù che versa l’unguento profumato; bisogna fargli indossare la casula più bella (Domenico l’aveva comprata un anno prima, dicendo: “Voglio comprarla perché forse non ho più tanto tempo da vivere”). E qual è allora il rimpianto che mi porto? Piccolissimo, eh, ne sorrido: Avrei voluto cantargli l’ultima volta quello che nella nostra parrocchia di Piano, immagino anche nella vostra di Moiano, costituisce il canto number one, perché era la conclusione di ogni serata estiva al Centro, perché ai campi Scuola era il pezzo forte con cui si concludevano le giornate, perché spesso la Preghiera del Venerdì da noi, e anche la vostra Adorazione, a volte, si concludeva con Ho lottato tanto. Stasera rimedio – perché c’è sempre tempo per rimediare – cantando a Domenico, insieme con voi, ovviamente, e facendogli dono di questo canto, sulle cui note sono intessute tante storie, impressi tanti volti. Anche la sua vita. Domenico si è addormentato credendo nel giorno migliore che sarebbe venuto e nel quale è già inserito. Questo giorno si chiama l’eternità, Paradiso, vita eterna. E in questa sera in cui si conclude un giorno (un giorno è un po’ come la parabola di una vita) anche noi preghiamo, dicendo: Ho lottato tanto, ho sofferto tanto, sono morti tanti, ma adesso voglio addormentarmi … Adesso basta, adesso ho fatto il mio. Adesso lasciamo che Dio faccia il suo compito. Concludiamo così. Ho lottato tanto…

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