Intervento conclusivo di Raffaele Lauro alla presentazione della biografia di don Antonino Stinga (Sorrento, Ristorante Parrucchiano, venerdì 11 novembre 2022)
Desidero ringraziare, in primis, il mio fraterno amico Antonino per avermi invitato ad intervenire, come testimone diretto dei nostri intrecci familiari, amicali e di responsabilità politico-amministrative, a questo attesissimo incontro di presentazione della sua “monumentale” biografia, incontro che mi appresto a concludere. Un evento così speciale, così caloroso e insieme intimo, così significativo e così intenso sul piano della marea, l’alta marea degli affetti: per lui, per la sua bella famiglia e per tutti gli amici presenti, che hanno avuto il privilegio di conoscerlo, di stimarlo e di volergli bene, lungo un entusiasmante e mai inattivo – e giammai acquiescente! – percorso esistenziale. Un cammino di vita piena, vorticosa, propositiva, sempre tesa al futuro e pronta a cogliere tutte le opportunità positive, incontrate sul suo itinerario, negli incontri di lavoro e nelle relazioni umane. Opportunità strappate a morsi, con incredibili sacrifici, anche fisici, fortemente volute. Volli, volli, fortissimamente volli! Mi perdoni Vittorio Alfieri, ma la forza di volontà di Antonino, non in campo letterario, non è stata da meno! Un cammino che gli auguro, anche a nome di tutti i presenti, di continuare ancora, per molti anni, in buona salute, in piena lucidità, come oggi, e con lo spirito combattivo di sempre, come ieri, circondato dalle persone che lo amano e che gli sono più care: la signora Concetta, i figli, i fratelli, i nipoti e i pronipoti! Come ringrazio, per la loro autorevole presenza, che reca lustro e valore, anche istituzionale e pubblico, a questa manifestazione, il signor Sindaco di Sorrento, Massimo Coppola, e l’onorevole Annarita Patriarca, alla quale rinnoviamo gli auguri sinceri di buon lavoro parlamentare, al servizio del Paese, della nostra meravigliosa costiera e, in particolare, di Sorrento! Sono grato, altresì, allo studioso di storia patria e scrittore Marco Mantegna, per l’illuminante saggio introduttivo alla biografia e al caro, carissimo, don Carmine, parroco e pastore esemplare, per le sue elette considerazioni, come sempre sincere, profonde e riconoscenti, che hanno dato contezza, per Antonino, di una fede cristiana, vissuta intensamente, più che nelle sagrestie e nei predicozzi moralisteggiati, attraverso le opere di bene e la silenziosa solidarietà verso chi aveva e ha bisogno di aiuto. “Deus Caritas est”, la prima lettera enciclica di Papa Benedetto XVI. La carità come amore di Dio! Non i fariseismi ipocriti, non i moralismi rivolti agli altri, non le maldicenze strapaesane e non le invidie velenose verso chi si afferma, socialmente ed economicamente, ma non si rinchiude nell’angusto recinto dei propri egoismi e fa della generosità, verso gli altri ed anche verso se stesso, la cifra del suo existere, del suo essere e non del suo avere, sia che sia un buon cristiano oppure un filosofo come Erich Fromm. Antonino da buon cristiano, che non ha studiato Fromm, ma si è nutrito solo della saggezza della madre Giuseppina, ha saputo costruire l’avere, senza rimanerne ossessivamente prigioniero, ma senza rinunziare alla modalità dell’essere nel rapporto con il mondo, il suo mondo. Eccolo, sempre in prima linea, sempre pronto a mobilitarsi, se chiamato! Senza tirarsi mai indietro o senza mai girare lo sguardo dall’altra parte. E, non da ultimo, mi congratulo con il costruttore editoriale di questa narrazione biografica, un maestro tipografo d’arte, il mio amico Giovanni Petagna, antico sodale e collaboratore di Antonino Stinga, specie nella sua qualità di presidente, per 33 anni, della Società Operaia di Mutuo Soccorso. Collaboratore fedele e silenzioso, un’ape lavoratrice in mezzo a tante cicale, organizzatore coadiuvante di centinaia di iniziative del presidente, in continuità con il padre, anch’egli Antonino, anch’egli maestro tipografo d’arte e anch’egli socio del prestigioso sodalizio, ospitato in uno dei due luoghi del governo nobiliare della nostra città, il Sedil Dominova. Complimenti vivissimi, caro Giovanni, per la Tua paziente tenacia di raccoglitore dei racconti del presidente Stinga: la traduzione scritta di una oralità di memorie sparse, di spicchi di tradizione, di fede, di eventi civici e di aneddoti, anche ridanciani, nonché frammenti preziosi di cronaca familiare, nonché di lessico familiare alla Natalia Ginzburg, di cronaca imprenditoriale e pubblica, che hai saputo editare, con l’aiuto di Tua moglie Giovanna, in maniera organica, con dei flash narrativi, in successione cronologica, ma di facile lettura e di rapida comprensione. Complimenti anche per il corredo fotografico, speculare con il narrato e rappresentativo non solo di momenti privati, ma anche dell’evoluzione, urbana e sociale, della città del Tasso, dall’Ottocento a oggi. Prezioso, preziosissimo, anche sul piano dialettale, quel sapido, ironico e, persino, sfottente rosario di soprannomi, che varrebbe la pena di estrapolare per farne una pubblicazione a parte, talvolta lazzi, facezie, antifrasi e caratteristiche fisiche di antenati, ereditate per li rami. Da fare invidia ai soprannomi siciliani dei personaggi de “I Malavoglia” di Giovanni Verga!
1. ANTONINO STINGA: L’ORGOGLIO DI ESSERE SORRENTINO
Quali sono state le stelle polari per Antonino Stinga? La famiglia, il lavoro giovanile da carrettiere, i cavalli, l’impresa di logistica, i grandi automezzi da trasporto e per la pubblica pulizia, la fama di essere un “Masto”, nel risolvere complessi problemi complessi, la comunità della società operaia, la politica, l’amministrazione comunale, gli appalti vinti, gli immobili acquistati, la cultura contadina dell’hortus conclusus, vero Vincenzo?, e la coltura degli agrumeti sorrentini, specie dei limoni, le bellezze naturali delle nostre colline, della costa e degli anfratti, il fascino femminile, il viaggiare, lo scoprire nuovi mondi e nuove realtà, le zie suore, il culto delle cose belle, la poesia vernacolare, ereditata dalla madre, le canzoni classiche dell’epopea canora partenopea, il mare, certo il mare, soprattutto il mare, le barche, la pesca delle ricciole, i trofei ittici e il suo rientro trionfale a Marina Grande con la stiva ricolma di pescato, da fare invidia ai vecchi pescatori, dai volti bruciati dal sole, stupiti e ammirati da tanta sagacia marinara di don Antonino Stinga. E lui in piedi, ritto accanto all’albero maestro, come un corsaro turco allo sbarco ad Istanbu, nel tramonto sul Corno d’Oro, con le prede conquistate nel Mediterraneo? Ci vorrebbe un’enciclopedia per trattare a fondo di tutti gli “amori” e di tutte le “passioni”, umane, troppo umane, umanissime, ma limpide, di don Antonino Stinga! Nel discernere in questa giungla, non posso trascurare, tuttavia, quelle che mi hanno visto testimone diretto. A partire dal suo esibito orgoglio di essere nato cittadino di Sorrento. Sorrento, Sorrento, Sorrento: l’amore per la sua città è stata una costante del suo agire, dell’agire da cittadino sorrentino, don Antonino Stinga fu Luigi. Un amore totale e totalizzante, senza limiti e senza riserve, che si è inverato e identificato nel suo nome di battesimo, Antonino: il maschio primogenito di Giuseppina Stinga e di Luigi Stinga, al quale fu imposto il nome del nostro Santo Patrono. Nel cuore e nella mente del nostro celebrato amico, quindi, il sentimento della sorrentinitá, l’orgoglio della sorrentinità, il senso esclusivo di appartenenza ad una popolazione privilegiata, abitatrice di una terra baciata da Dio, palpitava, in lui, fin da ragazzo: l’episodio del cappotto ricavato dalla madre da una coperta inglese, per andare ben vestito alla festa patronale, è esilarante e insieme disvelatore di quella devozione antica, mai interrotta, un vincolo vitale. Amante del bel vestire, quasi vanitoso, andare alle liturgie di Sant’Antonino o alla processione del Santo, per il centro storico, era per lui più impegnativo del doversi agghindare per essere ricevuto in una ipotetica udienza alla corte del Re. Quante volte l’ho visto emozionato, quasi commosso, non solo nelle celebrazioni religiose, ma anche quelle civili, nell’approvare le decisioni di giunta, in consiglio comunale, nelle manifestazioni celebrative o nel ricevimento di personalità politiche: cento episodi mi affiorano alla mente! Situazioni emotive che risvegliavano in lui la fierezza della sorrentinità: un uomo rude, abituato a rapporti di lavoro, ruvidi e sbrigativi, si trasformava, si emozionava e rivelava una tenerezza nascosta. Quasi lo stupore fanciullo di trovarsi in quel posto e in quel momento a rappresentare la sua amata città. Glielo leggevo negli occhi quando, in giunta, riferiva dalla soluzione di problemi, legati alla sua delega assessoriale al corso pubblico. Solo in un altro mio amico, purtroppo scomparso, ho avvertito quello stesso sentimento di amore patrio: il compianto onorevole Giannino Casola.
2. IL PARRUCCHIANO, TEMPIO GASTRONOMICO DELLA SORRENTINITÁ
Qualcuno si sarà chiesto come mai questa manifestazione di presentazione della biografia di un personaggio di rilievo della vita economica e anche pubblica della nostra città non sia stata organizzata, come al solito, in una location ufficiale, come, ad esempio, la sala consiliare del Palazzo Municipale, il Teatro Tasso o una sala delle conferenze di un grande albergo, ma in questo giardino incantato del Ristorante O’ Parrucchiano La Favorita del patron Enzo Manniello? Ebbene, troverà la risposta nelle pagine di questo libro memorialistico. Si è trattato non di un ripiego minimalistico, piuttosto di una scelta del cuore, mirata, precisa, voluta dal nostro don Antonino, per diversi ordini di ragioni, tutte affettive e amicali. Questo luogo, nella sua incontaminata bellezza naturalistica, famoso in tutto il mondo, rappresenta il primo e insostituibile “tempio gastronomico della sorrentinità”, custode fedele di una tradizione culinaria, mai tradita, che risale all’Ottocento e al suo fondatore, don Antonino Ercolano. Ne sono testimonianza, nel libro, alcune immagini fotografiche d’epoca, del cuoco, chiamato il Parrucchiano, all’ingresso della Taverna “La Favorita”, costituita allora da due stanze, una cucina. Ora ingresso del ristorante. Una tradizione culinaria ereditata e arricchita dal nipote del fondatore, don Peppino Manniello, un protagonista assoluto dell’imprenditoria turistica di Sorrento, nel campo non solo della ristorazione, ma dell’ospitalità alberghiera di lusso, trasmessa ai figli Antonino, Enzo e Mario e da questi consolidata. E, questo tempio, ormai da anni, è governato dalla esperta guida di Enzo Manniello e dalla sua famiglia. Enzo, un altro protagonista, amico storico di don Antonino Stinga, un padrone di casa incomparabile, della cui classe, garbo, signorilità e arte dell’accoglienza, siamo stati tutti testimoni e beneficiati. E di questo gli siamo grati. A questi tavoli, sedotti dai profumi dei limoni in fiore, si sono seduti personaggi di livello internazionale della politica, dell’economia, della finanza, della cultura, dell’arte e dello spettacolo. In questo luogo fatato, don Antonino ha organizzato momenti conviviali indimenticabili, celebrativi anche del centenario e del 125° della fondazione della Società Operaia. Qui abbiamo insieme concertato l’ospitalità conviviale di congressi e di convegni, organizzati dall’amministrazione comunale, accompagnati da entusiasmanti mandolinate e tarantelle, che coinvolgevano fisicamente gli stupefatti ospiti, ammaliati da tanto travolgente calore umano. Mi ha commosso una foto che ci ritrae mentre consegniamo, Antonino e io, qui, un riconoscimento al pacioso anfitrione e sovrano di questo regno della più genuina tradizione culinaria sorrentina. L’amicizia ultra decennale di Antonino, con don Peppino prima ed Enzo poi, è testimoniata da un gustoso episodio, risalente alle origini. Un appalto di un trasporto di pali, con carretto e cavallo, prima negato, per disaccordo sul prezzo e, successivamente, recuperato, da don Peppino a favore della ditta Stinga, con il suggello di un piatto di cannelloni, per ogni giornata lavorativa. Quanti “miracoli” hanno fatto quei cannelloni, gli strascinati della ricetta del fondatore, una vera leggenda popolare, per suggellare, a questi tavoli, amicizie, intese, affari, amori, eventi e ricordi di turisti americani, inglesi, francesi, tedeschi, olandesi e russi. Tanto per citare i maggiori frequentatori! Sarebbe bello ritrovare la via della pace, in questa guerra sanguinosa e minacciosa, tra Russia e Ucraina, davanti a un piatto di cannelloni del ristorante Parrucchiano di Sorrento! Whay not?
3. LE ORIGINI DI UN CARATTERE: IL LEGAME CON LA MADRE GIUSEPPINA. LA GIOIA E IL DOLORE
Dalla lettura dei ricordi familiari delle origini, legati principalmente al rapporto con il padre Luigi e con la madre Giuseppina, emergono alcuni tratti distintivi del suo carattere: la forza di volontà, lo spirito di sacrificio, la dedizione al lavoro e l’intuizione verso le novità, cioè il guardare sempre avanti, al futuro proprio e di tutta la famiglia, alla crescita, umana e sociale, di se stesso, dei suoi fratelli e, poi, dei suoi figli. Questi tratti caratteriali lo hanno aiutato a superare, fin dall’infanzia, le difficoltà nel rapporto padre-figlio, derivanti da una ferrea educazione, quasi militaresca, impostogli dal padre Luigi, specie nello scontro aperto con il genitore sui mezzi per la gestione del lavoro di trasportatori, passando dalla carretta con uno/due cavalli al primo mezzo a motore. Scontro dal quale uscì “silenziosamente” vittorioso, nonostante fosse costretto a dormire nella stessa camera da letto del padre, che lo chiamava, appunto, “camerata”, e controllava persino i rientri notturni di quel giovane estroverso e innamorato della vita. Nonché i risultati economici dei primi lavori di trasporto, quasi ne fosse incredulo. Ma lo soccorsero quando, alla morte del padre, divenne il capofamiglia, il “padre” dei suoi giovani fratelli e il “marito” di sua madre, donna Giuseppina, punto di riferimento autorevole di tutta la dinastia Stinga. Il legame profondo con la madre Giuseppina, comunque, rappresenta la chiave di volta di tutta la storia di Antonino Stinga. La madre, come àncora di salvezza quotidiana, come consigliera nelle sue scelte di vita, come temperatrice dei suoi impulsi giovanili e dei suoi ribellismi, come consolatrice nei tempi del dolore, ma anche come ispiratrice del suo amore per la poesia vernacolare, per l’arte e per la musica popolare. E del suo amore per la libertà che trovava compimento nel respiro del mare, all’alba o al tramonto, e nella pesca. Il mare, la sua espressione più compiuta, lo iodio marino, come energia propulsiva per riprendere la battaglia della quotidianità e delle responsabilità, che gli erano precipitate sulle spalle. Una madre maestra, dalla cui forza e tenerezza Antonino ricavava l’entusiasmo per affrontare la vita e per affrontare le salite. Una vita oscillante, come un pendolo tra eventi gioiosi ed eventi dolorosi, i quali, questi ultimi, lo hanno segnato profondamente e le cui ferite, che lo addolorano ancora oggi, non si sono mai rimarginate. Innanzitutto, le gioie: la gioia immensa del matrimonio con l’amata moglie Giovanna e la nascita dei suoi figli. La corsa in camion dal nord al sud, per raggiungere la moglie che aveva partorito in sua assenza per lavoro rappresenta una pagina bellissima, una scena da road movie della sua epopea. Come la nascita dell’ultima figlia, dopo anni, che lo illumina: una luce ristoratrice, che lo ha strappato dal buio irrazionale del dolore. Poi, il tempo del dolore: la prova del dolore, per lui, è stata drammatica. La scomparsa prematura di una moglie amatissima e di due figli adorati: Gino e Michele. Si può anche impazzire per tanta sofferenza, ma Antonino ha trovato la forza interiore per fuoriuscire dal tunnel del dolore, con l’aiuto di chi gli è stato e gli sta vicino. Anche se il ricordo delle persone perdute e l’amore per loro, non lo hanno mai abbandonato, intitolando, in loro nome, iniziative culturali, sportive o monumentali. Indimenticabile, per me, l’evento musicale, al Teatro Armida, il “Michele Stinga Tribute”, promosso dall’Associazione “Gino e Michele Stinga”, per celebrare il figlio musicista, che Antonino aveva chiamato a lavorare in azienda, sacrificando la carriera artistica. Memorabili le parole pronunziate da Tullio De Piscopo, in quella emozionante occasione: “La nostra musica sarà tutta per Michele: un grande musicista di talento che seppe trasmettere, con la sua semplicità e il suo sorriso, la gioia della musica”.
4. QUATTRO BEI RICORDI LEGATI A PERSONE CARE PER CONCLUDERE. LA NOSTRA IDENTITÀ ZODIACALE
Caro Antonino,
Ti rinnovo i miei complimenti per questa pubblicazione, che mi ha rinfrescato la memoria sulle tante cose belle che ci hanno accomunato e ci accomunano ancora nel ricordo, con sentimenti di stima, di amicizia e di affetto, che continuano con i Tuoi figli e nipoti, a partire da Giuseppe, ormai saldo al timone della Tua azienda.
Mi piace, in conclusione, evocare quattro momenti, che abbiamo vissuto insieme, momenti legati a persone a noi care.
A) Ricordi quella mattina all’alba, quando ci imbarcammo, per una giornata di mare a pesca, al largo di Capri, sul tuo peschereccio, con Francesco Silvano, amministratore delegato della STET, il mio amico più caro di sempre, e gli regalasti un quadro ad olio paesaggistico del maestro Vincenzo Stinga, tuo fratello? Molte volte, negli ultimi anni, prima della sua scomparsa, mi ricordava di quella giornata con Te a pesca, come una delle più spensierate della sua vita.A testimonianza si portava, dappertutto, anche nello studio di presidente dell’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, il panorama sorrentino da Capodimonte!
B) Ricordi la visita a Sorrento che organizzammo per il ministro Claudio Scajola, la cerimonia nel corso della quale, al Sedil Dominova, gli consegnasti il diploma incorniciato ad intarsio di Socio Onorario, con la medaglia d’oro del centenario? Anche Scajola tiene molto caro, nel suo studio di sindaco di Imperia, quel riconoscimento, a memoria di un soggiorno sorrentino che lo affascinò, anche per merito Tuo!
C) Ricordi la Taverna Azzurra di Marina Grande, gestita dalla simpatica e traboccante signora Maria, dove, d’inverno, amavi giocare a carte con i Tuoi amici pescatori? In quel luogo, a te tanto caro, organizzavi le nostre cene a tre, quando invitavi, per una grigliata del tuo pescato mattutino, il nostro indimenticabile arcivescovo, mons. Antonio Zama, e ascoltavi, a tavola, attento, rispettoso e silenzioso, i nostri conversari, teologici o filosofici, sul Concilio Ecumenico Vaticano II?
D) Ricordi, infine, il caffè mattiniero con mia madre Angela, quando venivi a visitarla a Roma e le portavi, sempre, una cassa di limoni e una di arance del Tuo giardino? Agrumi freschi fino alla soglia dell’estate! Mia madre Ti adorava e Tu adoravi lei, con quello stesso sentimento di amore filiale e di premura che nutrivi verso Tua madre Giuseppina.
Quel sentimento di amore filiale verso le nostre madri che fa parte delle nostre affinità e che ha alimentato le nostre storie! Affinità anche zodiacali, perché siamo nati lo stesso giorno, il 10 di febbraio, Tu del 1931 e io del 1944! Due Acquari, amanti della vita, della bellezza e dell’arte, che non si sono perduti, ma sempre ritrovati!
Auguri, caro Antonino, ancora per anni, sicuri entrambi di ritrovarci insieme anche in quell’altrove, nel quale abbiamo sempre creduto e crediamo!