Ischia, la lettera di un residente che ha dovuto lasciare la propria casa: “L’urlo assordante e ravvicinato della morte”

28 novembre 2022 | 19:30
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 Ischia, la lettera di un residente che ha dovuto lasciare la propria casa: “L’urlo assordante e ravvicinato della morte”

E’ diventata virale sui social la lettera di un residente di Ischia che, a seguito della tragica alluvione, ha dovuto lasciare la propria abitazione: «Sono un residente che ha dovuto lasciare la casa. Uno dei tanti. Mi trovo in albergo e dopo aver ascoltato storie di chi ha perso casa per sempre, mi sono steso sul letto che mi ospita. Nel silenzio della consapevolezza ho iniziato a vedere le foto delle vittime. Più ne fisso gli occhi, più realizzo quanto è inscalfibile la tragedia plasmata da quel fango.
Se la morte è vista da lontano, non ne si percepisce la lacerazione della carne. Quando, invece, scorre sotto casa, trasportando tutta quella materialità che un secondo prima avremmo etichettato come preziosa, allora la mente si ustiona.
Fermiamoci, tutti, a intuire, inevitabilmente, che ciò che conta sarebbe stato aver avuto la possibilità di uscire dal mio cancelletto e afferrare con le braccia quei bimbi, quei ragazzi, portare dentro casa quelle persone, mettere su il caffè e dire: “Tranquilli, siete al sicuro, aspettiamo che spiova”.
Si sente l’urlo assordante e ravvicinato della morte sapendo che questa è soltanto una fantasia. Non berranno nessun caffè.
Quel fango è stata l’ultima bibita per loro, l’ultimo latte per quei bambini. Abusivismo, colpe, politica, chiasso. Riesco solo a pensare a quei bimbi che pochi giorni fa ridevano e saltellavano sul lettone di mamma e papà. Ritratto perfetto di una routine mattutina che l’alba di una lava ha interrotto per sempre.
Sapete cosa accade quando si muore? Non si parla più. Le parole inutili sono solo l’eco di quel roboante crollo. Un eco che sta interrompendo il nostro silenzioso abbraccio a parenti e amici delle vittime, distrutti dallo strazio. Oggi muore una collettività.
Muore, in attesa di rinascere, nell’energia del ricordo di quei volti sorridenti, ormai impietriti dall’inconcepibilità.
Per ora, almeno per ora, mettete su un caffè e una tazza di latte caldo. È tempo di stendere le braccia per afferrare quei corpi, asciugarli, riscaldarli e mantenerli per sempre in vita, lì dove non piove, dove ogni mattina si salta sul lettone di mamma e papà, dove ci si innamora ogni giorno e si invecchia felici, dove tutto ciò non è mai accaduto, dove tutto ciò non accadrà mai, lì, proprio lì, nel più profondo di ognuno dei nostri cuori».