Sandro De Palma apre PianoSolo Festival

18 novembre 2022 | 15:55
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Sandro De Palma apre PianoSolo Festival

Di Olga Chieffi

La casa comunale apre il suo “cuore” al pianoforte, grazie alla visione e al fine sentire musicale dei pianisti Paolo Francese e Sara Cianciullo, i quali insieme ad Ermanno Guerra, hanno donato alla cittadinanza ben tredici edizioni del PianoSolo Festival, e inaugureranno la XIV edizione di un percorso che ha salutato partecipazioni prestigiose, prime esecuzioni, attenzione alle giovani promesse, incisioni, tra i marmi della storica sala. L’inaugurazione del cartellone, che si avvale dell’esperienza della storica ditta “Alberto Napolitano”, e il supporto promozionale della Scabec, fissata per venerdì 18 novembre alle ore 19, è stata affidata al magistero italiano di uno degli eredi della scuola di Vincenzo Vitale, Sandro De Palma, il quale ha avuto, poi tra i suoi maestri, Nikita Magaloff, Piero Rattalino e Alice Kezeradze-Pogorelich. Al pubblico di Piano Solo dedicherà i Drei Klavierstücke D.946 di Franz Schubert. Aprirà il recital da solista, eseguendo i Drei Klavierstuke D.946, composti nella primavera del 1828, in mi bemolle minore, mi bemolle maggiore e do maggiore. I tre pezzi sono certamente accostabili agli Improvvisi op. 90 e op. 142, sebbene ne differiscano in quanto formalmente un pò più complessi. La somiglianza è stilistica ed ideologica insieme, perché negli Improvvisi come nei Drei Klavierstücke Schubert si rivolge al mondo degli esecutori dilettanti, e sta attento a limitare il più possibile la difficoltà tecnica e concettuale delle composizioni. Compare qui, marginalmente, l’aspetto Biedermaier dell’opera pianistica di Schubert, cioè il momento del tentativo di un rapporto positivo con la società che lo circonda. Perciò non sono molti i critici che apprezzano interamente i tre pezzi, e persino uno schubertiano per eccellenza, l’Einstein, dice, con una piccola punta di fastidio, che il primo è un pezzo «alla francese», soprattutto a causa della parte centrale, «Romanza nel tipico stile di Kreutzer o di Rode», il secondo «una Cavatina Veneziana un pò languida, nello stile tipicamente all’italiana», e il terzo è «all’ongarese». Osservazioni giustissime, che svelano un momento significativo della poetica di Schubert, ma che non giustificano un giudizio limitativo né, tanto meno, negativo. Basti infatti osservare come il tentativo di piacere al lettore, della prima, terza e quinta parte del secondo pezzo, sia annullato dalla seconda e dalla quarta parte (lunghissima, questa, e chiaramente rapportabile a certi tratti della Sonata in si bemolle maggiore); analogamente, la vivacità esteriorizzata della prima e terza parte del terzo pezzo è contraddetta dalla ossessiva monotonia ritmica della parte centrale. In realtà, come nei poeti inglesi del Seicento e come spesso in Schubert, l’accostamento non mediato di banale e di sublime fa scattare nell’ascoltatore il senso di una dimensione metafisica della realtà. A seguire, la Sonata in re minore op. 31 n. 2 (La tempesta) di Ludwig Van Beethoven, che secondo l’ allievo e amico Anton Schindler, quando gli venne chiesto quale fosse il significato di questa Sonata, Beethoven avrebbe risposto: «Leggete La tempesta di Shakespeare», un’ottima risposta, proprio perché è vaga e non è di grande aiuto per chi vuole assolutamente trovare un “significato” extramusicale a questa Sonata. La tonalità è la stessa di quella che Mozart aveva usato nel Concerto per pianoforte e orchestra K 466, una delle sue opere più oscure e demoniache, e che Beethoven impiegò molto raramente, e solo in composizioni di particolare rilevanza, quali questa Sonata e la Nona Sinfonia. La sonata, composta tra il 1801 e il 1802, gioca molto sui contrasti e contiene tutti i caratteri dell’opera di Beethoven; all’esecutore presenta numerose difficoltà, quali l’incrocio delle mani, l’accompagnamento in terze della sinistra e i ribattuti senza doppio scappamento (meccanismo che consente di evitare il ritorno completo del tasto). I contrasti sono immediatamente evidenti e caratterizzati dalla frequente alternanza di tratti lenti e veloci: l’arpeggio del Largo e l’inquietante Allegro. La ripresa espone frammentarie idee melodiche a tinte drammatiche, foriere di sconosciuti, prossimi accadimenti; tensione emotiva che tende a smorzarsi in una melodia semplice. L’allegretto finale, energico e ossessivo, è un arabesco di idee che, come in un inseguimento, si accavallano senza trovare requie. Czerny suppone che Beethoven abbia tratto ispirazione da un galoppante cavaliere passato sotto le sue finestre. Seconda parte della serata interamente dedicata a Fryderyk Chopin, con due notturni op.27, effusione dell’animo priva di qualsivoglia impennata razionale, secondo l’arte, appresa dagli operisti italiani, di cesellare ed abbellire la melodia, tre studi dall’opera 25 pagine chiave nella storia dell’evoluzione del linguaggio pianistico, la difficoltà tecnica e lo sforzo e la fatica necessari al suo superamento diventano manifestazione esteriore di una tensione e una sofferenza interiori, ma al di là della tecnica e del virtuosismo puri, questi pagine si rivelano, anche grazie a diteggiature spesso ardite e sempre originali, straordinari saggi di ricerca sul timbro. Finale con lo Scherzo n.1 in si minore op.20, in cui all’idea di «levità», di gioco e sorriso che, pure, è insita nel termine stesso, il compositore polacco s’abbandona alla réverie dolente o nostalgica o alla fosca visione drammatica. La pagina, che è il primo dei quattro scherzi, è stata scritta tra il 1831 e il 1832 e dedicata a Thomas Albrecht.

L’opera prende la forma ABA-Coda e inizia con due accordi in fortissimo. Seguono una serie di esplosioni drammatiche in si minore ad incredibile velocità. Alla metà del pezzo, porta in una sezione più lenta in si maggiore; finalmente si sente una melodia tangibile nel registro medio, circondato da accompagnamento sia nella mani in alto a destra e sinistra. L’area principale B si dissolve appena l’armonia cambia misteriosamente di carattere dominante. I due accordi dell’inizio ricompaiono, sovrapposti a tracce della sezione centrale. La coda virtuosistica è simile all’approccio verso il Molto Più Lento, ma leggermente diversa. Questa sezione finale incorpora arpeggi vertiginosi su e giù per quasi tutta la tastiera, sospesa da una serie culminante di nove accordi di dieci note. Dopo la risoluzione e una ascesa cromatica rapida nel corso di quattro ottave in entrambe le mani, la coda e il pezzo arrivano a una conclusione trionfale attraverso un audace cadenza minore.