Voucher, la risposta del governo Meloni alle rimostranze dei lavoratori stagionali del turismo
Dopo il preannunciato dimezzamento del sussidio Naspi un’altra tegola cade su di una categoria che ,con professionalità e competenza, mantiene un comparto rappresentante il 13% del pil nazionale e che da tempo sta cercando in modo invano di essere regolarizzata e presa in seria considerazione da vari governi. Nonostante la promessa dei rigidi controlli, come in passato, difficilmente tale strumento potrà essere a vantaggio dei lavoratori ed incentivare le giovani generazioni ad intraprendere determinati percorsi.
Nella prima Legge di Bilancio, varata in questi giorni dal governo Meloni, come era prevedibile, nessun provvedimento atto al prolungamento della stagione turistica ed invogliare gli imprenditori a misurarsi anche con il periodo invernale, almeno fino oltre Natale, in modo da assicurare tra gli otto e i dieci mesi di lavoro a coloro che sono impiegati in tale settore. Dopo il preannunciato dimezzamento della Naspi, il nuovo Esecutivo sembra andare ancora una volta contro una categoria che da tempo sta cercando in modo invano di essere regolarizzata e presa in seria considerazione dai vari governi che si sono succeduti negli ultimi lustri. Non solo, nel merito, l’attuale premier sembra che voglia riportare le lancette dell’orologio indietro nel tempo con la introduzione dei buoni lavori o voucher. Un provvedimento che avrebbe come obbiettivo remunerare i lavori in agricoltura e tanti altri impieghi saltuari e temporanei ma soprattutto dare una soluzione alla crisi registrata negli ultimi tempi nel settore del turismo, dovuta alla mancanza di lavoratori. Criticità che come è noto, scaturisce da altre ben note situazioni, in particolare come la mancanza di applicazione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per i lavoratori del comparto turistico. Uno strumento, quest’ultimo, troppo spesso ignorato dagli imprenditori del settore e che disciplina i rapporti di lavoro tra le aziende e il relativo personale dipendente, sia esso a tempo determinato, indeterminato o in apprendistato. Il voucher, invece, è un sistema di pagamento che i datori di lavoro possono usare nei casi di lavoro accessorio, cioè svolto in modo discontinuo, al di fuori di un contratto di lavoro normale. Tale strumento, inoltre, è esente da tasse per chi li riceve come pagamento ed è accessibile anche per chi è già in pensione. Il datore di lavoro li acquista dall’Inps, oppure in banca, alle Poste e finanche in tabaccheria, pagando un certo prezzo, ad esempio 10 euro. Dopo di ché ha un margine di tempo prestabilito per usarli nel pagare un lavoratore. Il vantaggio per il datore di lavoro è che, nei rapporti di lavoro regolati con i voucher, c’è la copertura Inail per infortuni, ma non il diritto a malattia, maternità, disoccupazione o altre forme di welfare lavorativo, quindi il pagamento di contributi da parte dell’azienda è ridotto. Insomma i vantaggi sembrerebbero andare in una sola direzione in quanto nonostante fossero stati fissati anche limiti di compenso, prima a 5mila e poi a 7mila euro, lo strumento dei voucher è stato nel corso del tempo ampiamente criticato in particolar modo perchè in molti casi veniva utilizzato senza rispettarne i requisiti, in sostituzione di contratti regolari e con più tutele per i lavoratori . Spesso, come la storia insegna,nonostante la tracciabilità digitale si sono mascherati abusi di ogni tipo: dai fuori busta, alla dipendenza mascherata, al nero in particolar modo nel turismo e nell’agricoltura.
Introdotti per la prima volta con la legge Biagi del 2003(governo Berlusconi 2), con i voucher l’idea di fondo era quella di regolamentare alcune forme di lavoro che non potevano essere ricondotte né alle prestazioni subordinate né a quelle autonome. Una serie di limiti garantiva l’attuabilità di tale strumento. Ovvero, ogni voucher legato a un committente non poteva superare i 30 giorni di tempo e la sua erogazione era possibile solo per alcune categorie di lavoratori, come studenti e pensionati. Nel 2008 i voucher erano 535 mila e solo per i lavoretti saltuari e occasionali, successivamente, con la Legge Fornero del 2012, se ne ampliò l’uso a tutti i settori e ad ogni tipologia di lavoratore, alzando la soglia a 5mila euro all’anno. Con il Jobs Act del governo Renzi che ne aveva allentato i requisiti e alzato la soglia annuale a 7mila euro si realizzarono due tipi di voucher: uno per i lavori domestici, uno per le aziende. In tale periodo i lavoratori che “dovettero usufruire” dei voucher ammontarono a 1,8 milioni, la maggior parte del comparto turistico e dell’agricoltura. In sintesi, nel giro di quasi dieci anni, sono stati venduti in Italia 433 milioni di voucher da 10 euro lordi all’ora (7,5 al netto di contributi, Inail e spese). I voucher furono aboliti nel marzo 2017, per evitare il referendum conquistato dalla Cgil con 3 milioni di firme, ammesso dalla Consulta e fissato per il 28 maggio di quell’anno. Toccò al subentrato governo Gentiloni, abrogare i buoni per decreto prima che lo facessero le urne. Nel 2018,il governo Conte 1 con il decreto Dignità, varò una forma ridotta di voucher, utilizzabili nei settori agricolo e turistico solo dalle piccole aziende con non più di 8 dipendenti.
Ora l’attuale governo, con la Legge di Bilancio, ha deciso di ripristinare tale strumento nel 2023, ampliando anche la platea prevista dall’attuale contratto di prestazione occasionale e con un valore nominale di 10 euro lordi all’ora, ossia 7,50 euro netti . Secondo la leader Meloni tale provvedimento, rappresenta una misura utile a regolarizzare il lavoro stagionale e occasionale naturalmente gestito da controlli rigidi. Ma di sicuro non rientra in quei provvedimenti atti ad incentivare le nuove generazioni ad intraprendere o ad avvicinarsi ad attività come l’agricoltura e il turismo. Nel frattempo Confesercenti ha chiesto che tale misura venga estesa a tutto il comparto del turismo, non solo alle strutture ricettive e alla ristorazione, mantenendo quella flessibilità necessaria per intercettare e gestire i picchi di lavoro inattesi che caratterizzano settori come, appunto, il turismo. Ora bisognerebbe spiegare quali saranno “ i controlli molto rigidi per evitare storture “ propagandati dal governo affinché, oltre al CCNL, un tale strumento venga applicato rispettando le norme e non come successo in passato quando in vari casi, camerieri, chef, facchini, giardinieri,autisti etc che sebbene durante gli anni precedenti avevano potuto usufruire di un contratto continuo seppure stagionale (dovuto anche ad una certa fedeltà negli anni ad una azienda), invece si sono visti assumere con i voucher. Ora, dopo l’abolizione del Reddito di Cittadinanza, che in tanti casi aiutava anche i lavoratori stagionali, il ventilato taglio alla Naspi, si spera una buona volta che una intera categoria, seppur da sempre mal rappresentata, trovi il coraggio e si faccia valere affinché la bilancia non continui a pendere sempre dalla stessa parte. – 24 novembre 2022 – salvatorecaccaviello