Conosco persone sotto i trent’anni che aspettavano “Avatar, la via dell’acqua” come una rivelazione messianica perché il tempo regge la propria mitologia. E quindi siamo andati a vederlo questo sequel che come tutti i sequel non è proprio molto conseguenziale e costringe il creatore James Cameron a ricordare ai nuovi spettatori tutto l’ambaradan che ha portato l’avatar dell’ex marine Jake Sully (Sam Worthington) a diventare il capo dei Na’Vi dopo avere sposato la figlia del Capo, Neytiri (Zoe Saldana). La famiglia si è poi allargata con i tre figli, Neteyam, Lo’ak e Tuk, ed in più c’è l’adozione di Kiri, figlia dell’Avatar Na’vi della defunta Grace Augustine. Dulcis in fundo c’è Spider, figlio di Miles Quaritch, rimasto orfano del padre biologico. Ma proprio il colonnello Quaritch (Stephen Lang) ritorna sotto forma di Avatar e dà la caccia finale ai Sully. Già qui – per chi non abbia visto Avatar 1 – e non sappia cos’è un Avatar…, notte fonda: perché si accenna solo al conflitto inziale che ha visto combattere il popolo del cielo – in realtà i marines terrestri braccio armato di una spedizione scientifico-economica con gli indigeni del meraviglioso pianeta Pandora, sorta di Gea ecosostenibile. La seconda parte dopo il preludio, invece, è bella scenograficamente per la nuova avventura lagunare dei Sully che fuggono dalla guerra. In realtà Avatar 2 è il trionfo del legame familiare – e della ricerca dell’identità dei piccoli – e dell’integrazione, figlia della necessità. Insomma un prodotto politicamente corretto che farà innamorare altri ragazzi che aspetteranno il sicuro sequel – “Avatar, la via della neve”? – altri 13 anni, per rivedere il prossimo. Così è se a loro pare: in tempi in cui l’epica è confinata ai documentari la serialità differita è l’unica forma di attesa-avvento che questa temperie concede agli astanti.
Vincenzo Aiello