Racconto dei miracoli, delle leggende e degli aneddoti di Sant’Agnello”. In parrocchia dopo il Vespero
Dal post della Parrocchia di Sant’Agnello:
Oggi, 6 dicembre, vi aspettiamo per il secondo giorno di Novena in onore del nostro amato patrono Sant’Agnello.
Ore 18:30 preghiera del Rosario
Ore 19:00 celebrazione del Vespro e benedizione Eucaristica
A seguire “Racconto dei miracoli, delle leggende e degli aneddoti di Sant’Agnello”,
INCONTRO CON I BAMBINI DELLE SCUOLE ELEMENTARI.
Un’iniziativa artistico-letteraria coinvolge i ragazzi delle medie e i bambini delle elementari che nei giorni 6 e 7 dicembre sono invitati a consegnare i propri lavori su Sant’Agnello alla fine del Vespro
Dalle 17:30 alle 19:00 sarà inoltre possibile visitare la MOSTRA FOTOGRAFICA allestita in Congrega allestita da Franco Gargiulo e Lucio Esposito grazie anche al contributo di tanti cittadini che hanno messo a disposizione le loro foto.
Sentiamoci chiamati da Sant’Agnello, RICORDANDO e RACCONTANDO la festa, la devozione e la fiera, RACCORDIAMO la nostra vita di credenti a quella del Santo Abate.
Racconto dei miracoli, delle leggende e degli aneddoti di Sant’Agnello.
riportiamo dal sito Il meglio di Sorrento, curato da Fabrizio Guastafierro, stralci della tesi di laurea di laura Parlato dedicata a Sant’Agnello.
La fonte più antica ed attendibile per la ricostruzione della vita di Sant’ Agnello è il libellus miraculorum scritto da Pietro, suddiacono della chiesa napoletana; lo stesso che scrisse gli ultimi miracoli di Sant’ Agrippino.(1)
Domenico Mallardo, il quale si occupò più volte dei miracoli di Sant’ Agnello, ritenne che questa raccolta fosse stata compilata intorno ai primi decenni del secolo X.(2) Un esauriente elenco dei codici contenenti l’ opera di Pietro suddiacono è in D. Mallardo, Ordo ad ungendum, Neapoli 1938, pagina 34.(3)
Tutte le biografie di Sant’ Agnello che, in seguito, furono scritte si servirono sostanzialmente del citato libellus miracolorum contaminando le notizie offerte da quello con le informazioni, più o meno esatte, desunte dalla leggenda e dalla tradizione popolare.
La prima di tali biografie fu la Vita et Miraculi de Sancto Anello… nuovamente da Latino in Volgare Traducta, stampata in Napoli per maestro Ioanne Sulsbach Alemano, Nel anno M. D. XXXII scritta, come c’ informa il Vivaldo, da P. Don Giovanni Dutta, Canonico Regolare di Sant’ Agostino, della Congregazione cioè che allora officiava la Chiesa di sant’ Agnello in Napoli.
Di un qualche interesse è quindi l’ opera di David Romeo, De Septem Urbis Neapolis tutelaribus, Napoli 1571.
Più importante è l’ opera di Paolo Regio, Vescovo di Vico Equense, il quale nella Vite dei Ss. Patroni e Protettori di Napoli inserì la vita di Sant’ Agnello Abbate et confessore. La prima edizione di questo libro fu ristampata a Napoli nel 1579 con alcune correzioni e aggiunte. Di questo lavoro, come del precedente, il Padre Bonaventura Gargiulo avverte che “debbonsi leggere con circospezione critica”.
La serie delle biografie romanzate continuò con la Historia amplissima della Vita e Miracoli di Sant’ Agnelo Abate e difensore di Napoli, Napoli 1596, scritta da Martino Alfonso Vivaldo. Il Vivaldo, però ripetè pedissequamente il Dutta.
A questo punto della vicenda, la tradizione riporta i primi due miracoli del Santo. Il primo è veramente singolare ma i suoi particolari sono incerti e frutto del folclore e della leggenda. La versione più comune è quella secondo la quale il giovane Agnello teneva un piccolo allevamento di polli a vantaggio dell’ ospedale che egli stesso amministrava. Uno di questi polli fu rubato da un giovane. Agnello, colpito dal peccato di cui il ladruncolo si era macchiato per aver tolto ai poveri malati una parte del cibo destinato al loro sostentamento, si recò dal giovane e lo esortò a restituire il maltolto. Il furfante, però, reagì dando del bugiardo ad Agnello e, adiratosi, lo colpì al volto con un pugno. Il Santo si rimise allora alla giustizia divina e il Signore non lasciò impunito l’ oltraggio: il colpevole non potè più articolare il braccio, i suoi occhi, accesi di furore, non riuscirono più a vedere e, quasi a manifestare la sua colpevolezza, gli crebbero sul dorso delle pene simili a quelle della gallina rubata. Il ladro, atterrito da quella terribile punizione, corse a gettarsi ai piedi del Santo il quale lo perdonò ed ottenne dal Signore che fosse liberato dal castigo.(3) Un’ altra versione narra che l’ episodio avvenne l’ 8 settembre, giorno in cui si celebrava la festa dell’ ospedale; il colpevole era un parente di Agnello il quale rubò con la complicità di amici, più per scherzo che per avidità. Altri precisano che le galline rubate erano più d’ una e che il furto fu scoperto da una donna, Anna, di servizio all’ ospedale. Agnello, avvertito, conobbe per divina rivelazione il colpevole e potè sorprenderlo quando credeva di averla fatta franca. Il ladro, sorpreso, reagì con improperi e colpì il Santo con un pugno che causò la caduta di un molare. Questa versione sarebbe avvalorata da un dente molare o sarebbe stata creata per giustificare il dente molare conservato come reliquia del Santo in un reliquiario che porta la scritta: “Dens molaris S. Agnelli Abatis”. Il particolare che il colpevole era parente di Agnello per parte paterna si riallaccia ad un’ altra tradizione riferita dal Panigada(4) secondo la quale i componenti della famiglia Soderico e Poderico, parenti del Santo, si recavano ogni anno, alla vigilia della festa del Santo, ad offrire alla chiesa di Sant’ Agnelo Maggiore a Napoli cento libbre di cera. L’ offerta doveva essere pagata per sfuggire al castigo che aveva colpito il colpevole e che si sarebbe ripetuto in tutti i suoi discendenti qualora l’ avessero trascurata.
Il secondo miracolo di Sant’ Agnello si verificò in circostanze drammatiche, poco dopo la fondazione dell’ ospedale. Verso la metà del secolo VI tutta l’ Italia era preda delle scorrerie dei barbari e anche Napoli, nel 553, si trovava in una situazione drammatica poiché ai piedi del Vesuvio le orde dei Goti, guidate da Teia, si erano scontrate con l’ esercito bizantino. Tutti erano convinti che la città sarebbe stata invasa dall’ esercito vincitore e avrebbe dovuto patire le stesse sofferenze causate da Belisario (553) e da Totila (554). In quel frangente di terrore e ansia i Napoletani ricorsero al Santo affinché la città fosse risparmiata. Agnello rassicurò i suoi concittadini e, infatti, le sue preghiere raggiunsero lo scopo: terminata la battaglia, i due eserciti si allontanarono senza arrecare danno alla città.
Padre Isidoro e Monsignor Gargiulo (5) non dubitano dell’ autenticità del miracolo: esso di legge anche nell’ ufficiatura dell’ Ordine benedettino ma non si trova nell’ ufficiatura del Santo.
Possiamo essere certi, per cominciare, che Sant’ Agnello non era ancora il patrono riconosciuto delle partorienti quando Pietro, suddiacono della Chiesa Napoletana, scrisse il succinto ma esauriente Libellus miracuolrum S. Agnelli, nei primi decenni del X secolo. Fra i 24 miracoli elencati da Pietro non se ne legge infatti alcuno legato alle partorienti: tutti i miracoli consistono nella guarigione di ammalati, invalidi, ossessi, ecc. (2).
Poiché non è pensabile che l’ attentissimo Pietro suddiacono abbia in qualche modo trascurato un aspetto così importante dell’ attività miracolosa del Santo, abbiamo la certezza che, nel X secolo, Sant’ agnello non era ancora il Santo protettore delle partorienti. Si può addirittura affermare che, grazie alla testimonianza a silentio di Pietro Suddiacono, possediamo un terminus post quem (il secolo X) che delimita il periodo di tempo durante il quale Sant’ Agnello assunse il patrocinio delle gestanti.
E’ stato in questo lasso di tempo, infatti, che il vescovo Paolo Regio, elencando alcuni miracoli di Sant’ Agnello, molti dei quali attinti dal Libellus miraculorum di Pietro suddiacono, accenna al fatto che alcune donne, non avendo voluto onorare la festività del Santo, furono duramente punite con la nascita di figli deformi(3). Ciò è segno evidente che la visita di Sant’ Agnello e l’ astinenza dal lavoro, nel giorno della sua festa, erano già considerate un dovere per le donne in stato interessante.
Ci si può chiedere fino a che punto si deve dar credito all’ autore dei miracoli di Sant’ Agnello, Pietro suddiacono. Indiscutibilmente egli concede moltissimo alla retorica, al punto di mettere in bocca ai suoi personaggi lunghi discorsi in versi. Tuttavia secondo il Mallardo(6), la verità del nocciolo dei suoi racconti, cioè il ricorso degli ammalati al Santo e la prassi da essi seguita, non può essere messa in dubbio.
Pietro non ha dunque inventato, né esageratamente caricato le tinte. Egli rispecchia, nel suo stile, le convinzioni dei miracolati. Come abbia potuto raccogliere quella di cui non era stato un testimone, quelle di personaggi non più viventi ai suoi tempi o con cui non poteva mettersi in contatto, non è facile stabilire con certezza.
Ma depone a suo favore il fatto che parecchi dei miracolati o sono molto vicini ai suoi tempi o sono persone ben note e il fatto che egli di essi quasi sempre dà il nome e la patria. Di due miracoli Pietro si presenta addirittura come testimone(7) e per altri fa appello a persone presenti. Scettici e schernitori della credulità nei miracoli dei santi ne troviamo nei Miracula di Sant’ Agnello come in quelli di altri santi. Nei primi, anzi, lo scettico che deve ricredersi è proprio un eccelsiastico. “Diremo che sono delle messe in scena degli agiografi?” si chiede Mallardo(8).
A questo punto, l’ analisi fin qui condotta ci spinge a paragonare la dinamica dei miracoli di Sant’ Agnello(9) con la dinamica dell’ incubazione classica. Quella pratica, diffusa nel mondo mediterraneo antico, permetteva, secondo l’ ideologia greca, a chi dormiva sulla nuda terra di avere sogni premonitori. Nel santuario di Dodona la consultazione dell’ oracolo era fatta da sacerdoti che passavano la notte dormendo sul nudo suolo. Nei famosi santuari del dio medico Esculapio – ad Epidauro, nell’ isola di Cos, e a Roma sull’ isola Tiberina – i malati cercavano la guarigione nell’ intervento del dio che nel sogno rivelava la cura adeguata o semplicemente prometteva il miracolo.
“Che la prassi seguita a Napoli, nei secoli VIII – X. Dagli ammalati che ricorrono all’ intervento del Santo, nella sua chiesa e, quando è possibile, presso la sua tomba, presenti analogie troppo stringenti con l’ incubazione classica, è cosa che non si può mettere in dubbio”