Ieri martedi 17 gennaio 2023, il Comune di Vibonati ha celebrato il Santo Patrono Sant’Antonio Abate

18 gennaio 2023 | 18:13
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Ieri martedi 17 gennaio 2023, il Comune di Vibonati ha celebrato il Santo Patrono Sant’Antonio Abate

Dal Cav. Attilio De Lisa che lavora presso la Direzione Sanitaria del Presidio Ospedaliero dell’immacolata di Sapri, onora da Sanza della diocesi di Teggiano-Policastro appartenente quindi da dove vive di cui ogni anno come ieri sono state celebrate 3 Sante Messe nella Cappella di Sant’Antonio Abate quindi alle ore 9.00, 11.00 e 17.00 presiedute dal Parroco don Giuseppe Spinelli.

Il culto del taumaturgo è più vivo che mai nel borgo del Golfo di Policastro dove nel 2007 furono esposte le sue reliquie. Ieri Festa Patronale di cui alle ore 11.00 prima Solenne messa pontificale celebrata dal nostro Vescovo S.E. Mons. Antonio De Luca insieme al Parroco don Martino Romano e dopo ore 12.30 seguita Solenne processione per le vie del paese accompagnata dalla “Grande Banda Musicale dell’Accademia Nazionale Eleatica” da Caprioli (Sa) in Piazza Nicotera oltre alle ore 15.00 e 20.30 Esibizione pirotecnica. Il Cav. Attilio De Lisa ricorda la sua presenza sia nel 2016 con la visita del Cardinale Crescenzio Sepe attuale Arcivescovo emerito Metropolita di Napoli che in altre occasioni con le Reliquie insieme al Vescovo diocesano di cui dal 2020 è Referente di S.E. alla Formazione della Cultura Sociale.
Quindi a Vibonati, antico ed incantevole borgo collinare affacciato sul Golfo di Policastro, il mito è Sant’Antonio Abate, la cui festa cade il 17 gennaio di ogni anno. Il suo culto, mai cancellato dalla “spugna” del progresso, conserva ancora intatta la sua carica di religiosità e anima, proprio in questi giorni, la vita di una comunità ancora tenacemente legata alle proprie radici, con usi, costumi e tradizioni che si tramandano da una generazione all’altra nel solco dell’appartenenza alla comune identità. Sant’Antonio Abate, a quanto riferiscono le fonti, fu una delle più grandi e popolari figure dell’ascetismo cristiano. Visse, da anacoreta, nel deserto egiziano, sopportando con abnegazione il difficile clima e le mille “tentazioni” del demonio, che Brueghel il Vecchio doveva poi immortalare in uno dei più bei dipinti della pittura fiamminga.
Eppure il Santo riuscì a vivere ben 106 anni. Le sue reliquie, rinvenute nel 561, presso le rive del Mar Rosso, furono prima trasportate ad Alessandria d’Egitto, poi a Costantinopoli e, intorno al Mille, per opera di un nobile francese, nel delfinato francese di Vienne. Nel 1491, infine, giunsero ad Arles, dove attualmente sono conservate nella chiesa a lui dedicata. Nell’iconografia sacra Sant’Antonio Abate è rappresentato come un vecchio canuto, col saio, il cappuccio, il bastone e altri due “strani” elementi: il fuoco e il porco. A spiegarne il significato ci aiuta la storia. Nel 1297 i benedettini francesi fondarono un ordine monastico-ospedaliero, gli Antoniani, che si dedicarono alla cura dei malati di “herpes zoster” e di altre simili infiammazioni della pelle, molto diffuse all’epoca. Le eruzioni cutanee causate da queste affezioni, veri e propri “fuochi” che straziavano la carne, furono presto indicate dalla pietosa fantasia popolare come “fuoco di Sant’Antonio” ed il santo invocato come….. pompiere e protettore. Gli Antoniani accoglievano i malati nei loro monasteri-ospedali e ne lenivano le sofferenze spalmando sulla pelle infetta massicce dosi di grasso di porco, ma, ovviamente, per poter assolvere alla missione, avevano bisogno di gran numero di maiali. A provvedere fu la carità del popolo: gli animali, contraddistinti da una “T” e da una campanella legata ad una orecchia, potevano liberamente vagare per le strade e nutrirsi del cibo offerto dal popolo che, in cambio, all’occorrenza, riceveva piccole dosi di lardo benedetto. Qualche secolo più tardi, quando il “fuoco di Sant’Antonio”, con le migliorate condizioni di vita, cessò di tormentare le popolazioni, anche l’antico simbolismo del fuoco e del porco subì una radicale trasformazione, per cui il “fuoco” diventò quello del focolare domestico e il “porco” l’animale domestico per eccellenza. Furono i monaci basiliani ad introdurre a Vibonati il culto di Sant’Antonio Abate e la popolazione, affascinata dalla figura e dalla vita del grande taumaturgo, lo elesse a protettore del paese.
Nel 2007, per concessione del Santo Padre Benedetto XVI, l’urna con le reliquie del grande taumaturgo lasciarono eccezionalmente Arles per raggiungere prima Ischia e poi Vibonati, dove furono esposte alla venerazione dei fedeli, dal 21 al 28 gennaio, per far quindi ritorno in Francia. Un evento storico indimenticabile per i vibonatesi, che festeggiano ogni anno con particolare solennità e intensità di fede il loro patrono e protettore. La notte tra il 16 e il 17 gennaio spari di mortaretti e suono di campane a stormo scandiscono, ad intervalli di un’ora, la placida vita del paese, mentre nelle piazzuole, nei vicoli e nei cortili si animano decine e decine di falò. La mattina del 17 la suggestiva benedizione degli animali sull’ampio sagrato della chiesa e la consacrazione al Santo dei bimbi del paese, vestiti, per l’occasione, con l’abito monacale. La ricorrenza, che dà inizio al periodo del Carnevale, oggi più che mai, serve anche da stimolo come “turismo di ritorno” per i tantissimi emigrati ed i loro familiari. Ricca, varia e succulenta la gastronomia che si avvale della straordinaria bravura delle massaie del paese: ottimi i “migliatieddi”, intestini di capretto e di agnello, arrotolati e arrostiti sulla brace, arricchiti di mille aromi; delizioso il ragù di maiale con cotiche e salsiccia fresca; insuperabili “tracchiolelle” e ”sanguinaccio” dolce. E poi ancora soppressate e capicolli, zeppole, struffoli e fichi secchi “gnettati”. Ma, attenzione, è tassativamente proibito pranzare prima della fine della processione che si snoda, sin dal mattino, per le strade e i vicoli del paese e che si conclude con il tradizionale, grande spettacolo dei fuochi d’artificio. “’U viecchiu” (come affettuosamente viene chiamato il Santo) impone le sue regole ferree e i vibonatesi, almeno per questa volta, sono ben contenti di…tirare lo spago.