Ravello, rischia la chiusura il Monastero di Santa Chiara. Le tre suore rimaste attendono l’intervento di Papa Francesco
Ravello. Il Monastero di Santa Chiara, dopo oltre sette secoli di vita claustrale, rischia di essere chiuso per sempre.
Tra le sue antiche mura sono rimaste oramai solo tre suore. Tra di loro la 97enne suor Maria Cristina Fiore, originaria di Foggia ma a Ravello dal 1955 che, a causa delle proprie condizioni di salute, viene accudita con amore dalle altre due consorelle, l’indiana Suor Angela Maria Punnackal e la 46enne suor Massimiliana Panza di origini nolane.
Il complesso monastico è stato fondato nel 1297 e può ritenersi una delle più antiche fondazioni francescane femminili in assoluto, risalendo il primo insediamento nella seconda metà del XIII secolo ossia solo qualche anno dopo la morte della santa di Assisi.
Dopo alterne vicende che hanno visto i superiori tendere a bloccare qualsiasi attività delle monache che avrebbe potuto anche solo potenzialmente rivitalizzare il monastero, il Dicastero per la vita consacrata (l’organismo della Curia romana che decide la vita religiosa del mondo cattolico), sollecitato e in comunione d’intenti con la federazione, ha decretato la soppressione del monastero di Ravello.
Così nel 2021 è stato nominato un commissario pontificio, un francescano del Santuario di Sant’Antonio di Padova, con l’incarico di censire tutto il patrimonio immobiliare dell’istituzione religiosa.
Oltre al vastissimo complesso storico monumentale (composto dal corpo centrale con la chiesa, le celle, una foresteria, un grosso rudere e vasti terreni coltivati con vista mare) il monastero detiene, quale frutto di donazioni accolte nei secoli di servizio alla comunità locale, anche la proprietà dell’edificio storico dell’hotel Parsifal e tre locali commerciali in piazza Fontana Moresca che, insieme, pare rendano non meno di 200mila euro l’anno.
Il valore stimato di tutto il patrimonio, mobile e immobile (opere d’arte e fondo librario dell’antica biblioteca compresi) si aggirerebbe tra i 50 e i 60 milioni di euro.
Ma le suore rimaste non vogliono lasciare il Monastero sia per scongiurare che i beni vengano assorbiti di diritto dalla federazione, sia perché non è mai stata fornita una chiara motivazione dagli organi superiori della loro cancellazione.
Assistite nell’ultimo anno da un legale competente in diritto canonico, hanno ritenuto di salvare i beni da possibili mire speculative e dare seguito a una decisione presa in capitolo ancor prima che ci fosse il commissariamento: donare tutto al Pontefice.
La scorsa primavera, quindi, le tre monache hanno scritto a Papa Francesco offrendogli tutte le proprietà del monastero per la sua carità. Il 25 giugno dal Vaticano il sostituto per la Segreteria di Stato veniva incaricato dal Pontefice di comunicare alle monache l’accettazione della donazione.
Una gioia per le consorelle ma la felicità è durata poco perché il Dicastero vaticano per i religiosi disponeva il trasferimento, immediato e perentorio, delle tre suore in tre diversi monasteri italiani, col chiaro intento di svuotare, e dunque estinguere il monastero. Finanche l’anziana e inferma suor Maria Cristina avrebbe dovuto lasciare tempestivamente la sede in cui è vissuta per circa settant’anni. Intanto non si è ancora giunti alla formalizzazione del passaggio di proprietà alla Santa Sede.
A oggi le monache restano nel Monastero ma rischiano di essere allontanate forzatamente da un giorno all’altro. Le tre religiose attendono un intervento decisivo di Papa Francesco.