Sorrento Comedy Night, buona la prima, tra applausi e polemiche
Sorrento – Ieri sera presso il Teatro Tasso è andato in scena “Sorrento Comedy Night” primo tentativo ben riuscito, di proporre al pubblico sorrentino, nell’ambito della rassegna comunale “M’illumino d’inverno” con l’organizzazione dell’Associazione ProCulTur e la collaborazione di Fondazione Sorrento, un tipo di intrattenimento, che prese piede verso la metà del XIX secolo in America, una tipologia di spettacolo, che era nota con il termine “vaudeville”, visto che riuniva in sé diverse tradizioni di spettacoli comici che confluirono negli anni anche nell’attuale stand-up comedy, in sintesi: un comico si esibisce “in piedi” (in inglese stand-up) davanti a un pubblico, normalmente rivolgendosi direttamente a esso, senza la quarta parete. Tra i più famosi stand-up comedian italiani cito a memoria: Gino Bramieri e Walter Chiari tra gli antesignani, Beppe Grillo, Alessandro Bergonzoni, Gioele Dix, Maurizio Battista, Andrea Pucci e Alessandro Siani tra i più conosciuti oggigiorno. Ieri, a Sorrento, si sono esibiti cinque degni rappresentanti di questo genere comico. Mi piace sottolineare la bella performance di Stefano Rapone, tra gli stand-up comedian più colti e raffinati della sua generazione, reduce dal tour teatrale di Alessandro Cattelan intitolato “Salutava Sempre – La spettacolare fine di Alessandro Cattelan”, con lui, Velia Lalli, la prima stand up comedian donna in Italia, brava quanto a capacità di tenere la scena come l’intramontabile Lella Costa, poi il napoletano Vincenzo Comunale, ottimo non solo come attore ma anche come presentatore dei colleghi, quindi Adriano Sacchettini, ex alunno del “Pensa Comico” del Sancarluccio e infine Francesca Esposito, insegnante di latino nei licei, prestata alla stand-up comedy con ottimi risultati, che ieri, suo malgrado, è stata protagonista anche di un battibecco molto acceso con uno spettatore. Lei, che nel suo sketch prendeva spunto dalla sua stessa esperienza di madre, ironizzando sulla gravidanza, il parto, il segno del cesareo, un sorriso sulla pancia che ti resta a vita e l’insopportabile neonato che piange e“scacazza” a tutte le ore rendendoti la vita un “inferno”, è stata tacciata di veicolare un messaggio sbagliato. L’attrice ha ricordato allo spettatore indignato che si stava facendo del teatro comico, ma l’osservazione, condivisa anche dal resto del pubblico e sottolineata da più di un applauso, è servita a poco. Questo spiacevole episodio, in una serata, che tutto sommato si era rivelata piacevolissima, mi ha ricordato un episodio di tutt’altro spessore ma che in qualche modo credo possa chiudere la querelle. Molti di voi certamente ricorderanno “Il Nome della Rosa” di Umberto Eco, nel romanzo, il protagonista, Guglielmo di Baskerville ha una discussione con il frate anziano dell’abazia, il venerabile Jorge, sull’atto del ridere. Guglielmo gli dimostra, citando la poetica di Aristotele ed i Vangeli, che il riso non è peccato. L’anziano frate si indigna, farfuglia, non sa replicare, e lancia improperi su Aristotele e sul rivale citando rabbiosamente altri passi della Bibbia. Il libro che poi l’anziano Jorge nasconde, e per il quale uccide, non è altro che il libro perduto dello Stagirita dedicato al “Riso” ovvero la Commedia. “Il riso”, spiega Eco, “è critica e ironia: è decostruzione” (vedi Nietzsche e Bataille), magari per costruire meglio, alle volte solo per il gusto di distruggere. Come aggiunge ancora l’anziano benedettino nel romanzo: Ridere cancella la paura, ed è sulla paura che si basa il timor di Dio e perciò la fede. Un clima di paura è reazionario, perciò non fa altro che conservare, inalterato, lo stato delle cose. Ho ricordato Eco per sottolineare come la comicità è una cosa molto seria ed è un’arte che va coltivata, a mio modesto parere, per il bene di noi stessi e anche dei nostri principi democratici. Con il rispetto dovuto ad ogni opinione e sensibilità, a me la gente che non sa ridere fa paura e un mondo senza comici, così come l’omologazione del pensiero altrettanto. Un comico sul palcoscenico deve fare ridere ed è lo sfogo, che appartiene anche a noi gente comune, che il “giullare” si prende sulle proprie spalle, aggiungerebbe Shakespeare. Come scrive Edoardo Ferrario: La comicità deve fare ridere e per fare ridere ti devi confrontare con una persona. Oggi c’è il grande equivoco per cui sembra che una battuta debba necessariamente costituire un’offesa”. Qui torna l’iper sensibilità e il cosiddetto politically correct, ma anche l’ingombrante individualismo per cui ci riteniamo tutti assolutamente speciali: “Ma la battuta è un confronto, non un’offesa. Viene interpretata così da chi non vuole ascoltare il confronto. Io credo che i comici possano continuare a fare battute su tutto quello che vogliono, comprese minoranze e categorie più sensibili (a meno che non ci troviamo di fronte ad un omofobo o a un razzista). Il comico è un artista con un punto di vista. Il delitto peggiore che possiamo commettere è smettere di fare battute per paura di dire una parola sbagliata. Sarebbe la fine dell’arte e della comicità, strumenti che ci permettono di capire il mondo che ci circonda e noi stessi ed è pur vero che oggi più di ieri abbiamo bisogno di bravi comici, che ci pungolino al pensiero critico, in un mondo che invece ci vuole tutti consumatori con gli stessi gusti.
di Luigi De Rosa
Vincenzo Comunale, stand-up comedian
Francesca Esposito, stand-up comedian
Nella foto Vincenzo Comunale, Adriano Sacchettini, Stefano Rapone, Francesca Esposito e Velia Lalli – ph.A. Fattorusso.