Vico Equense, lo chef Antonino Cannavacciuolo parla di lavoro e del padre: «Non voleva facessi il cuoco, sognava per me qualcosa di diverso»

Vico Equense, lo chef Antonino Cannavacciuolo parla di lavoro e del padre: «Non voleva facessi il cuoco, sognava per me qualcosa di diverso». In un’intervista pubblicata su Sette del Corriere della Sera, lo chef Antonino Cannavacciuolo, originario di Vico Equense, in Penisola Sorrentina, ha parlato della sua vita privata e del suo lavoro.

Il rapporto con il padre: «Ho vissuto senza mio padre. Lui aveva la scuola al mattino e poi il lavoro al ristorante. Parliamo di lavori davvero difficili e usuranti. Lavori per i quali non si riesce a fare una vita normale. Ecco perché lui non voleva assolutamente che io facessi il cuoco. Sognava che avessi un’esistenza diversa. E invece io sentivo che quella era la mia strada. Quando glielo spiegai, parlandogli col cuore aperto, mi disse solo: “Se vuoi fare questo lavoro fallo, ma devi essere sicuro che sei spinto da una passione vera, altrimenti soffrirai tanto”».

Masterchef: «Molti pensavano che MasterChef mi avrebbe danneggiato. Il luogo comune era: “Ah, adesso si è messo a fare televisione, smetterà di lavorare, smetterà di stare in cucina”. E invece io non ho mai abbandonato il mio lavoro. E vuole sapere anche un’altra cosa? MasterChef mi ha dato tantissimo. Anche gli stessi ospiti. Sono proprio fatto in un modo per cui cerco di prendere sempre il massimo da quello che avviene nella mia vita. E nulla mi passa accanto per caso».

Terza stella Michelin: «La premiazione è stata un momento indimenticabile. Eravamo tutti davvero emozionati. D’altronde credo si sia visto. Io, la mia famiglia e tutto il mio gruppo storico siamo stati travolti da un’ondata di sentimenti pazzeschi quando abbiamo sentito l’annuncio della terza stella. E poi non potrò mai dimenticare quando i miei colleghi si sono alzati in piedi e mi hanno abbracciato. Quegli abbracci, davvero, non potevano essere più sinceri. E non è cosa da nulla, credetemi».

Futuro: «Io nasco cuoco e morirò cuoco. Non vedo nulla se non il mio lavoro. Tanto che a volte mi dicono che sono fissato. Che vivo tutto questo quasi come una malattia. Non conosco davvero distrazioni».

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