Abuso dello smartphone? «Danni fisici e psicologici»: il documento

28 febbraio 2023 | 09:32
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Abuso dello smartphone? «Danni fisici e psicologici»: il documento

Abuso dello smartphone? «Danni fisici e psicologici»: il documento. In considerazione della sempre maggiore diffusione dell’utilizzo di telefoni cellulari nelle classi delle scuole italiane, il Ministro Valditara ha emanato una circolare in cui sottolineava il divieto dell’utilizzo dello smartphone, da parte della popolazione studentesca, durante le lezioni.

Con la circolare non si introducono sanzioni disciplinari. L’uso dei cellulari e di altri dispositivi elettronici può essere consentito per finalità didattiche.

Il Ministro sarebbe stato ispirato da un documento, pubblicato online anche sul sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito, che riportiamo di seguito.

DOCUMENTO APPROVATO DALLA 7a COMMISSIONE PERMANENTE

(Istruzione pubblica, beni culturali)
nella seduta del 9 giugno 2021

Relatore: CANGINI

A CONCLUSIONE DELL’INDAGINE CONOSCITIVA
proposta dalla Commissione stessa nella seduta del 9 aprile 2019, svolta nelle sedute del 9
maggio 2019, 11 giugno 2019, 2 e 24 ottobre 2019, 27 novembre 2019, 14 gennaio 2020, 22
settembre 2020, 21 ottobre 2020, 2 dicembre 2020, 7 aprile 2021 e conclusasi nella seduta

del 9 giugno 2021

SULL’IMPATTO DEL DIGITALE SUGLI STUDENTI,

CON PARTICOLARE RIFERIMENTO
AI PROCESSI DI APPRENDIMENTO
(Articolo 48, comma 6, del Regolamento)

Comunicato alla Presidenza il 14 giugno 2021

SENATO DELLA REPUBBLICA

XVIII LEGISLATURA

TIPOGRAFIA DEL SENATO

I RISULTATI DELL’INDAGINE

Ci sono i danni fisici: miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscolo-scheletrici, diabete. E ci sono i danni psicologici: dipendenza, alienazione, depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminu­ zione dell’empatia. Ma a preoccupare di più è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato
quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica…
Sono gli effetti che l’uso, che nella maggior parte dei casi non può che degenerare in abuso, di smartphone e videogiochi produce sui più giovani.  Niente di diverso dalla cocaina. Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche.
È quanto sostengono, ciascuno dal proprio punto di vista « scientifico », la maggior parte dei neurologi, degli psichiatri, degli psicologi, dei
pedagogisti, dei grafologi, degli esponenti delle Forze dell’ordine auditi. Un quadro oggettivamente allarmante, anche perché evidentemente destinato a peggiorare.
C’è stato un tempo in cui, per capire come saremmo diventati, noi italiani guardavamo alla Germania, poi alla Francia, poi, dal secondo
dopoguerra, agli Stati Uniti. Ora, per la prima volta, il nostro sguardo abbandona le nazioni occidentali per volgersi ad Oriente. Corea del Sud, Cina, Giappone. Sono questi, oggi, i nostri modelli. Modelli avanzatissimi già da anni quanto a diffusione della tecnologia digitale, perciò anticipatori degli effetti che il crescente uso di smartphone e videogiochi produrrà fatalmente sui nostri figli, sui nostri nipoti, sui nostri amici, su di noi e di conseguenza sulla società in cui viviamo.
I numeri impressionano. In Corea del Sud il 30 per cento dei giovani tra i dieci e i diciannove anni è classificato come « troppo dipendente » dal proprio telefonino: vengono disintossicati in sedici centri nati apposta per curare le patologie da web. In Cina i giovani « malati » sono ventiquattro milioni. Quindici anni fa è sorto il primo centro di riabilitazione, natural­ mente concepito con logica cinese: inquadramento militare, tute spersonalizzanti, lavori forzati, elettroshock, uso generoso di psicofarmaci. Un campo di concentramento. Da allora, di luoghi del genere ne sono sorti oltre quattrocento. Analoga situazione in Giappone, dove per i casi più estremi
è stato coniato un nome, hikikomori. Significa « stare in disparte ». Sono giovani tra i dodici e i venticinque anni che si sono completamente isolati dalla società. Non studiano, non lavorano, non socializzano. Vegetano chiusi nelle loro camerette perennemente connessi con qualcosa che non esiste nella realtà. Gli hikikomori in Giappone sono circa un milione. Un milione di zombi.
Tutte le ricerche internazionali citate nel corso del ciclo di audizioni giungono alla medesima conclusione: il cervello agisce come un muscolo,
si sviluppa in base all’uso che se ne fa e l’uso di dispositivi digitali (social e videogiochi), così come la scrittura su tastiera elettronica invece della scrittura a mano, non sollecita il cervello. Il muscolo, dunque, si atrofizza.
Detto in termini tecnici, si riduce la neuroplasticità, ovvero lo sviluppo di aree cerebrali responsabili di singole funzioni. Analogo effetto si registra nei bambini cui è stata limitata la « fisicità ». Nei primi anni di vita, infatti, la conoscenza di sé e del mondo passa attraverso tutti e cinque i sensi: sollecitare prevalentemente la vista, sottoutilizzando gli altri quattro sensi,
impedisce lo sviluppo armonico e completo della conoscenza. È quel che accade nei bambini che trascorrono troppo tempo davanti allo schermo di un iPad o simili. Per quest’insieme di ragioni, non è esagerato dire che il digitale sta decerebrando le nuove generazioni, fenomeno destinato a connotare la classe dirigente di domani.
Mai prima d’ora una rivoluzione tecnologica, quella digitale, aveva scatenato cambiamenti così profondi, su una scala così ampia e in così poco tempo. Il motivo è evidente, lo smartphone, ormai, non è più uno strumento, ma è diventato un’appendice del corpo. Soprattutto nei più giovani. Un’appendice da cui, oltre ad un’infinita gamma di funzioni, in larga parte dipendono la loro autostima e la loro identità. È per questo che risulta così difficile convincerli a farne a meno, a mettere da parte il telefonino almeno per un po’: per loro, privarsene è doloroso e assurdo quanto subire l’amputazione di un arto. Usarlo incessantemente è dunque naturale. È naturale perché questo li
inducono a fare le continue sollecitazioni di algoritmi programmati apposta per adescarli e tenerli connessi il più a lungo possibile. È naturale perché a disconnettersi percepiscono la sgradevole sensazione di essere « tagliati fuori », esclusi, emarginati. È naturale anche e soprattutto perché essere connessi è irresistibilmente piacevole, dal momento che l’uso del digitale che ne fanno i più giovani, prevalentemente social e videogiochi, favorisce il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore della sensazione di piacere.
Ma si tratta di un piacere effimero. Dal 2001, anno in cui le console per videogiochi irrompono nelle camerette dei ragazzi, e con un’accelera­ zione impressionante dal 2007, anno in cui debutta lo smartphone, depresioni e suicidi tra i giovanissimi hanno raggiunto percentuali mai viste prima. Sono quasi raddoppiati, e quel che preoccupa è che il trend appare in costante ed inesorabile ascesa. Stessa tendenza, in rapida crescita, riguarda i casi di autolesionismo, di anoressia, di bulimia. Manifestazioni
di disagio giovanile sempre esistite, ma che oggi si autoalimentano sui social e nelle chat esaltando anziché scoraggiando i ragazzi e in modo
particolare le ragazze dal metterli in pratica. A tutto ciò vanno sommate le conseguenze sui più giovani dell’essere
costantemente a contatto con chiunque e con qualsiasi cosa. Istigazione al suicidio, adescamento, sexting, bullismo, revenge porn: tutti reati in co­ stante crescita. Reati facilitati dal fatto che nelle nuove piazze virtuali non
trovano spazio le regole in vigore nelle vecchie piazze reali: vige l’anonimato, i controlli sono scarsi, i minori vi si avventurano senza alcuna
sorveglianza da parte dei genitori.
Dal ciclo delle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite, non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato
all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri.
CONCLUSIONI
Rassegnarsi a quanto sta accadendo sarebbe colpevole. Fingere di non conoscere i danni che l’abuso di tecnologia digitale sta producendo sugli studenti e in generale sui più giovani sarebbe ipocrita. Come genitori, e ancor più come legislatori, avvertiamo il dovere di segnalare il problema, sollecitando Parlamento e Governo ad individuare i possibili correttivi.
Avanziamo alcune ipotesi:
– scoraggiare l’uso di smartphone e videogiochi per minori di quattordici anni;
– rendere cogente il divieto di iscrizione ai social per i minori di tredici anni;
– prevedere l’obbligo dell’installazione di applicazioni per il con­
trollo parentale e l’inibizione all’accesso a siti per adulti sui cellulari dei minori;
– favorire la riconoscibilità di chi frequenta il web;
– vietare l’accesso degli smartphone nelle classi;
– educare gli studenti ai rischi connessi all’abuso di dispositivi digitali e alla navigazione sul web;
– interpretare con equilibrio e spirito critico la tendenza epocale a sopravvalutare i benefici del digitale applicato all’insegnamento;
– incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l’esercizio della memoria.

Non si tratta di dichiarare guerra alla modernità, ma semplicemente di governare e regolamentare quel mondo virtuale nel quale, secondo le ultime stime, i più giovani trascorrono dalle quattro alle sei ore al giorno. Si tratta di evitare che si realizzi fino in fondo quella « dittatura perfetta » vaticinata
da Aldous Huxley quando la televisione doveva ancora entrare in tutte le case e lo smartphone aveva la concretezza di un’astrazione fantascientifica: « Una prigione senza muri in cui i prigionieri non sognano di evadere. Un sistema di schiavitù nel quale, grazie al consumismo e al divertimento, gli
schiavi amano la loro schiavitù ».
Giovani schiavi resi drogati e decerebrati: gli studenti italiani. I nostri figli, i nostri nipoti. In una parola, il nostro futuro.