Dall’etimologia più accreditata, ricaviamo che il Carnevale nasce come giornata di addio alla carne per prepararci alla Pasqua con il digiuno quaresimale. Martedì Grasso, per l’appunto, è il giorno che segna il passaggio e, quindi, va celebrato con “mangiate” pantagrueliche, quasi a voler fare il pieno in vista dell’astinenza.
Il carnevale, per tutta la parte non mangereccia, come momento di bagordi e festeggiamenti, va indietro nel tempo, e da sempre, segna un periodo di dissolutezza e di caos che, però, ha un inizio e una fine, dopo di che ritorna l’ordine; una parentesi durante la quale tutto era permesso, o quasi, ed è qui che arrivano le “maschere”.
La maschera, nata per rendere eterna una sembianza che la vecchiaia avrebbe alterato fino a distruggerla con la morte, diventa nel tempo un’utile copertura e alterazione della propria identità: dovendo compiere durante il Carnevale azioni discutili, almeno sotto il profilo della opportunità e della morale corrente, era meglio compierle rendendosi irriconoscibili indossando una maschera.
In epoca moderna, questo scenario una volta limitato nello spazio e nel tempo, si è profondamente evoluto; la nostra società è diventata una società nella quale l’apparire conta più dell’essere, e allora tutti indossiamo una maschera quotidianamente per immergerci nella società che ci circonda e apparire quello che non siamo: gli abiti che indossiamo devono rappresentare quello che riteniamo debbano capire gli altri e, quindi, diventano un costume – leggi maschera per il corpo -, la nostra voce, la nostra espressione, le nostre parole, devono sostenere il personaggio che ci siamo prefissati di essere. Quando però abbiamo bisogno di nascondere o alterare la nostra identità per fare o dire cose non leciti, allora ricorriamo alla “maschera” per non essere riconosciuti; in questo le nuove forme di comunicazione e dell’apparire ci vengono incontro, il “NICKNAME” è diventata la maschera del XXI secolo che impazza sul web.
I leoni da tastiera oggi ne fanno un uso industriale; la Polizia Postale impiega gran parte del suo tempo a dare un nome e un cognome a “Maschere” che seminano ingiurie e violenze, maldicenze e false notizie. Un bisogno impellente di comunicare al mondo le proprie frustrazioni e il proprio malessere, spinge tanti a rifugiarsi dietro un profilo falso, facendo durare il proprio Carnevale 365 giorni all’anno; ovviamente non ci riferiamo ai membri di un gruppo che si identificano in uno slogan o in un movimento, anche se pure in quel caso ci permettiamo di suggerire che converrebbe sempre mostrare l’identità dei membri, in specie a sostegno di cause che si ritengono giuste e nobili. Come contraltare a tanto, o magari come altra faccia della stessa medaglia, troviamo nelle feste e nelle sfilate carnevalesche moderne i costumi più belli corredati da micro mascherine, se non addirittura il nulla, perché lo sfoggio di un vestito prezioso da cortigiana del 700 non può essere indossato senza apparire nella vera identità che così si esalta.
La sintesi di tutto quanto potrebbe essere: tutti in maschera è sempre carnevale. Si trattasse solo di abbondare con lasagne e scherzi, saremmo tutti molto felici; purtroppo la cosa è seria perché spesso si tratta di delinquere nascondendosi dietro una maschera. E non credo che sia molto diverso quando il mascherato è un politico, un educatore, uno che occupa un ruolo importante per la società che lo circonda; forse in questi casi è ancora più grave, perché, essendo l’azione più subdola e perversa, è più difficile arrivare ad una sentenza di colpevolezza e alla comminazione di una pena; tutto questo il mascherato lo sa bene, anzi si sente ancora più tranquillo nel perpetuare i suoi atteggiamenti.
Dobbiamo combattere con tutte le nostre forze questi novelli mascherati e cercare di diventare cittadini di una società dell’essere e non dell’apparire. Ci sono mille modi per combattere e ciascuno lo può fare anche facilmente e senza rischi; come? Solo qualche esempio: individuiamo silenziosamente i mascherati e facciamo arrivare loro segnali di indifferenza e di distacco; non rincorriamo i moderni influencer per farci orientare da loro; non rincorriamo i neo benefattori e i falsi buonisti; ma soprattutto dismettiamo da subito la nostra maschera e proviamo a dire il nostro pensiero a tutti, senza ostentazione, senza offesa per nessuno, ma liberamente e onestamente.
Chi sa? I risultati potrebbero arrivare anche prima del previsto, ed essere più sorprendenti; di sicuro saranno più gratificanti dell’indossare una banale maschera, che prima o poi il Signor Galantuomo, il tempo, smaschererà.