Gianni Minà, il mio idolo esempio di buon giornalismo

29 marzo 2023 | 13:27
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Gianni Minà, il mio idolo esempio di buon giornalismo

Gianni Minà, il mio idolo esempio di buon giornalismo
#MADICOSAPARLIAMO

“L’uomo dei due mondi …
Chi ha fatto del giornalismo un racconto sempre nuovo da riscoprire ogni giorno…”

La storia della buona televisione quando scopriva i segreti dei personaggi simboli di tante generazioni.

La Camera ardente per Gianni Minà, morto lunedì dopo una breve malattia, sarà aperta in Campidoglio. Secondo quanto si apprende l’omaggio al giornalista sarà possibile dalle 10 alle 19. Minà si è spento all’età di 84 anni. Tantissimi i messaggi di cordoglio sui social. Tra gli altri, anche quello della premier Giorgia Meloni che ha scritto: “Addio a Gianni Minà, un vero professionista amato e rispettato da tutti. L’Italia perde un grande giornalista e un uomo di profonda cultura. Che la terra ti sia lieve”.

Una vita dedicata al giornalismo

Gianni Minà ha dedicato la vita al giornalismo fra cronaca, esteri, sport. Ha scritto libri e lavorato in tv. Nato a Torino il 17 maggio 1938 e deceduto a Roma, ha segnato un’epoca nel settore dimostrando un talento poliedrico non comune nel trattare diversi tipi di argomenti e tutti con grande estro. Come giornalista ha collaborato con quotidiani e settimanali italiani e stranieri, realizzato reportage per la Rai, ideato e condotto programmi televisivi. Famosi docu-film su personaggi emblematici del 900 portano la sua firma. Fra questi ricordiamo quelli su Che Guevara, Muhammad Ali, Fidel Castro, Silvia Baraldini, Rigoberta Menchù, Diego Armando Maradona, il sub comandante Marcos. In particolare, è stato editore e direttore della rivista Latinoamerica e tutti i sud del mondo dal 2000 al 2015 e direttore della collana di Sperling & Kupfer Continente desaparecido. Ha ricevuto diversi premi, come il Premio Kamera della Berlinale per la carriera, il più prestigioso premio al mondo per documentaristi. Nel 1981 il presidente Sandro Pertini gli consegnò il Premio Saint Vincent come miglior giornalista televisivo dell’anno. Memorabile fu la sua intervista per 16 ore a Fidel Castro racchiusa in un documentario dal quale è stato tratto un libro pubblicato in tutto il mondo “Fidel racconta il Che” dove il presidente cubano, per la prima volta parla di Guevara raccontando la sua storia. L’intervista fu ripetuta nel 1990, dopo il tramonto del comunismo. I due incontri sono riuniti nel libro Fidel.

Uomo dello sport della politica e della società civile che ama gli uomini che si mettono al servizio di tutti.
La sua mitica agenda piena di numeri telefonici. Il suo amore per il Sud America. La sua capacità di raccontare i grandi personaggi del secolo scorso. Gianni Minà era tutto questo e molto di più. Il popolare giornalista televisivo, scomparso in queste ore, è stato uno dei grandi narratori del novecento. Oggi, probabilmente, lo avrebbero chiamato “storyteller”. E piace pensare che lui ne sarebbe rimasto inorridito. Ma è vero; Gianni Minà con uno stile tutto suo, mai aggressivo, sempre un passo indietro rispetto ai protagonisti che intervistava o di cui parlava, è stato soprattutto un giornalista che ha raccontato personaggi e storie. Lo ha fatto con passione, con partigianeria a volte, ma sempre con trasporto ed entusiasmo.

Inutile nasconderlo: la morte di Gianni Minà ci lascia un pochino più soli. Sia perché con lui se ne va un grande giornalista, sia perché la dipartita del presentatore tv è l’ennesima di questi anni. Solo negli ultimi mesi se ne sono andati alcuni tra i più grandi giornalisti, sportivi e non, che abbiamo avuto modo di conoscere. Gianni Mura, Eugenio Scalfari, Maurizio Costanzo, Mario Sconcerti. Per tacere di Piero Angela, altro maestro che se ne è andato ad agosto del 2022.

Minà ha incarnato il novecento e gli anni 80. Lui era dove era l’evento, un giornalismo di un’altra epoca. Fa impressione oggi rivedere quello che era capace di creare: cose quasi impensabili nel giornalismo di oggi. Lui metteva in pratica i sogni di chi, come chi scrive, è cresciuto sperando di fare il giornalista. Era con la sua troupe là dove si girava la scena finale di “C’era una volta in America” per intervistare Sergio Leone e Robert De Niro. Oggi è praticamente impossibile accedere a un set anche per un semplice articolo su un giornale, lui si collegava in diretta con gli studios di Cinecittà mentre si girava un capolavoro; in pratica faceva la storia del giornalismo con la stessa normalità con cui noi trattiamo la strettissima attualità.

Ma la grande capacità di Minà era proprio questa. Fare cose straordinarie con personaggi straordinari con la stessa tranquillità e normalità con cui noi viviamo la nostra quotidianità. Noi organizziamo una cena tra amici, lui con Gabriel Garcia Marquez, Muhammad Ali, Sergio Leone e Robert De Niro; noi andiamo in un locale con i nostri conoscenti? Lui ci andava con i Beatles. Così come noi telefoniamo a un caro amico, lui telefonava a Fidel Castro. O almeno ci piace ricordarlo – o immaginarlo – così.

Minà aveva una capacità non comune di intervistare i grandi personaggi che hanno fatto la storia. Erano loro a scegliere lui, erano loro che si fidavano del suo modo di raccontarli. Una scelta sicuramente dovuta alla sua capacità di farsi apprezzare umanamente da queste persone e del fatto che loro si fidavano di lui, del suo rigore, della sua parola. Ma ciò era dovuto anche dalla sua grande capacità di restare un passo indietro rispetto a loro nel racconto e nell’intervista. Perché a chi segue un’intervista interessa soprattutto cosa ha da dire il personaggio. E non è un caso se alcune di quelle di Minà hanno fatto la storia: da Massimo Troisi a Diego Armando Maradona, da Fidel Castro a Robert De Niro. Ma tantissimi altri: Pietro Mennea, Muhammad Ali, Sergio Leone, Gian Maria Volontè, Paolo Rossi, Gabriel Garcia Marquez, Federico Fellini. Molti di questi intervistati nel suo contenitore domenicale Blitz, in onda su Rai Tre dal 1982 al 1985 in diretta concorrenza con la Domenica In di Rai Uno.

Il famoso conduttore ha sempre – infatti – preso le distanze da un giornalismo aggressivo. Come ha detto in una delle sue interviste più recenti concessa ai colleghi di Fanpage, “il giornalismo aggressivo è inutile. Perché non porta a nulla”. Minà spiega che il giornalista non è altro che un tramite tra il personaggio da raccontare e il pubblico. Il ruolo del giornalista è quello di interpretare, di indurre il protagonista a raccontarsi, senza mai giudicare. Giudicare – spiegava – non è il compito di un giornalista”.

Gianni Minà oltre a un grande vuoto, lascia anche un grande monito al mondo del giornalismo; un richiamo quasi alle regole basilari di questo mestiere: l’importanza dell’agenda, il significato di una telefonata, la cura del rapporto con la fonte e con i grandi personaggi. Ma anche l’importanza del rapporto umano, la capacità di lasciare il palco ai veri protagonisti del racconto giornalistico, il rifiuto della morbosità e del voyeurismo.

Ci mancherà questo maestro del giornalismo, recuperarne qualche insegnamento sarebbe il modo migliore per ricordarlo.