Piano di Sorrento, il racconto del Prof. Ciro Ferrigno: “La pastiera delle monache”

Piano di Sorrento. In questo lunedì di Pasquetta riportiamo il racconto del Prof. Ciro Ferrigno dedicato alla pastiera delle suore agostiniane del Monastero di Santa Maria della Misericordia: «Le suore del Conservatorio di Santa Maria della Misericordia, attiguo alla Basilica di San Michele, iniziarono l’attività di pasticceria nella seconda metà del Settecento, quando era in costruzione la loro chiesa. L’iniziativa si rivelò provvidenziale al fine di reperire i fondi necessari per pagare le maestranze impegnate nella realizzazione di quella che sarebbe risultata una vera e propria opera d’arte. L’attività dolciaria andò avanti con successo per circa duecento anni, fino alla Prima Guerra Mondiale, quando le ristrettezze economiche, generate dal conflitto, portarono ad un inevitabile crollo della domanda. C’è da precisare che, una volta completata la chiesa, i guadagni furono utilizzati per la beneficenza ed in particolare per aiutare i seminaristi di famiglie povere.
La pasticceria, prima in penisola, inizialmente trasformava i prodotti della terra e dei giardini in dolci, utilizzando la frutta, in gran parte proveniente dai fondi di proprietà delle Suore, dove si produceva di tutto e quasi in ogni stagione. I periodi di maggiore lavoro coincidevano con le grandi feste: Natale, Pasqua e le patronali. La regina di tutte le squisitezze era la pastiera, dolce di grande bellezza, il cui impasto contiene elementi simbolici, legati alla Resurrezione di Nostro Signore. Negli anni d’oro, gli ordinativi erano tanti, al punto che, per accontentare tutti, bisognava dedicare ore ed ore ai forni, alternando la preghiera e la partecipazione alle celebrazioni dei santi giorni con il lavoro: preparare gli impasti, farli riposare e mettere i ruoti nei forni a legna, badando alla giusta temperatura e ai tempi di cottura. Certe volte la veglia delle monache in cucina era scandita dal battere dei tamburi delle processioni, dal canto del Miserere ed il profumo di fiori d’arancio delle pastiere, creava un miscuglio di vita e morte, tra il Salmo 50 e l’Alleluia, tra la grande Croce, o tronco, che passava quasi sfiorando i muri del Conservatorio e la pietra rotolata dell’inutile sepolcro di Cristo.
Quante realtà contrastanti, in quei santi giorni! Il freddo pungente della primavera acerba, il vento e la pioggia, le fresie profumate sui muri di tufo, le violacciocche, le viole mammole, gli anemoni, un timido sole, le nuvole minacciose, le Lamentazioni mattutine in Basilica con la lettura delle profezie, le campane legate ed il fracasso della troccola in giro per le strade, il Cristo Morto, l’Addolorata, la processione della Congrega, l’organo muto, l’aria cupa della mattina del Venerdì, la processione dei Rossi o quella di Meta in visita al Sepolcro, una mescolanza di tamburi, inni e Miserere, i canti della Passione e dal Monastero si spandeva intorno il profumo delle pastiere nel forno, presagio della festa, dove si loda Dio in un boccone e si mangia la propria terra nell’effluvio delle zagare. Il dolce contiene il simbolismo del chicco di grano che deve marcire per donare la spiga, l’uovo dal quale uscirà il pulcino, la purezza del latte, la sacralità dell’olio d’oliva; c’è tutto in questo impasto, che è una pagina di teologia, una delizia completa, alimento dei santi e di quanti amano la vita come dono di Dio.
Quando le suore cessarono la gloriosa attività di pasticceria, tante cose andarono perse, complici i terremoti del 1930 e 1980; ai danni seguirono i lavori di ripristino, la necessità di ricostruire pensando alla praticità e alle comode innovazioni dei tempi moderni, come forni elettrici, frigoriferi ecc. Andarono perse le ricette, raccolte in vecchi quaderni polverosi e, per un fatto provvidenziale se ne salvò una, una sola, proprio quella della pastiera che, tanti anni prima era stata data alla pasticceria Cadolini. Aveva ragione il Vate, quando diceva: “Io ho quel che ho donato”, perché in tempi recenti, l’antica ricetta è tornata al Monastero, proprio grazie alla signora Olimpia Cadolini! La madre superiora, Suor Angela la conosce a memoria, ce l’ha scritta dentro, la declama con orgoglio ed amore e la sua voce sembra venire dal tempo passato: “Per l’impasto occorrono un chilogrammo di grano ed uno di ricotta, mezzo litro di latte per la crema, grammi sei o settecento di zucchero, grammi duecentocinquanta di frutta candita, la cannella a piacere, diciotto uova utilizzando torlo e albume, un poco di limoncello o liquore Strega, poi buccia di limone, succo d’arancia, limone o mandarino. Per la pasta frolla è previsto l’utilizzo di olio e latte”.
Fuori i tamburi, l’Inno, il Miserere, il vento freddo che fa veleggiare lo stendardo, la Croce col panno, i martiri, i lampioni. È l’alba e la Nera rientra in chiesa. Dentro il Monastero i forni già sprigionano un profumo di Resurrezione».

Piano di Sorrento, il racconto del lunedì del Prof. Ciro Ferrigno: “La pastiera delle monache”

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