Sono trascorsi 32 anni dalla tragedia del Moby Prince. Tra le vittime anche il 34enne Arcangelo Picone di Piano di Sorrento
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Sono trascorsi 32 anni dalla tragedia del Moby Prince che è stata, in termini di perdita di vite umane, la più grave sciagura che abbia colpito la Marina mercantile italiana dal secondo dopoguerra e che causò la morte di tutte le 140 persone che, tra passeggeri ed equipaggio, si trovavano a bordo; l’unico sopravvissuto fu il giovane mozzo napoletano Alessio Bertrand. Tra le vittime anche il 34enne Terzo ufficiale di coperta Arcangelo Picone, detto Angelo o’ Spagnuol, di Piano di Sorrento (NA), anni 34. La sua salma, numero11, è stata trovata accanto quella del comandante Ugo Chessa nel vestibolo che separava il self service dalla sala poltrone prodiera
Erano le 22.03 di mercoledì 10 aprile 1991 quando la motonave Moby Prince (131 metri di lunghezza e poco meno di 6.700 tonnellate di stazza lorda) mollò gli ormeggi dal porto di Livorno per una traversata di linea in direzione di Olbia. A bordo erano presenti 75 passeggeri e l’intero equipaggio, formato da 65 persone agli ordini del comandante Ugo Chessa, considerato molto professionale, esperto ed affidabile. La nave non era particolarmente affollata, trattandosi di un periodo dell’anno a bassa frequentazione turistica. Durante la percorrenza del cono di uscita del porto il traghetto colpì con la prua la petroliera Agip Abruzzo, penetrando all’interno della cisterna numero 7, contenente circa 2.700 tonnellate di petrolio. Alle ore 22.25, il marconista di bordo lanciò il Mayday dal VHF portatile e non dalla postazione radio dato che, come stabilito anche dal punto in cui fu ritrovato il cadavere, al momento dell’impatto non si trovava in sala radio.
Parte del petrolio che fuoriuscì dalla Agip Abruzzo si riversò in mare, il resto invece investì in pieno la prua del traghetto. A causa delle scintille e del calore prodotti dallo sfregamento delle lamiere delle due navi al momento dell’impatto, il petrolio prese rapidamente fuoco e le fiamme circondarono e incendiarono velocemente il traghetto. Il gigantesco incendio, sprigionatosi all’esterno della nave, probabilmente penetrò all’interno del traghetto a causa della rottura di due coperchi che separavano la coperta prodiera dal garage superiore (probabilmente fino al locale eliche di prua).
L’incendio non si propagò subito a tutta la nave, in quanto il Moby Prince era provvisto di paratie tagliafuoco per impedire la propagazione delle fiamme. I soccorsi partirono in mare solo dopo le ripetute richieste di aiuto da parte dell’Agip Abruzzo. Lo scafo in fiamme del Moby Prince non venne individuato fino alle ore 23.35.
Il Moby Prince, per tentare di allontanarsi dal punto d’impatto, mise le macchine all’indietro ed iniziò a descrivere una traiettoria circolare, rendendo così ancora più difficoltosa la sua individuazione.
Si appurò, in seguito, che l’equipaggio fece sistemare, in attesa dei soccorsi (attesi in brevissimo tempo, vista la vicinanza delle banchine del porto), gran parte dei passeggeri nel salone De Luxe, posto a prua della nave e dotato di pareti e porte tagliafuoco, dove furono ritrovate la maggior parte delle vittime. Le fiamme provenivano appunto dalla parte anteriore della nave e, raggiunto il salone, lo aggirarono, passando intorno ad esso ed infiammando tutti gli arredi e le strutture circostanti al suo perimetro. In questo modo il salone De Luxe, che si stima essere stato raggiunto dalle fiamme dopo almeno mezz’ora dall’inizio dei fatti, non prese fuoco, ma si trovò esattamente al centro dell’incendio; quando l’equipaggio si accorse del ritardo dei soccorsi, non fu più possibile far uscire le persone dal salone. Gli esami tossicologici rilevarono inoltre un elevatissimo tasso di monossido di carbonio nel sangue delle vittime, sintomo del fatto che non tutti morirono poco dopo lo scoppio dell’incendio, ma alcuni sopravvissero anche per ore (anche in stato di incoscienza).
Un fattore che ha contribuito in maniera importante alla mortalità sul traghetto fu di sicuro il fumo nero e denso originato dalla combustione del petrolio e dei materiali plastici, e in misura minore i gas prodotti dall’evaporazione del petrolio che, concentrati in ambienti ridotti come quelli di un traghetto, hanno aumentato il loro potere soffocante. Ad aggravare la presenza dei fumi e dei gas fu anche il sistema di aria condizionata e di ventilazione forzata del traghetto, che imprudentemente non fu mai disattivato durante tutto l’evolversi dell’incendio (fu trovato ancora in funzione il giorno dopo l’incidente) e distribuì il fumo e i gas tossici anche negli ambienti della nave non direttamente interessati dall’incendio.
Tredici salme (tutte, con una eccezione, di membri dell’equipaggio) vennero rinvenute sul ponte imbarcazioni, otto nell’area scoperta di poppa (ponte sole), due nell’atrio per l’abbandono nave di prua (nei pressi della plancia; una delle due era quella del comandante Chessa), una nell’atrio tra il ristorante e la discoteca Moby Club e due nelle cucine. La maggior parte delle vittime fu ritrovata nel ponte di coperta. La salma di un membro dell’equipaggio fu rinvenuta nel corridoio che dalle cabine di II classe portava sul ponte scoperto di poppa, altre tre (tutte di membri dell’equipaggio) sulle scale che portavano al garage, 30 (9 passeggeri e 21 membri dell’equipaggio) nella zona cabine di II classe (principalmente nei corridoi, tranne i resti di 6 persone trovati in un locale adiacente adibito a bar/ripostiglio), 28 (21 passeggeri e 7 membri dell’equipaggio) nel vestibolo per l’abbandono nave (l’atrio tra la zona cabine di II classe e il salone De Luxe), 60 nel salone De Luxe (43 passeggeri e 17 membri dell’equipaggio) e due, un passeggero e un motorista, in un bagno a destra del vestibolo per l’abbandono nave. I corpi di un motorista e di un passeggero vennero invece trovati in sala macchine, mentre quello di un altro motorista fu trovato negli alloggi dell’equipaggio, vicino a una manichetta antincendio. Un’unica salma venne ritrovata in mare, quella del barista Francesco Esposito, unica vittima deceduta per annegamento.
I familiari delle vittime si sono costituiti in due associazioni. La prima, denominata “140”, è presieduta da Loris Rispoli, il quale, nel rogo del traghetto, ha perso la sorella. Tale associazione raccoglie la maggioranza dei familiari. La seconda, quella più recente, denominata “10 aprile”, è stata presieduta da Angelo Chessa, figlio del comandante Ugo, scomparso il 12 giugno 2022. Entrambe le associazioni continuano ad impegnarsi, coinvolgendo attivamente le istituzioni, allo scopo di scoprire la verità ed ottenere chiarezza e giustizia su questo terribile avvenimento.