Arte Contemporanea. Intervista all’artista Mario La Carrubba, a cura di Maurizio Vitiello.
Intervista di Maurizio Vitiello – Risponde l’artista Mario La Carrubba
È difficile fare pittura oggi?
La pittura è sempre stata difficile a partire dalle sue basi attraverso lo studio della sua affascinante storia. L’esercizio, la pratica, le diverse tecniche, tutto questo ha necessità di seguire un complesso percorso a volte fecondo a volte meno. Ripenso, ad esempio, quando all’Accademia ci facevano esercitare sulla riproduzione dell’anatomia umana. Vene, capillari, muscoli, ore di esercitazione per poi fare propri quei microscopici universi di cui siamo fatti.
Oggi, a differenza di ieri, penso a quel mio ieri a cavallo tra gli anni 60/70, quasi sembra non essere più importante l’applicazione tecnica, ma la sua semplificazione, il concetto, l’idea, a volte la trovata, quasi a discapito di questa complessa espressione.
Vuoi trasferirti a Milano?
Mi trovo già in questa splendida città, Roma dove sono nato, qui ho frequentato l’Accademia delle Belle Arti e nutrito il mio stile grazie anche alle dicotomie di questa città brusca e sensuale. A Milano, dunque, manderei, come fatto in passato, direttamente i quadri e li accompagnerei volentieri in gita.
Quali progetti da sviluppare nel 2023?
Ecco qui c’è il futuro, quel futuro fantascientifico che da bimbo leggevo sui fumetti, mia altra fonte d’ispirazione. Molti dei critici che si sono occupati del mio lavoro hanno colto proprio quest’essenza. Gli elementi plastici che trasmutano in vapori incorporei, i piani geometrici che si tuffano in acque sempre tumultuose. Quando nel ’78, anno in cui divento padre, John Hart scrive sul Daily American “… la sua mano può riprodurre tutte le superfici che vuole e persino qualcosa di mai visto prima. Il messaggio è complesso come le sue composizioni di frammenti di cristalli di luce […] l’effetto è cinematografico” colse un altro aspetto che mi ha sempre affascinato. La fabbrica dei sogni è tra le altre arti, la mia grande passione che ho poi tramandato a mia figlia. Il Cinema ha sempre avuto grande influenza sul mio lavoro. Oggi, anche, grazie ai nuovi mezzi di lavoro, penso al Computer, è possibile interagire e sperimentare nuove tecniche. Ho così iniziato una serie di lavori di Video-Art tra i quali l’omaggio alla magnifica Anna Magnani, “Nannarella”, che fu trasmesso sullo speciale del TG3 nel 2011. Tutt’oggi procedo verso questa forma d’arte, senza, ovviamente, mai abbandonare il pennello.
La stampa ti ha seguito, ultimamente?
Un tempo i giornalisti venivano invitati dalle redazioni a seguire le svariate mostre collettive o personali sul territorio nazionale. Oggi, in realtà sembra non essere più partecipe nel seguire il percorso di un artista e le sue esposizioni. Precedentemente del mio percorso si sono interessati: Paese Sera, New Daily e altre testate di giornali locali. Ma ora se ne interessa il pittore stesso o il suo ufficio stampa, in questo caso mia figlia con la sua associazione culturale EscaMontage, oggi pare non ci sia molta attenzione.
Hai partecipato a Fiere d’Arte?
Nel ‘78 alla Fiera d’Arte di Bologna.
Credi che l’arte andrà avanti su altri canoni e codici?
Penso all’arte che mi appartiene, quella pittorica e oggi alcune visioni-realizzazioni sono state fagocitate da certe visioni di ieri come il Fauvismo, Cubismo, Dadaismo, Bauhaus, Astrattismo geometrico e così via. Come si diceva all’inizio, la tecnica appunto è in un momento di mutazione tale che pare si stiano formando replicanti più che pittori. La manualità, la plasmabilità delle varie materie un tempo erano un punto di forza, ora sembra prevalere una semplificazione dell’arte stessa. Sia inteso che ogni passaggio epocale ha avuto le sue fratture che hanno, poi, condotto a nuove forme d’espressione e questo dal punto di vista dello studio mi incuriosisce, tuttavia mi chiedo: essere originali costi quel che costi, è veramente necessario? Mi pare che quasi sia sparita un’analisi oggettiva, nonostante a tutt’oggi ci siano bravissimi artisti, tuttavia sembra ci si stia abituando a una determinata visione standardizzata, forse a causa del mercato. La tela appare più come una scenografia che ospita l’artista, anziché un territorio di ricerca. Spesso ne parlo con mia moglie, compagna di vita e d’arte, sembra che oggi una firma acclamata sia più fondamentale dell’incredibile lavoro di Michelangelo della cappella Sistina. Per concludere credo che sia inutile provocare la tecnica pittorica; questa non morirà mai, è come l’abito classico che va sempre di moda.