Grande successo per il collettivo KNB in concerto a Sorrento
Sorrento (NA) Villa Fiorentino sabato 17 giugno la rassegna “Incontriamoci in Villa” promossa da Fondazione Sorrento ha ospitato il collettivo KNB, acronimo che sta per: Ki Namless Bi // Eccoli, i senza nome, musicisti e performer giovanissimi dai diversi stili, diverse etnie, diverse provenienza: una family tra Gambia, Senegal e Napoli. Sette MC e due producer, Silvio Speranza (Dott.Hope) and Andrea Della Volpe (Fox), che hanno provato riuscendovi a fondere le proprie unicità per dare forma ad un movimento che cancella ogni confine culturale, sociale e geografico. I KNB aka Genkah, GEA, Yusbwoi, Doppy Gee, Mozeh k, Sir X Samba, THIEUF, sono un melting pot di storie da raccontare, un’onda di flow e metriche incalzanti “up to the vibes”, come cantano loro, come abbiamo potuto apprezzare a Villa Fiorentino. Questi musicisti sono stati una scommessa vinta, quella fatta da Fondazione Sorrento, dal direttore artistico Antonino Giammarino con l’ausilio di Giuseppe Prudente e Marco Mariconda, che hanno voluto offrire al pubblico uno spaccato dei movimenti musicali e culturali di impronta africana di spessore internazionale che oggigiorno solo la scena parigina e quella londinese possono vantare, mi vengono in mente per rammentare un po’ di storia recente, collettivi come i London Afrobeat Collective, mentre in Italia è con l’album del 2015 di Lorenzo Jovanotti che questi collettivi si facevano conoscere dal grande pubblico, con il Cherubini nazionale c’erano infatti gli Antibalas, un’orchesta afro beat di Brooklin, nel brano Melagioco, oltre che dal mitico Manu Dibango in “Musica” e da Bombino in “Si Alza Il Vento”. A definire poi il nuovo immaginario fu una compilation del 2018, We Out Here (Brownswood), con artisti come Shabaka Hutchings, appunto, Moses Boyd, Nubya Garcia, KOKOROKO, tutti africani e caraibici di seconda o terza generazione che animavano le strade del sud di Londra trascinandosi dietro un’intrinseca vena politica. Mi serviva un po’ di storia per contestualizzare i “Eccoli i senza nome” che aggiungono alle sonorità afrobeat, hip hop, world e fusion una loro particolare vision che rifuggendo il contesto mainstream, prova a conquistare la scena musicale facendo conoscere il proprio contesto socio culturale, rivendicando la propria originalità e indipendenza da mode e globalizzazioni, rimanendo voci singole in un coro, gruppo multilingue cantano in wolof, mandinka, pidgin (dialetto nigeriano N.d.A), inglese, francese e napoletano senza essere una Babele, gruppo che si fa portavoce di contesti geografici diversi Mauritania, Guinea, Mali, Gambia, Senegal e Napoli che dialogano. In sintesi i KNB sono un gruppo di ossimorico: personalità esclusive che propongono una musica inclusiva. Quella che segue è una breve intervista che mi hanno concesso due cantanti del collettivo: Vesuvia Gea e Yusbwoii.
Raccontatemi qualcosa di voi come gruppo.
- Siamo 7 MC e due producer. Ognuno di noi ha un proprio percorso musicale ma tutti abbiamo fatto esperienza di collettivi, anche in ambienti diversi da quello attuale. Crediamo in questi movimenti di immigrati di prima e seconda generazione che vogliono proporsi sulla scena musicale italiana e internazionale per fare sentire la propria voce. All’estero c’è più consapevolezza di queste realtà che non in Italia. Noi però siamo convinti che anche qui da noi questi movimenti possano prendere piede, soprattutto a Napoli dove molti collettivi stanno cominciando a emergere e a conquistare credibilità negli ambienti musicali cittadini.
Mi spiegate il perché di questo nome Ki Namless Bi?
- Ki e Bi sono due parole in wolof, dialetto senegalese, ki sta per “Questi” mentre bi è un rafforzativo che si mette alla fine di una frase per sottolineare ciò che si espresso prima, in sostanza potremmo tradurre l’espressione “Questi sono i senza nome”. Abbiamo scelto di chiamarci così perché non volevamo etichette né correre il rischio che le persone identificassero il gruppo, per esempio, in un leader. Siamo un collettivo che fa musica ed è la nostra musica il fulcro del nostro progetto. Ognuno di noi ha una propria storia, una propria personalità ben definita, ma quando entriamo in uno studio di tutto quello che siamo come singoli individui, ci spogliamo per diventare parte del collettivo. Siamo un gruppo di ragazzi che vuole manifestare attraverso la musica la propria presenza.
Una diversità che è anche ricchezza, movimento collettivo di individui con un proprio bagaglio di esperienze e cultura. Mi parlate del messaggio che volete lasciare a chi viene ad ascoltarvi?
- Beh, ricorro ad una delle dieci tracce del nostro album “Ndabige”, ancora una volta ricorriamo al wolof. “Ndabige”, infatti, vuol dire “Io ci sto” con forza, con determinazione: in un mondo che si batte per l’amore “ndabige”, io ci sto, ma allo stesso tempo non mi schiererò con chi vuole la guerra. Non ci stiamo in un mondo che non ci rispetta. Il fatto che nove musicisti di estrazione geografica diversa sale su un palco per mettersi in gioco, per suonare e cantare insieme rivendicando allo stesso tempo la propria unicità, vuole essere un ribadire concretamente che non ci sono barriere, confini, noi siamo fatti per vivere in pace insieme anche nella sacrosanta diversità.
A proposito di rispetto, mi fate venire in mente il verso di una poesia “Migrante” dello scrittore africano Wole Soyinca (Premio Nobel Letteratura 1986 N.d.A.) che recita: nessuna scritta dice: BENVENUTI.
- Bello. Io non mi sento una migrante (è Gea a rispondermi) quindi confesso di non cogliere fino in fondo il disagio che invece mi rendo conto si coglie di fronte a questa negazione di accoglienza che spesso c’è. Però posso dirti che la musica è un mezzo potentissimo che abbatte queste barriere, che ci sia o no quel “Benvenuti”, noi siamo qui per ribadire la nostra presenza. Presentandoci al pubblico per quello che siamo e per quello che siamo capaci di dare e offrire a tutta la comunità. La musica che vogliamo ha come concetti base quelli dell’inclusività e dell’integrazione. Veniamo da Napoli che è sostanzialmente un porto, una città aperta al mondo.
Mi parlate del vostro disco?
Volentieri. “NKB” è formato da dieci tracce più due Extra beat, un riediting e un remix. È il frutto di un lavoro cominciato a giugno 2022 e finito a gennaio 2023, ci riunivamo in studio una volta a settimana e lavoravamo su musica e brani per qualche ora con i produttori. Noi non conoscevamo loro e viceversa, quindi è stato anche un percorso di conoscenza reciproca.
So che è sempre antipatico dare un’etichetta ma come la definireste la vostra musica
- Beh, sostanzialmente proponiamo urban che comprende afro beat, hip hop, R&B, rap, ma è soprattutto una fusion che sperimenta anche molto. Ognuno di noi ha un suo stile e anche una sua lingua che in studio o sul palco cerca di amalgamarsi allo stile e alla lingua dell’altro. Non siamo voluti scendere a compromessi e adeguarci alle leggi del mercato musicale per essere sicuri di vendere. Vogliamo essere noi stessi. Desideriamo offrire a chi ci verrà ad ascoltare un prodotto musicale che rispecchi in pieno la nostra realtà. Desideriamo essere genuini e trasparenti non costruiti. Credo che questo si capisca. Un vero artista credo debba essere soprattutto sé stesso ed essere messo in condizione di esprimersi in tutta onestà senza artifizi o badare al mercato.
Infine concludo citandovi un proverbio sudanese che dice che ogni genitore desidera lasciare in eredità ai propri figli due cose: le radici e le ali, voi cosa volete lasciare?
- La “confidence”, la fiducia in sé stessi per potersi esprimere liberamente. La libertà di poter essere sempre se stessi e offrire la propria unicità al mondo senza barriere sociali, politiche, geografiche etc.
Grazie a GEA e Yusbwoi
KNB (Ki Namless Bi) a Villa Fiorentino, Sorrento.